Don Lorenzo Milani, prete

Un’amicizia inesauribile: don Lorenzo Milani
24-08-2023

44° Meeting per l’amicizia tra i popoli, Rimini 20-25 agosto 2023

24 agosto ore 19:00

 

Comincio chiarendo che non ho particolari titoli per dire qualcosa di nuovo o profondo su Don Lorenzo Milani. L’unico legame “ufficiale” è degli ultimi anni, in cui ebbi, da parte del Cardinale Giuseppe Betori, mio vescovo, l’incarico di presiedere il Comitato per don Lorenzo Milani della diocesi di Firenze. Certo questo ha portato a compimento una attenzione cominciata tanti anni fa: avevo quindici anni (era il 1975) quando sullo scalone d’ingresso del mio liceo, con altri compagni, appendemmo un gran cartello con scritto I CARE, titolo che ponemmo a una mostra sul disarmo e la pace. Poche settimane fa uno di quei compagni, oggi affermato giornalista e scrittore, me ne chiedeva conferma, perché altri di quel gruppo se ne erano dimenticati, ma non lui né io.

Da allora, don Lorenzo è stata una presenza per me enigmatica e sempre più importante: ho conosciuto da vicino diversi suoi compagni di seminario, ordinati con lui sacerdoti. Uno tra loro, Giuseppe Padovani, mi accolse da seminarista; di un altro, Ermindo Corsinovi, fui viceparroco; un altro, Silvano Piovanelli, mio vescovo per 19 anni, ma tutti loro sono stati sempre restii a parlare di don Lorenzo, come se anche per loro non fosse fino in fondo chiusa una domanda o forse una ferita. Quando se ne parlava, una grande ammirazione, ma, subito, una certa reticenza, e quasi una difesa: «Era un tipo difficile… era a modo suo», come per mettere in chiaro che l’ammirazione per questo uomo straordinario non era verso una leggenda, ma verso un prete, un prete vero e un uomo vero con i suoi spigoli e il suo mistero. Un prete unico, ma un prete di loro: molti di quei preti, poveri tra i poveri, per amore si facevano anche maestri nei poveri luoghi del loro ministero: proprio il Cardinal Bassetti ha raccontato come don Giovanni Cavini, suo giovane parroco, lo avesse paternamente accompagnato e istruito da bambino. Inizio da questi ricordi per affermare che don Lorenzo non era un alieno venuto da un altro mondo, ma un prete fiorentino, unico e originale, e a Firenze voler essere unici e originali è quasi presupposto ovvio.

Ma bisogna anche dire che in lui si era compiuto il cammino inverso a quello fatto da molti altri seminaristi: provenienti da famiglie emarginate, in molti casi imparavano da seminaristi e poi da preti a aver orrore della povertà e a voler mantenere, in un conformismo facile – verso cui don Milani ha lanciato tante volte critiche taglienti – una tranquillità di vita, che alla maniera di don Abbondio, non ha la forza di scelte radicali.

Voglio in primo luogo affermare che l’originalità di don Lorenzo come prete è proprio nella purezza e totalità del suo sì a Cristo, che espresse nel primo giorno della sua conversione, come ricorda in una famosa intervista a Nazareno Fabbretti don Raffaello Bensi, che ne fu la guida e il confidente da allora e per tutta la vita:

È stato sotto un bombardamento che l’anima di don Milani mi si è spalancata la prima volta. Era il luglio 1943. Stavo togliendomi i paramenti dopo aver celebrato messa, vidi che un giovane mi aveva seguito in sacrestia. Feci cenno al nuovo venuto di accomodarsi in confessionale. I ragazzi che mi venivano a cercare in genere desideravano confessarsi. Ma lui mi disse: «Mi chiamo Lorenzo Milani, ricorda? Ci siamo conosciuti l’anno scorso, davanti alla prefettura. Non voglio confessarmi. Non sono nemmeno cristiano, anche se, come figlio di un’ebrea, ho ricevuto il battesimo per salvare il corpo. Ora è l’anima che mi vorrei salvare. Desidero parlare con lei». Allora gli risposi che non avevo molto tempo. Dovevo correre subito a San Quirico Marignolle, fuori città, dove un giovane prete, mio alunno, era morto lo stesso giorno. «Se permette», mi disse il giovane, «l’accompagno». Andammo così, sotto il bombardamento, fino in campagna. La sua anima mi si spalancò tutta. Capii di avere davanti un uomo molto diverso da tutti quelli conosciuti fino allora. Quel ragazzo, anche se stava ancora cercando la verità, era già pieno di Spirito Santo. Poi, quando fummo davanti al letto del giovane prete morto, don Dario Rossi, a San Quirico, egli mi disse, semplicemente: «Io prenderò il suo posto». (…) Da quel giorno d’agosto fino all’autunno si ingozzò letteralmente di Vangelo e di Cristo. Quel ragazzo partì subito per l’assoluto. Senza se di mezzo. Voleva salvarsi e salvare, ad ogni costo. Trasparente e duro come un diamante, doveva subito ferirsi e ferire. E così fu. [1]

Penso che tutta la vita di don Lorenzo sia il rendersi esplicito di ciò che accadde nel momento della conversione, che non a caso coincide con la sua vocazione sacerdotale, come lui stesso confida a Adele Fornari, l’insegnante sua collaboratrice a Barbiana:

Gli chiesi (…) in quali circostanze avesse deciso di farsi prete, ma non ricordava nessun momento da credente in cui non pensasse di essere prete. Gli pareva che la decisione di essere prete fosse stata contemporanea alla conversione. [2]

Nella conversione, in quei mesi in cui si «ingozzò di Cristo», la sua vita assunse un nuovo centro unificatore, capace di dare un senso nuovo a tutta la sua umanità ancora alla ricerca di un superamento di quel mondo borghese a cui apparteneva ma che non era capace di dare risposte all’altezza del suo cuore. Comprese che in Cristo c’è la vera rivoluzione, rivoluzione dell’io e della società, rivoluzione d’amore che diventa valorizzazione della singola persona per cui Cristo dà se stesso. Il suo divenne un sì totale e definitivo: «Io prenderò il suo posto», non fu impulso di un momento ma divenne la sua vita. Il posto di quel giovane prete morto, ma il posto di Gesù che offre sé stesso per la persona più piccola e debole.

Nel recente e ardente testo pubblicato da Giuseppe Fornari, Al prete ignoto[3], dedicato proprio al sacerdozio di don Milani, e di cui sono debitore per molti testi qui citati, egli sottolinea che don Milani ha un concetto tridentino del suo essere prete. Questo non nel senso di un “tradizionalismo” delle forme sociali e istituzionali della Chiesa, che comunque don Milani sempre rispettò e obbedì, ma nella sostanza teologica della concezione della Chiesa stessa, di cui dichiarò sempre la necessità per la propria vita, per la propria salvezza, e del compito sacramentale del prete testimone della Parola di Cristo, maestro in quanto terminale dell’amore di Cristo che non è generico, ma culmina, ripeto, nel dono di sé per il singolo uomo[4].

In questa concezione della vita come offerta di sé per amore al bene vero dell’altro, del più abbandonato, non c’è più lo sguardo, in fondo narcisista, del borghese che fa un’«opera buona», ma il fuoco del cuore di Cristo che si strugge per il più piccolo dei fratelli. Per rifarci al titolo del Meeting e di quest’incontro, la sorgente dell’amicizia vera (e inesauribile, totale), come amore al bene dell’altro, nasce da questo struggimento per la redenzione degli ultimi.

Non esiste per lui altra amicizia. Ai suoi coetanei preti, che gli rimproverano di non partecipare a una compagnia fraterna con loro, lui risponde una volta con un disegno in cui c’è Cristo al centro e i preti sono tante piccole frecce che da Cristo partono in tutte le direzioni.

Per questo l’amore di don Milani – e lui stesso provocatoriamente l’afferma, attirandosi incomprensioni e rappresaglie – è classista, non per ideologia ma per compito: deve scegliere i poveri, come classe sociale lasciata indietro e oppressa, ma per la preferenza di un amore reale, concreto, che non nega nulla, ma sceglie. Lui stesso per difendere la sua scuola, accusata di essere classista al contrario, cioè di non accogliere che i poveri, fa il paragone con i gruppi parrocchiali che danno il cibo ai poveri e non lo danno certo ai ricchi che non ne hanno bisogno. Non è classismo, è amore concreto, incarnato.

Una piccola riprova del suo “classismo d’amore”, non ideologico, la trovo nel commento che don Lorenzo fa al film “Il vangelo secondo Matteo” di Pier Paolo Pasolini. Don Milani aveva lavorato molto, nei primi anni del suo ministero sacerdotale, alla realizzazione di un catechismo non deduttivo, ma storico, che spiegasse la fede a partire dalla persona concreta di Gesù seguita nella sua vicenda umana. Anche se la sua intuizione è geniale e profetica, non ne fu contento e a un certo punto si arrese, tanto che trasformò il progetto nella possibile sceneggiatura di un film[5], mai poi realizzato. Quando uscì il film di Pasolini, lo sentì più compiuto del suo catechismo nel mostrare Cristo povero tra i poveri ma, paradossalmente, gli rimprovera un «classismo elementare», ideologico, che divide «semplicemente il mondo in ricchi tutti cattivi e i poveri tutti buoni» quando invece «il Vangelo non è così semplicistico», tanto che «quando poi è l’ora della passione e i poveri sono scappati tutti il fatto è che a seppellirlo c’erano solo due ricchi (Giuseppe d’Arimatea e Nicodemo»[6]. I poveri per lui sono «luogo teologico» (per usare l’espressione di Papa Francesco), non categoria ideologica.

Come il tentativo di catechismo, non riuscito, anche la sua scuola, così feconda e riuscita, nasce proprio dal suo essere prete. E il modo per esserlo in un ambiente di esclusi in cui la fede non è più compresa, non informa più la vita, né tra i tanti la cui vita scorre lontano dalla chiesa, né tra i fedeli e spesso tra i preti, che accusa di rincorrere la mentalità atea del mondo proponendo divertimento e gioco invece dell’impegno per scoprire il senso della realtà, la passione per la giustizia, la verità che portano a Cristo. Il compito di un padre è dare a questi figli esclusi gli strumenti per essere uomini e donne in piedi e quindi, nella libertà conquistata, nella sovranità («i giovani sono tutti sovrani»)[7], scoprire il vangelo.

E qui viene, ma non entrerò in dettaglio su questo, il capitolo della persecuzione verso don Lorenzo.

Il suo Vescovo e la maggioranza dei preti non lo capirono, colpevolmente fu ritenuto un matto o un comunista, addirittura invitato pubblicamente dal vescovo, a escardinarsi, uscire dalla diocesi.  Sappiamo tutti che morì così, con il dolore lancinante di essere additato come disobbediente, lui che non aveva mai disobbedito in nulla ai superiori, alla Chiesa, e quasi di eretico, lui che non aveva mai dubitato dei dogmi, perché cosciente che solo la Chiesa può interpretare la Rivelazione[8].

La fedeltà dei suoi ragazzi di Calenzano e specialmente di Barbiana, che attraverso la Fondazione don Lorenzo Milani, hanno conservato oltre a tanti testi, la sua memoria viva, dando seguito con la loro esperienza e la loro vita di impegno sociale e politico, a quell’inizio incompiuto, e loro hanno difeso la semplicità originale dei luoghi, oggi così evocativa per chi visita Barbiana e la sua scuola, rimasti quelli di don Lorenzo e dei suoi ragazzi. Così nel tempo hanno reso possibile la piena riscoperta ecclesiale di don Milani, fino a ciò che è accaduto nel giugno del 2017, quando Papa Francesco volle andare a Barbiana a riparare il male fatto a don Lorenzo e a additarlo a tutti come testimone per il nostro tempo.

Il Papa, nell’ultima parte del suo discorso, dopo aver descritto don Milani come educatore alla libertà e alla cittadinanza attiva, indica nel suo sacerdozio e nella sua fede, la chiave della vicenda di don Milani, ciò che ho cercato con parole certo inadeguate, di documentare:

La dimensione sacerdotale è la radice di tutto quello che ha fatto. Tutto nasce dal suo essere prete. Ma, a sua volta, il suo essere prete ha una radice ancora più profonda: la sua fede. Una fede totalizzante, che diventa un donarsi completamente al Signore e che nel ministero sacerdotale trova la forma piena e compiuta per il giovane convertito[9].

E vorrei far mie le parole conclusive del discorso del Papa, a cui non credo dover aggiungere altro, se non il desiderio e la preghiera a Dio di far mia la passione di don Milani, il suo spendersi per gli altri, la sua scomoda obbedienza, e la sua lucidità nel rifiutare l’ingiustizia e offrire se stesso per la vera fraternità e per la pace, frutto della giustizia.

Prima di concludere – diceva Papa Francesco – non posso tacere che il gesto che ho oggi compiuto vuole essere una risposta a quella richiesta più volte fatta da don Lorenzo al suo Vescovo, e cioè che fosse riconosciuto e compreso nella sua fedeltà al Vangelo e nella rettitudine della sua azione pastorale. In una lettera al Vescovo scrisse: «Se lei non mi onora oggi con un qualsiasi atto solenne, tutto il mio apostolato apparirà come un fatto privato…». Dal Card. Silvano Piovanelli, di cara memoria, in poi gli Arcivescovi di Firenze hanno in diverse occasioni dato questo riconoscimento a don Lorenzo. Oggi lo fa il Vescovo di Roma. Ciò non cancella le amarezze che hanno accompagnato la vita di don Milani – non si tratta di cancellare la storia o di negarla, bensì di comprenderne circostanze e umanità in gioco –, ma dice che la Chiesa riconosce in quella vita un modo esemplare di servire il Vangelo, i poveri e la Chiesa stessa. Con la mia presenza a Barbiana, con la preghiera sulla tomba di don Lorenzo Milani penso di dare risposta a quanto auspicava sua madre: «Mi preme soprattutto che si conosca il prete, che si sappia la verità, che si renda onore alla Chiesa anche per quello che lui è stato nella Chiesa e che la Chiesa renda onore a lui… quella Chiesa che lo ha fatto tanto soffrire ma che gli ha dato il sacerdozio, e la forza di quella fede che resta, per me, il mistero più profondo di mio figlio… Se non si comprenderà realmente il sacerdote che don Lorenzo è stato, difficilmente si potrà capire di lui anche tutto il resto. Per esempio il suo profondo equilibrio fra durezza e carità»[10]. Il prete «trasparente e duro come un diamante» continua a trasmettere la luce di Dio sul cammino della Chiesa. Prendete la fiaccola e portatela avanti! Grazie[11].

 

+ Giovanni Paccosi

 


[1] Nazareno Fabbretti, Intervista a Monsignor Raffaele Bensi, in “La domenica del Corriere”, 27 giugno 1971.

[2] Adele Corradi, Non so se don Lorenzo, Feltrinelli, Milano 2012, pp. 81-82.

[3] Giuseppe Fornari, Al prete ignoto. L’ecclesiologia implicita di don Lorenzo Milani, Studium, Roma 2023.

[4] Cfr. Giuseppe Fornari, Al prete ignoto, pp 95-105.

[5] Cfr Lettera a Maurice Cloche del 19 dicembre 1951, in dir. A. Melloni, Don Lorenzo Milani. Tutte le opere, Mondadori, Milano 2017, tomo II, pp. 227-228.

[6] Cfr Lettera ai ragazzi all’estero del 2 agosto 1965, in dir. A. Melloni, Don Lorenzo Milani, tomo II, pp. 227-228

[7] Cfr. Lorenzo Milani, Lettera ai giudici, in: dir. A. Melloni, Don Lorenzo Milani, tomo I, p. 953

[8] A questo proposito illuminante è il dialogo con G. Pecorini e A. Corradi svoltosi il 1 maggio 1965 a Barbiana alla presenza dei ragazzi dal titolo “Chiesa Santità Obbedienza” in Lorenzo Milani, Lettera ai giudici, in: dir. A. Melloni, Don Lorenzo Milani, tomo I, pp. 1272-1309

[9] Papa Francesco, Discorso nella visita alla tomba di don Lorenzo Milani, Barbiana, 20 giugno 2017

[10] Nazareno Fabbretti, “Incontro con la madre del parroco di Barbiana a tre anni dalla sua morte”Il Resto del Carlino, Bologna, 8 luglio 1970.

[11] Papa Francesco, Discorso nella visita alla tomba di don Lorenzo Milani, Barbiana, 20 giugno 2017