Il percorso sulle donne nella storia della diocesi di San Miniato incrocia la vita di una monaca di clausura vissuta in anni recenti nel monastero agostiniano di Santa Croce.
È almeno singolare, incontrare una figura come suor Rita dello Spirito Santo, vissuta praticamente tutta la vita a pochi metri da noi, senza che lo sapessimo, né l’avessimo mai sentita nominare. La ricerca sulle donne nei quattrocento anni di storia della Diocesi di San Miniato, può produrre anche questo: farci fare scoperte assolutamente imprevedibili. Cosa senza dubbio dovuta al fatto che si parla appunto di donne. Non ci interessa naturalmente schierarci, scendere in un dibattito fatto di fede, e anche di persecuzione, quello che conta dire è che – anche in questo caso – la questione è di genere, le suore, proprio come donne, possono essere facilmente dimenticate. Si veda l’esempio di santa Chiara, che voleva seguire Francesco per le strade del mondo e che invece fu destinata alla clausura, ad una preghiera, importante, ma nascosta al mondo, celata. Qualcosa di simile è quanto accaduto a questa suora del Convento agostiniano di Santa Cristiana, a Santa Croce sull’Arno, una “mistica” del ‘900, destinata ad essere rimossa, “nascosta”, a differenza degli uomini – addirittura dei santi, come padre Pio – con cui lei fu in rapporto, con il quale passeggiava nella notte per le strade del mondo. L’abbiamo detto all’inizio, non ci faremo prendere dal racconto dei tanti miracoli che questa suora fece in vita e dopo la morte, almeno secondo la narrazione, dei tanti racconti e anche di alcuni libri, uno in particolare che abbiamo letto con attenzione, intitolato «La “bambina” di padre Pio: Rita Montella», scritto da una brava giornalista torinese Cristina Siccardi ed edito nel 2003 da Città Ideale di Prato e dall’Associazione Amici di Suor Rita, che ha sede a Foligno. Vorremmo semplicemente scrivere che questa donna ha abitato per cinquant’anni nel Monastero di Santa Croce, che come paese ci pare poco votato alla spiritualità.
Era nata a Cercola, alle falde del Vesuvio, il 3 aprile del 1920. Ben presto, vista l’estrema povertà della famiglia, fu affidata a una zia, Carolina Manna, che abitava a poca distanza da casa sua e dalla quale apprese l’arte del cucito e del ricamo, ma presso la quale iniziarono anche le esperienze di rapporto con il trascendente. Fu appunto un quadro raffigurante san Gerardo Maiella (1726-1755) che si animò e le predisse che si sarebbe fatta suora. Come racconta Cristina Siccardi, anche durante la sua infanzia, furono molte altre le È vicende più o meno miracolose, che attraversarono la vita della fanciulla, fino all’arrivo al monastero di Santa Croce, dove andò su indicazione di un suo confessore, che le indicò proprio quel convento, come luogo deputato, il luogo della sua vita di religiosa. Suor Rita fu appunto a Santa Croce nei successivi cinquant’anni, da lì – nonostante alcuni tentativi che lei non avrebbe voluto – non si sarebbe mai più allontanata.
A Santa Croce costruì, certo senza volerlo, la sua fama di santità, entrando in rapporto soprattutto con il “nonnino”, quello che oggi è san Pio da Pietrelcina, ma che allora era un uomo spesso vittima di soprusi e di altre angherie. Padre Pio chiamava Rita la sua “bambina”, vivendo con lei una serie interminabile di incredibili bilocazioni, cioè momenti in cui, insieme a Maria Vergine, all’Angelo Custode e ad altri santi, si spostavano verso i capezzali dei malati o nelle celle dei perseguitati per motivi religiosi.
Sono moltissime le testimonianze, che provengono spesso da persone che vivevano in un ristretto circondario, e che raccontano la singolarità della vita di suor Rita, la quale fin da subito smise di nutrirsi e anche di dormire, cose che potevano facilmente essere sostituite dall’Eucarestia, nutrimento dello spirito, ma anche del corpo, almeno secondo alcuni. Siamo insomma davanti ad una importante figura di religiosa, che merita di essere conosciuta, in perenne matrimonio con l’oggetto della sua fede, cioè con Gesù Cristo. Non chiediamo al lettore di sottoscrivere le nostre parole, né quelle del libro di Cristina Siccardi, dobbiamo però prendere atto di una serie di fatti che possono essere difficilmente spiegati, se non a patto di credere in qualcosa che va al di là della semplice razionalità. Vogliamo cioè dire che senz’altro questa suora soffriva nel corpo (tra l’altro perennemente ferito da un cilicio, ma anche da una serie di segni sulle mani e sul costato analoghi a quelli di Cristo), e anche nell’anima. Questo pur vivendo in armonia e semplicità la propria condizione di mistica, che nel nostro secolo non è tanto diversa dalla vicenda di tante altre donne che, nei secoli passati, furono accusate di stregoneria.
Suor Rita era attraversata da fenomeni eccezionali, come le stigmate, la bilocazione, la lettura del pensiero, le nozze mistiche, in questo caso come santa Caterina d’Alessandria, ben rappresentata a San Miniato, nella chiesa a lei intitolata. Non è nostro compito entrare nel merito, dire cioè se Giovanna d’Arco o anche altri grandi personaggi della storia fossero in realtà delle persone da curare, certo non possono essere ignorati, perché la loro esperienza di vita ha mosso e a volte continua a muovere importanti flussi di persone. Scrive la Siccardi, come nel ‘900 «il mistico, la mistica diverranno quasi vergogna e, come tale, da nascondere, da silenziare, da beffeggiare e sopprimere. Nuova caccia alle streghe in una forma di inquisizione apparentemente meno violenta e cruenta. Tutto in nome di una civiltà moderna, che non ha nulla da spartire con la fantasia dello Spirito e l’illogicità del mistero».
Sappiamo anche che suor Rita dello Spirito Santo ha oggi una notevole venerazione, realizzata in una serie di pubblicazioni su di lei e anche in gruppi di sostegno alla sua causa. Del resto il Monastero di Santa Cristiana, nel decimo anniversario della morte, volle riportare il corpo della religiosa all’interno della mura del convento, dietro l’altare della chiesa, in un luogo dove non è possibile accedere, se non con una apposita chiave. La traslazione è avvenuta in una atmosfera «tesa e contorta, fatta di estrema diffidenza e segretezza» (Siccardi).
All’indomani della morte, il Bollettino del Monastero di Santa Cristiana, notava come alle sue esequie parteciparono «anche quelli che mai l’avevano conosciuta, ed ora la piangevano come se di ognuno essa fosse madre e sorella, e a tutti veniva spontaneo raccomandarsi, alle sue preghiere. In quel momento abbiamo pensato alla misteriosa ed irradiante realtà di una vita spesa nel nascondimento, nella sofferenza e nella preghiera, che ora si rivelava in quella corale testimonianza di comunione e di fede».
Insomma suor Rita dello Spirito Santo merita almeno di essere ricordata all’interno di una ricerca sulle donne nella nostra Diocesi, che si creda o no alla sua santità e a tutto quello che ella riuscì a muovere, testimoniato tra l’altro in migliaia di lettere e anche in altri materiali per il momento celati alla ricerca, ma chissà, forse domani a disposizione degli storici e degli studiosi.