Dramma Popolare

Don Ruggini e i folli di Dio

di Alexander Di Bartolo

Si è svolto giovedì 15 ottobre a Palazzo Grifoni l’interessante colloquio dal titolo «Don Ruggini e i folli di Dio», occasionato dal ricordo dei cent’anni dalla nascita di una delle figure più emblematiche dei primi trent’anni di vita dell’Istituto del Dramma Popolare di San Miniato, ora Fondazione teatrale tra le più importanti in Italia per le rassegne a tema spirituale e sociale.

Se oggi la Fondazione è un ente riconosciuto a livello nazionale e con una storia illustre, lo dobbiamo anche a questo prete diocesano che seppe, insieme ad altri, correre il rischio di «educare tramite il teatro». Ma l’intento della Fondazione, come ha ben spiegato il presidente Marzio Gabbanini nell’intervento introduttivo, non era solo quello di ricordare un sacerdote diocesano con un sentimento di rimpianto – che certo si poteva percepire tra i presenti, soprattutto tra chi lo aveva conosciuto o lo aveva avuto come insegnante nelle scuole sanminiatesi – bensì «ricordare la figura di un prete che è stato parte integrante della città, capace di abbattere i pregiudizi, di aver saputo coinvolgere i giovani e averli fatti diventare uomini onesti».

Ruggini è stato quindi uomo moderno e innovatore, che ha vissuto il suo impegno al Dramma con uno slancio che andava oltre il provincialismo, oltre la semplice ricostruzione materiale e morale della città negli anni del dopoguerra. Anche il vescovo Migliavacca, nel suo intervento, ha voluto sottolineare, tra gli altri, proprio l’aspetto «attuale» del sacerdote Ruggini. Un sacerdote che per ovvie ragioni monsignor Andrea non ha conosciuto, ma che ben ha delineato presentandolo come «uomo delle relazioni», cioè come figura di prete aperto alle relazioni, «che seppe apprezzare le diversità come occasione di incontro».

Ed effettivamente, se pensiamo a ciò che l’archivio del Dramma Popolare custodisce – centinaia di lettere a lui indirizzate da più parti d’Italia da personaggi illustri del tempo – possiamo sostenere con certezza che il Dramma guidato da Ruggini, dall’avvocato Gazzini, dal pittore Dilvo Lotti, da Gianna Nativitati e altri sanminiatesi, era proprio questo: un teatro aperto al dialogo con le maggiori scuole teatrali italiane, con i migliori registi, con i più quotati attori; un fertile gruppo di uomini e donne che è stato, proprio grazie a don Ruggini, in contatto con l’ambiente fiorentino di quel tempo. È stata proprio la relazione di Mario Lancisi (nella foto), autore del libro «I folli di Dio. La Pira Balducci e gli anni dell’Isolotto» (edizioni Paoline, 2020), a evidenziare il raccordo tra San Miniato e l’ambiente fiorentino, grazie a un «folle di Dio» come Ruggini. Era lui infatti a tenere i contatti con Balducci, Turoldo e quel circolo culturale fatto di artisti, ecclesiastici, amministratori e politici, dal cardinale Dalla Costa a Giorgio La Pira, da Giovanni Papini a don Giulio Facibeni, da Pietro Parigi a don Miliani. Un ambiente in fermento, che si è costruito – secondo il relatore – su tre pilastri: l’antifascismo cattolico, la costituente, l’attenzione alla «povera gente».

Anche don Ruggini, come quell’ambiente fiorentino nel quale era perfettamente inserito e del quale era segretamente partecipe, voleva fare di San Miniato un laboratorio di idee e di rinnovamento, grazie proprio all’azione teatrale, all’estetica scenografica, alla pedagogia dialogica, insita nei testi drammaturgici che come Direttore artistico Ruggini si trovava a valutare e realizzare. Un folle di Dio a San Miniato, che ha fatto crescere la città e ha dato rilevanza al teatro locale proiettandolo idealmente ai livelli più alti della drammaturgia spirituale italiana.