Un copione dalla scrittura brillante e corsiva: questa la sfida che don Francesco Ricciarelli si è concesso con «La sagra dei vescovi», andata in scena sabato 29 aprile a San Miniato. Asticella tenuta alta per una macchina narrativa architettata col piglio del divertissement e la freschezza della commedia. Ne è risultata una lettura spassosa, portata in scena dai bravi attori del gruppo teatrale «Inés e Roberto», nato attorno al progetto musicale di «Eurosia», per la regia di Andrea Mancini. E il pubblico, che ha assiepato il piccolo delizioso Spazio dell’Orcio, ha sottolineato i passaggi più esilaranti con risate composte e soddisfatte. Un pubblico che, alla fine, non accennava al rompete le righe neppure a “sipario calato”, quasi attendesse un bis.
La «Sagra» racconta di un pranzo che si tiene tra tutti i vescovi succedutisi nel governo della Chiesa di San Miniato. È il 5 dicembre 2022, la cerimonia è voluta dall’arciduchessa Maria Maddalena d’Austria per celebrare il grande Giubileo della “sua” diocesi, a 400 anni dalla fondazione (1622-2022). Tutto è pronto, ma il pranzo non inizia: all’appello manca Annibale Barabesi, vescovo vissuto alla fine dell’800, che rinunciò alla cura pastorale della diocesi, conducendo una vita nell’ombra, quasi da recluso volontario nel palazzo vescovile. In assenza anche di un solo invitato l’arciduchessa non può sancire l’inizio del convivio, perché ha bisogno del conforto di tutti e 25 i presuli che furono in San Miniato «per capire se fu giusta la sua decisione di staccare una parte consistente della diocesi di Lucca e portarla nell’orbita di Firenze».
Il congegno narrativo è costruito proprio attorno a questo convitato di pietra, la cui assenza, per tre quarti del racconto, accende la miccia dei dialoghi tra vescovi di epoche differenti, nel mentre che la tavola viene imbandita da due camerieri fintamente sciocchi, Elena (interpretata da Cristina Ferniani) e Mazzeo (Alessio Guardini) che, come nella migliore tradizione della commedia dell’arte, condiscono la scocca narrativa di frizzi e arguzie, ricamando i passaggi da una scena all’altra. Il tutto sotto la direzione arcigna di una Maria Maddalena (Pamela Chiarugi) che ha il vigore marziale di un generale prussiano, «anche se è austriaca», come sottolinea più di una volta Elena a un frastornato Mazzeo. E così il racconto dei quattro secoli di storia della diocesi scorre veloce come in un caleidoscopio di immagini. Non mancano neppure le constatazioni stupite e beffarde di un presule faceto come Carlo Falcini (interpretato da Francesco Gronchi), che riguardo alla toponomastica locale si meraviglia del fatto che i posteri non abbiano mai pensato a dedicare almeno «una strada senza fondo» a qualcuno di questi 25 vescovi che, in alcuni casi – si pensi a monsignor Poggi -, hanno reso bellissima San Miniato.
Insomma, una pièce da 40 minuti filati che si “beve” volentieri come un aperitivo o, data l’ora della prima, come un cordiale. Citiamo anche gli altri interpreti, tutti all’altezza della situazione: Stefano Agnoloni, Giulia Benvenuti, Enrico Durelli, Barbara Mignemi, Stefano Torriti. S’invoca una replica, possibilmente prima della fine del Giubileo, perché questa fatica non venga consegnata al destino effimero del teatro, che oggi c’è e domani…