Ricordo

Dilvo Lotti e Giuseppina Gazzarrini colonne della cultura sanminiatese

di Andrea Mancini

Dilvo era pittore, Beppina, la moglie, maestra, ma sono anche stati eccezionali protagonisti dell’organizzazione culturale, per un ampio territorio che partiva dalla loro casa, in via Maioli 22, a San Miniato.

Parlare di Dilvo e Beppina Lotti non significa necessariamente parlare d’arte, i due sono stati straordinari animatori della vita culturale di San Miniato, almeno dalla fine degli anni Trenta, fino al 2015, quando anche lei è morta, dopo che Lotti era scomparso nel 2009. È stata infatti la parte femminile della coppia a tenere le fila dei loro rapporti sociali, con comportamenti fin troppo amabili.

Beppina era una maestra, che da subito scelse di supportare in ogni modo il suo compagno di vita, diventando comunque una delle più longeve e brave catechiste della città, pronta a spendersi in ogni modo per i suoi allievi, sempre omaggiati con apprezzatissimi doni, in un’epoca nella quale i regali avevano ben altro valore rispetto ad oggi. Dilvo come carattere sarebbe stato più brusco, meno conciliante, mentre Beppina ne attenuava le ruvidità, al punto che insieme costituivano una coppia formidabile, apprezzata dovunque, a Parigi o in una Spagna amatissima (soprattutto perché aveva conservato le sue più antiche tradizioni, complice anche il Franchismo), fino a tanti luoghi d’Italia, dove ogni anno i due facevano tappa.

Non si può, per esempio, dimenticare Venezia, dove andarono in viaggio di nozze, ospiti dell’Hotel Danieli, che ne avrebbe celebrato anche il cinquantesimo, mettendoli tutte e due le volte nella stessa camera. Naturalmente non vogliamo emettere riserva alcuna sul valore artistico del pittore Lotti, quello che vorremmo fare qui è allargarne se possibile l’orbita culturale, dando testimonianza di una serie di manifestazioni che negli anni l’hanno avuto come protagonista, lui e naturalmente lei, la sua musa e ispiratrice, la moglie Beppina.

C’è ad esempio un luogo di San Miniato, che più di altri, testimonia il suo impegno di operatore, ed è l’Oratorio di San Rocco. Lì nel 1967, Dilvo diede vita ad un sodalizio di artisti – quasi tutte le nuove forze che si affacciavano sulla scena sanminiatese – che affrescò l’intera superficie della piccola chiesa, dipingendovi storie di santi, in particolare quelle di San Rocco e San Sebastiano a cui l’oratorio è intitolato. Fu un cantiere importantissimo, celebrato con articoli sui quotidiani anche nazionali e servizi Rai, con pubblicazioni in cui l’artista poco più che cinquantenne (era nato nel 1914) si trovò a fare da maestro ad un gruppo di giovani e giovanissimi, impegnati in un lavoro che sembrava ben più importante delle loro forze inesperte. Si chiamavano Giorgio Giolli, Gianfranco Giannoni, Piero Vezzi, Sauro Mori, Gabrio Ciampalini e Enzo Giani, più grande di loro e in qualche modo diverso, perché oltre al mestiere di pittore faceva anche il capostazione. Poi, naturalmente, c’era Lotti, già abituato a lavorare su parete, con tecniche in fondo non alla portata di tutti, come quella dell’affresco. Dilvo realizzò una grande lunetta, a destra entrando, poi la parte inferiore dell’Altare, infine la Sagrestia, lasciando agli altri la maggior parte della chiesa, con grandi cicli di affreschi, che spesso denunciano l’assoluto bisogno di un restauro. Anzi, questa necessità si mostrò necessaria fin da subito, al punto che il sodalizio si sciolse dopo pochi mesi dall’inaugurazione, con accuse reciproche, a seconda del grado di umidità subito dalle varie opere. Ma al di là di questo, resta importante l’operazione, che costituì l’esempio per altri interventi, soprattutto nel rapporto tra arte e spiritualità; uno di questi – e avrebbe bisogno di un restauro e anche di una valorizzazione – è quello realizzato qualche anno dopo dallo stesso Lotti, insieme a Pietro Marchesi (Tropei) presso la cappella dell’Ospedale degli Infermi di San Miniato, anche questa interamente coperta da dipinti murali dei due pittori.

Lo stesso Dilvo del resto, aveva partecipato molti anni prima, esattamente nel 1947, alla nascita dell’Istituto del Dramma Popolare, che ancora opera sul solco di un Teatro dello Spirito. Quello che ha portato a San Miniato le forze migliori della scena italiana del dopoguerra, sia come attori che come registi, ma soprattutto come autori (e qui l’orizzonte diventa europeo e internazionale). Dilvo avrebbe messo a disposizione dei cofondatori dell’impresa, la propria esperienza visiva, ma anche i rapporti con la cultura cattolica fiorentina, finendo per trovarsi in dissidio con chi – ad esempio don Giancarlo Ruggini – voleva allargare l’orbita geografica della Festa del Teatro. Lotti – soprattutto nei primi anni – fu comunque un formidabile apporto, lavorando come consulente nella scelta dei testi, realizzatore di scenografie, maschere e costumi, splendido artefice dei manifesti e dei programmi di sala. Siamo del resto stati testimoni, dei “doni” (ancora questi) che Beppina ha fatto dopo la morte di Dilvo, ad alcune istituzioni sanminiatesi. Intanto la loro casa e un patrimonio di grande valore, donato al Comune, al Vescovado e alla Fondazione Cassa di Risparmio (gli ultimi due non l‘hanno accettato, per l’eccessivo onere del suo mantenimento). Poi altre donazioni, fatte al Convento di San Francesco, dove Beppina ha lasciato una serie di splendide opere in ceramica e una interessante «Annunciazione», realizzata utilizzando sagomature in legno dipinto. Infine, bisogna almeno ricordare, la maschera di cartapesta, che faceva parte della scenografia di «La maschera e la Grazia», il primo spettacolo realizzato dal Dramma Popolare, con la regia di Alessandro Brissoni.

Mi sembra del resto interessante che questa parola: “popolare”, probabilmente inserita nel nome del Dramma, su spinta dello stesso Dilvo, ritorni in altre manifestazioni che proprio lui ha promosso o almeno ispirato, mi riferisco al Palio di San Rocco, diventato appunto Festival del pensiero popolare, ma anche al Comitato Manifestazioni Popolari di San Miniato, nato nel 1969 proprio grazie a Dilvo Lotti, «da sempre sostenitore di iniziative tese alla valorizzazione del territorio comunale di San Miniato e alla conservazione dell’identità e della memoria storica della sua città. Lo scopo è quello di organizzare e promuovere feste, manifestazioni popolari e iniziative legate alla storia, all’arte, alla cultura e alle tradizioni locali popolari ereditate dalla civiltà contadina toscana sin dal Medioevo, per far conoscere ai samminiatesi e agli amici visitatori usi e genti della San Miniato che fu».

Leggiamo queste parole, proprio sui materiali via via redatti dallo stesso Comitato, con il quale i due coniugi artisti avevano affidato manifestazioni come il Carnevale dei Bambini, poi curato dalla Pro Loco, la Festa degli aquiloni, la domenica successiva alla Pasqua sul prato della Rocca; i Fuochi di San Giovanni la sera di ogni 23 Giugno sempre ai piedi della torre di Federico, fino al Corteo Storico con oltre ottanta figuranti, vestiti come i personaggi storici che hanno dominato e vissuto a San Miniato, da Matilde di Canossa a Maria Maddalena d’Austria, da Federico II a Napoleone Bonaparte. Chiaramente quanto abbiamo scritto riguarda la parte popolare dell’impegno del prof. Lotti e di sua moglie Giuseppina, ci sarebbe insomma da aprire moltissime altre parentesi, che vanno dalla sistemazione urbanistica di parti della città alla costituzione del Museo diocesano, dalle importanti esposizioni d’arte (quelle dedicate al Cigoli nel 1959 o all’Arte Sacra), fino alla direzione dell’Accademia degli Euteleti, per concludere naturalmente con una serie di libri ancora oggi insuperati, non ultimo il suo «San Miniato, vita di un’antica città», pubblicato nel 1980 dalla Sagep di Genova, con il contributo della Cassa di Risparmio.