La conferenza della giornalista Raffaella Frullone a Castelfranco di Sotto

Cosa si nasconde dietro i progetti sulla parità di genere nelle scuole

La Redazione

Una conferenza accompagnata da molte polemiche quella intitolata «Parità di genere a scuola. Cosa c’è dietro alle apparenze?», tenutasi nella Collegiata di Castelfranco di Sotto, la sera di giovedì 20 aprile. La giornalista Raffaella Frullone è stata chiamata a parlare dei progetti largamente diffusi anche nelle scuole del nostro territorio, spesso presentati come iniziative di contrasto al bullismo e alla discriminazione, o di promozione delle pari opportunità tra maschi e femmine, ma che in realtà rientrano nella «Strategia nazionale lgbt+ 2022-2025 per la prevenzione e il contrasto alle discriminazioni per l’orientamento sessuale e l’identità di genere».

Come ha ben chiarito Raffaella Frullone, la «parità di genere» non riguarda affatto, come spesso si pensa, la parità tra i sessi nelle opportunità lavorative o professionali. Quelli di sesso e di genere sono concetti ben diversi: il sesso è una realtà biologica con cui nasciamo, mentre l’identità di genere è una percezione, la «sensazione propria di sentirsi maschili, femminili, entrambi o nessuno dei due indipendentemente dal sesso biologico».

A partire dal 2012 le istituzioni nazionali hanno fatto propria questa definizione di genere, le cui origini ideologiche si trovano nel femminismo radicale americano degli anni 50, che prendeva di mira la maternità, la femminilità, la famiglia basata sul matrimonio, considerandole come costruzioni sociali, contrarie alla libertà della donna. Il percorso che attraverso i movimenti per i diritti civili, passando per le direttive Onu e Unesco, ha portato al dilagare di queste idee anche nelle scuole, è descritto esaurientemente nel saggio di Marguerite A. Peeters, «Il gender. Una questione politica e culturale» (Mondadori 2014), di cui la relatrice ha suggerito la lettura. Anche il documento dell’Oms sugli «Standard per l’educazione sessuale in Europa» (2010) ha declinato il concetto di genere (parità di genere, identità di genere) nel definire gli obiettivi da raggiungere e i compiti dell’insegnante, suggerendo che il concetto di «genere» vada insegnato già ai bambini della prima fascia, da 0 a 4 anni. L’obiettivo è quindi quello di instillare, fin dalla più tenera età, l’idea che il nostro sesso biologico sia distinto dal genere e che quindi ciò che conta non è il sesso con cui siamo nati ma la percezione che si ha di sé.

Come ha evidenziato Raffaella Frullone, il primo rischio è quello di trasmettere ai bambini l’idea che maschi e femmine sono totalmente intercambiabili e che le differenze sono imposte culturalmente dalla società, quando in realtà «maschi e femmine sono differenti sin dal grembo materno; sono differenti nei primi mesi di vita; sono differenti nell’ascolto e nella relazione e rimangono profondamente diversi per tutta la vita. Ogni cellula del nostro corpo, per nascita, è sessuata». Stiamo comunicando ai bambini due cose scientificamente false, e cioè che il sesso non è uno stato determinante per la persona e che si può cambiare identità sessuale. «Stiamo dicendo a dei bambini a cui non affidiamo neanche le chiavi di casa, perché troppo piccoli, che è possibile cambiare sesso». Può quindi accadere che un minore, per i motivi più diversi, si senta a disagio con il proprio corpo, e noi gli confermiamo che – sì, il suo corpo è sbagliato – e gli facciamo credere che possa davvero essere felice cambiando sesso. A questo punto può aprirsi una catena di eventi irreversibili, col ricorso ai bloccanti della pubertà (dal 2019 erogati dal Servizio sanitario nazionale), alle iniezioni di ormoni del sesso opposto fino agli interventi chirurgici per asportare i genitali esterni e ricostruire genitali posticci. Ci sono oggi migliaia di “pentiti” (i detransitioners) che sono stati indotti – ancora molto giovani – a sottoporsi a queste operazioni, e sono stati privati per sempre della loro capacità generativa.

Prima che si scatenasse la bagarre fomentata da alcuni contestatori presenti nella collegiata di Castelfranco, la giornalista ha concluso la sua conferenza leggendo un passaggio della lettera dei vescovi scandinavi per la Quaresima 2023, che ben sintetizza la tematica: «La Chiesa condanna ogni ingiusta discriminazione, qualunque sia, anche quella che si fonda sul genere o sull’orientamento sessuale. Dissentiamo da esso, tuttavia, quando il movimento propone una visione della natura umana che astrae dall’integrità incarnata della persona, come se il sesso fosse qualcosa di accidentale. E ci opponiamo quando tale visione viene imposta ai bambini come una verità provata e non un’ipotesi ardita, e imposta ai minori come un pesante carico di autodeterminazione al quale non sono preparati».


Una riflessione sul tema

Perché le famiglie dovrebbero vigilare

di don Francesco Ricciarelli

Nella migliore delle ipotesi sono inutili, nella peggiore hanno conseguenze gravi sulla vita e la salute dei minori più vulnerabili. Parliamo dei progetti, che stanno dilagando anche nelle scuole del nostro territorio, ispirati all’ideologia «gender», quell’ideologia cioè che considera l’identità maschile e femminile come un’imposizione culturale arbitraria e che pertanto sostiene la teoria per cui non è tanto importante il sesso con cui si nasce quanto la percezione che ciascuno ha di sé come maschio, femmina o altro. I sessi, infatti, sono due, ma i generi sono un numero indefinito.

I progetti in questione sono entrati, possiamo dire, “di prepotenza” nelle scuole di ogni ordine e grado. Come ha rivendicato l’assessora Nardini, «abbiamo rifinanziato la legge regionale 16/2009 “Cittadinanza di genere”, rendendo “obbligatoria” per accedere ai finanziamenti la realizzazione di percorsi di diffusione della cultura di genere e destrutturazione degli stereotipi di genere nelle scuole».

Non stupisce che, come mi è stato riferito da alcuni insegnanti, nelle scuole ci sia una certa pressione affinché si preferiscano progetti a tematica «gender» piuttosto che altri su argomenti diversi. D’altra parte gli stessi dirigenti scolastici talvolta sono all’oscuro delle implicazioni di quanto viene proposto agli alunni, ammettendo, ad esempio, di non sapere neanche che cosa sia la «teoria gender».

La conferenza di Raffaella Frullone tenutasi a Castelfranco la scorsa settimana era una buona occasione per chiarirsi le idee in proposito. Se le differenze tra maschi e femmine sono un dato di natura voluto da Dio, per chi crede, o determinato dall’evoluzione biologica, se si preferisce, non basteranno certo progetti scolastici di poche ore a scombussolare l’identità sessuale della maggioranza degli alunni. Esperimenti già condotti in questo senso nei kibbutz israeliani o nei Paesi scandinavi non hanno prodotto cambiamenti apprezzabili. Resta però il rischio di rare eccezioni – ma sempre più numerose – di minori che si lasciano illudere di poter cambiare sesso, e intraprendono devastanti percorsi di transizione. Qui non si tratta di teorie ma di persone in carne ed ossa. Su questioni tanto delicate non si può delegare tutto a istituzioni o associazioni esterne. Sta ai genitori vigilare sui progetti che vengono somministrati ai loro figli nelle scuole. La speranza infatti è che, come per i «Russians» di Sting, anche le famiglie del nostro territorio abbiano a cuore i loro figli.