Caritas San Miniato si presenta al vescovo Giovanni col suo patrimonio di realtà, strutture e competenze, senza le quali i nostri territori sarebbero infinitamente più poveri. Nella relazione del direttore don Zappolini lo sguardo verso il futuro e l’apertura ai giovani, con l’invito rivolto a tutti a mettersi in gioco nel servizio della carità, dimensione essenziale delle nostre comunità cristiane.
«Un incontro che mi ha veramente colpito! Osservare come ci sia tanta gente che dà letteralmente la vita per gli altri… Siamo di fronte a una delle dimensioni fondamentali della vita cristiana, ed è importante per me trovarla già così sviluppata e vissuta in diocesi. Questo mi riempie di grande speranza». Queste le parole a caldo del vescovo Giovanni al termine degli “stati generali” della Caritas diocesana, riunitisi sabato 25 marzo alle Capanne.
Tanti i volontari giunti da tutti i vicariati, per presentare al nuovo presule il loro impegno nella carità. La Caritas in questi anni (sono del 2022 i festeggiamenti per il mezzo secolo di vita) ha costruito un patrimonio di realtà, strutture e competenze, senza le quali i nostri territori sarebbero infinitamente più poveri. La mattinata si aperta con la relazione generale del direttore don Armando Zappolini, che ha illustrato lo stato dell’arte e le varie articolazioni di Caritas San Miniato attraverso quattro linee tematiche.
Caritas realtà viva e presente in diocesi «Abbiamo ben 17 centri di ascolto – ha sottolineato don Zappolini – distribuiti capillarmente in tutti i nostri territori. Questo non è un fatto scontato, soprattutto se raffrontato alla situazione di altre Caritas italiane. In questi anni abbiamo fatto nascere esperienze quotidiane di accoglienza attraverso le mense per i poveri – aperte sempre, anche a Natale e Pasqua -, i centri notturni o le case famiglia. Il nostro obiettivo è sempre stato quello di rispondere ai bisogni delle persone in difficoltà, per poi chiamare anche le istituzioni a elaborare insieme soluzioni concrete. La nostra grande forza sono i volontari, che operano da anni con dedizione e motivazione. Tra questi possiamo annoverare ultimamente anche alcuni giovani, che si stanno avvicinando a Caritas. Questo fatto esprime vitalità e dinamismo, ma su questo fronte c’è da fare ancora molto, per assicurare il ricambio generazionale dei nostri operatori».
Poi don Zappolini è passato a illustrare un prima nota critica: «Talvolta abbiamo la sensazione che la sensibilità sulla carità non sia patrimonio comune di tutti i parroci della nostra diocesi. Una cosa che spesso ripeto come battuta è questa: “Fatemi vedere nella vostra parrocchia dove avete stabilito la sede della Caritas e vi dirò che importanza gli date”. La funzione pedagogica è infatti per noi prioritaria. Non siamo una ong, né una generica associazione, noi siamo Chiesa che vive la dimensione costitutiva della carità».
Priorità della funzione pedagogica La seconda linea tematica su cui don Zappolini si è mosso ha portato la riflessione sulla funzione che Caritas esercita riguardo all’educazione alla carità di tutta la comunità credente: «Lo diceva meglio di me don Tonino Bello – ha richiamato don Armando -: “Caritas è l’occhio che fa vedere i poveri… è l’udito che fa ascoltare il pianto di chi soffre e amplifica la voce di Dio che provoca al soccorso… Caritas è lo strumento abilitato a far conoscere a tutta la comunità le situazioni di sofferenza e di bisogno, a stimolarla all’impegno generoso e, soprattutto, a far diventare le sofferenze di alcuni, problemi di tutti”. Le opere che facciamo sono segno, ossia un qualcosa che avverte che esiste un bisogno su cui occorre aprire gli occhi, il cuore e talvolta anche il portafoglio. Poi è la comunità tutta che deve arrivare a recepire questo bisogno. Il nostro target vero allora non è il povero che chiede da mangiare, ma i nostri fratelli e sorelle che vanno a Messa la domenica e che devono essere aiutati a scoprire la bellezza di una vita cristiana che si riempie di carità. Le nostre chiese sono troppo “pulite”… lo sporco dei poveri non entra in esse. Bisogna allora arrivare a sporcarle un po’… La finalità pedagogica non è oltretutto fine a se stessa, ma diventa stimolo a indagare le cause profonde che generano un problema o un’ingiustizia».
Miglioramento dei servizi in nome della dignità delle persone. La terza linea tematica era centrata sul rispetto dovuto a chi chiede aiuto: «Spesso accettiamo come fatto inevitabile che chi è nel bisogno debba accontentarsi di quello che trova. Questo però è poco in linea con il vangelo. Ricordiamo sempre che i bisognosi sono i prediletti di Gesù, in loro c’è Gesù stesso. Non ci è lecito dare loro quello che avanza. Da tempo stiamo lavorando per migliorare il nostro servizio, facendo in modo che il nostro aiuto verso i poveri non calpesti mai la loro dignità.
Se immaginassimo anche solo un po’ la strada che una persona ha fatto per poter arrivare da noi a chiedere un pacco, soffrendo magari una vita da miserabile, chiedendo l’elemosina per strada, noi dovremmo aprire il cuore in due quando. Madre Teresa diceva alle sue suore che la misura vera della carità si raggiunge solo quando saremo capaci di inginocchiarci davanti a un povero così come ci si inginocchia davanti all’Eucarestia». «Abbiamo allora realizzato – ha proseguito don Zappolini – un “magazzino virtuale” grazie al quale domanda (di chi cerca qualcosa) e offerta (di chi dona un oggetto) s’incontrano online.
I nostri due empori solidali di Santa Croce e San Miniato permettono poi, a chi ne ha bisogno, di riacquisire un certo potere economico, facendo la spesa tramite un sistema a punti; modalità che intende, nel tempo, superare il concetto di dipendenza dal pacco alimentare. Abbiamo inoltre rafforzato tutti i centri di ascolto dotandoli di strumenti M informatici per metterli in rete, e siamo impegnati in uno sforzo importante di qualificazione degli stessi centri, con percorsi di formazione erogati ai volontari sulle competenze che occorrono per imparare ad ascoltare chi chiede aiuto».
Attenzione ai giovani L’ultima linea tematica trattata da don Zappolini ha riguardato l’ambito dei giovani: «Caritas ha attivo il progetto di Servizio civile e l’Anno di volontariato sociale, che è un anno nel quale un giovane decide di svolgere volontariato in Caritas su dei progetti specifici e che avvicina in modo più strutturale i giovani al nostro mondo. Vogliamo davvero aprirci ai giovani, non solo per sostenere i servizi ma anche per godere di una visione nuova e diversa che ci aiuti a cambiare. Sui giovani è attivo dal 2019 anche il progetto “Le 4 del pomeriggio”, la cui idea di fondo è: “un prete, un pulmino e otto ragazzi”. L’ultimo progetto che abbiamo tentato è poi quello di Young Caritas», che aveva dato ottimi risultati durante il momento più critico della pandemia, con decine di giovani impegnati nella distribuzione di generi di prima necessità.
Alla relazione del direttore sono seguiti gli interventi di volontari e operatori che hanno dettagliato nello specifico le differenti articolazioni del mondo Caritas diocesano: Nadia Magni ha parlato della realtà preziosa e strategica dei centri di ascolto, Romano Menichini dei due empori solidali, Fabrizio Gallerini e Simone Lorenzini della mensa e dei centri notturni, Barbara Pasqualetti del Servizio civile e dell’Anno di volontariato sociale, Mimma Scigliano ha ragguagliato in merito alla formazione degli operatori e alla progettazione per ottenere i fondi dell’8×1000 («tutti i progetti fin qui presentati, sono stati sempre finanziati dalla Cei, segno che si è lavorato bene», ha commentato la Scigliano). Hanno chiuso questo giro di presentazioni Michela de Vita che ha raccontato della realtà di Casa famiglia e lo stesso don Armando che ha informato sull’attività degli sportelli di ascolto sul gioco di azzardo.
Monsignor Paccosi, tirando le fila e commentando in finale la relazione del direttore, ha detto: «Il richiamo di don Armando alla frase di don Tonino Bello è l’orizzonte nel quale anche io concepisco l’importanza della Caritas, ossia quello di essere un aiuto alle nostre comunità per sperimentare fino in fondo questa dimensione teologale della carità, che se non si vive fino alla carne – oggi è il giorno dell’Annunciazione; ossia di Dio che si fa carne –, se non si arriva ad amare fino al punto di mettere le mani in pasta, rimane una carità solo a parole. C’è una frase di Charles Péguy che è tremenda da questo punto di vista e che c’inchioda tutti: “Siccome non amano nessuno, dicono che amano Dio”. Ecco questo rappresenta un grosso rischio per noi: essere così disincarnati da rendere la nostra religiosità qualcosa che non c’entra nulla con la carne di chi soffre, che poi è la carne stessa di Gesù».
E ha proseguito: «Chi guarda invece la realtà, avendo Gesù nella coda dell’occhio, vede cose che gli altri non vedono. Se si pensa alla storia, ci si rende conto, ad esempio, che i primi ospedali e orfanotrofi sono nati dentro la tradizione cristiana, per diventare successivamente patrimonio di tutti. E quando si perde l’impronta cristiana iniziale, questi luoghi cominciano a perdere quella capacità di accoglienza e di amore all’altro, per cui sono nati. Vi ringrazio allora per la grande opera che state portando avanti, la mia gratitudine verso di voi è già ora grandissima, perché siete il volto più vicino alle persone della nostra Chiesa».