Omelia per la solennità dei Santi Giusto e Clemente a Volterra

Basilica di San Giusto e San Clemente Volterra
05-06-2023

 

(Letture: Is 61, 1-3; Sal 89; 2 Tm 4, 1-5; Mt 28, 19a -20b)

Questa festa ci riporta alla memoria di quei primi secoli, di quei momenti difficili, di cambiamenti enormi, anche riguardo alla fede, che era arrivata qui a Volterra fin dagli inizi. Volterra: questa città che da tanto tempo risplende sul monte. Anche dalle finestre di casa mia a San Miniato, la sera se ne vedono le luci. Volterra: guarda quasi tutta la Toscana e fin dall’inizio è stata un faro della fede. Come tutti sappiamo, si dice che sia nato qui il secondo Papa della Chiesa, san Lino, patrono della diocesi. Queste figure dei santi Giusto e Clemente, e gli altri insieme a loro, sono tra quei cristiani del nord dell’Africa che per primi accolsero il Vangelo e che hanno dato nella storia della Chiesa dei primi secoli figure così grandi, basti pensare a Agostino, Atanasio e altri. Questi uomini, fuggendo dalle persecuzioni e dalle difficoltà, arrivarono qui, non nascondendosi, ma anzi, portando ciò che di più prezioso avevano incontrato nella loro vita. Essi sono per noi oggi una testimonianza che interpella profondamente il nostro presente. Anche il nostro è un tempo di grandi cambiamenti, un «cambiamento d’epoca», come dice Papa Francesco, in cui siamo immersi.

Fenomeni che sono andati avanti per secoli, in pochi decenni sono totalmente cambiati e continuano a cambiare. Una volta, quando un giovane si affacciava alla vita aveva davanti a sé una struttura più o meno stabile. Affermava infatti: farò l’avvocato, il dottore… Pensava spesso al mestiere dei propri genitori. Oggi, però, non è più così. Se un adulto pensa a quale sarà il futuro dei propri figli… cosa sarà il mondo tra trent’anni? Quali lavori, può pensare, se ne nascono nuovi ogni giorno? Quale struttura sociale? Che cosa sarà nel cambiamento, in cui tutto sembra assumere volti nuovi? Ma anche allora era un momento così! Eppure, per Giusto, Clemente e i loro amici, era ben chiaro il punto sul quale poter affidare la propria speranza: comunicare a tutti la possibilità di una positività ultima della vita, che per loro era Cristo. Cristo che era lo stesso in Africa, come qui. E poi, questa affezione a Cristo, diventava per loro desiderio che tutti lo conoscessero. In questo desiderio, poi, incontravano il cuore degli uomini e delle donne di quel tempo, anch’essi come noi desiderosi di un bene che non passa.

Abbiamo sentito la seconda lettura (2Tim 4,1-5) dire che ci sono persone che, in cerca di un bene, abbandonano la verità e vanno dietro a favole e, cercando una soddisfazione immediata, Il Vescovo di San Miniato lo perdono tutto. Questo lo vediamo attorno a noi, ma anche in noi. La ricerca, cioè, di un bene immediato, di stare bene, che però lascia un vuoto in noi. Invece, da san Giusto e san Clemente possiamo imparare a dare la vita per ciò che è vero e che rimane per sempre. Ma come facciamo a sapere che è vero? Lo riconosciamo vero perché non lascia il vuoto dentro di noi, ma anzi riempie di interesse e di passione per la vita, che è proprio ciò che Cristo dà a chi lo incontra e perciò mette in moto per costruire il bene di tutti. Anche in questo senso, s. Giusto e s. Clemente, nella loro difesa pacifica della città di Volterra, nel loro intervenire contro le belve feroci dei boschi, rendevano visibile che dove c’è l’esperienza della pace e della verità, questa si comunica e non ha bisogno di imporsi, perché si comunica per fascino. Anche i barbari, alle mura della città, rimasero stupiti che, invece di essere respinti, fossero sfamati.

Ecco, si potrebbe dire: che cosa hanno fatto questi immigrati africani nella nostra società! E anche questo, a ben pensarci, rompe i nostri schemi e ci fa capire che non bisogna misurare mai con la mentalità superficiale di chi ha paura e difende il proprio bene cercando di stringerlo a sé, afferrandosi ad esso. Infatti, l’unico modo di difendere e conservare tutto il bene che abbiamo ereditato da chi ci ha preceduto in questa lunga e gloriosa storia, della città di Volterra come della nostra terra, è di offrirlo con amore, con accoglienza e con disponibilità. Allora diventa patrimonio comune e anche noi ci arricchiamo, perché nell’incontro con chi forse all’inizio ci ispira paura, scopriamo cose che rendono più vera la nostra coscienza di ciò che la tradizione ci ha consegnato e che rimane per sempre. Così, in questa festa dei Patroni della città, possiamo rivedere e ritrovare proprio quelle cose fondamentali che rendono possibile guardare al futuro con la coscienza che tutto il meglio ancora deve venire. Troppo spesso, infatti, ci dimentichiamo che Dio è infinito e pensiamo già di conoscerlo. Ma che cosa conosciamo noi di Dio, se Lui è infinito? Saremo sempre all’inizio dell’inizio dell’inizio, di tutto ciò che lui ci promette e ci può dare, se apriamo a lui il nostro cuore e la nostra vita. Così il riferimento a Dio e ai Santi, non è un «saluto alla bandiera», come dicono in America Latina, non è una cosa formale, ma è proprio guardare di nuovo a quelle radici, che possono fiorire oggi in cose straordinariamente belle e ancora più belle di ciò che il passato ci ha consegnato.

Chiediamo a s. Giusto, a s. Clemente e agli altri santi della città di Volterra che ci aiutino a trovare, guardando all’essenziale della nostra vita, ciò che ci è stato regalato, perché tutto è un dono. Possiamo ritrovare le ragioni, per donare noi stessi, nell’amore e nella costruzione del bene comune, della pace, della libertà e dell’amore per tutti.

+ Giovanni Paccosi