La scorsa settimana abbiamo dato notizia dell’imminente accoglienza di alcune donne migranti con bambini nella ex scuola materna “Immacolata” di Selvatelle, struttura riconvertita in abitazione e affidata in gestione alla cooperativa “Il Cammino” tramite Caritas San Miniato. L’ingresso delle prime mamme con i loro piccoli è avvenuto lo scorso giovedì 7 settembre; si tratta di 4 donne e 5 bambini provenienti da Camerun, Costa d’Avorio e Tunisia. In tutto 9 ospiti, con la previsione di arrivare a 12; quanti ne può accogliere massimo la struttura.
Come ricorderanno i nostri lettori, la vicenda dell’ex scuola materna si era intrecciata con l’appello lanciato a metà luglio dal vescovo Giovanni, perché si realizzasse nei nostri territori un’accoglienza fattiva e generosa dei tanti migranti in arrivo in numero crescente nel nostro paese. La bella storia di Selvatelle ci offre allora l’opportunità per fermare l’obiettivo sullo status quo dell’accoglienza in diocesi, dando notizia delle realtà che si occupano più da vicino di questo insostituibile servizio. Partiamo dal presupposto che al momento tutte le strutture della diocesi dedicate all’ospitalità di profughi e migranti sono impegnate a pieno regime, così come il personale professionale chiamato a gestirle. Ugualmente significativo è lo sforzo che stanno sostenendo le realtà che organizzano i vari servizi di accoglienza e inclusione. Queste realtà coinvolte sono essenzialmente tre: le cooperative Pietra d’Angolo e Il Cammino (collegate entrambe con la Caritas diocesana), e il Movimento Shalom. Più di tutto però sono i numeri a fornire la dimensione dell’emergenza: sono 471 – al momento in cui scriviamo – le persone accolte e gestite da questi tre enti, «ma i numeri sono in continua evoluzione» come ci precisa Michela De Vita, presidente della Pietra d’Angolo, che ha elaborato i dati che riportiamo di seguito.
Proprio la cooperativa Pietra N d’Angolo, ad esempio, si sta facendo carico di 191 migranti di cui 119 ospitati in Centri di Accoglienza Straordinaria (CAS – un ibrido tra le cosiddette prima e seconda accoglienza) e 72 in Servizio di accoglienza e integrazione (SAI). Le collocazioni sono a pioggia su tutto il territorio diocesano: San Miniato, Montopoli, Fucecchio, Santa Croce, Castelfranco… Ma la Pietra d’Angolo gestisce l’ospitalità di questi profughi anche in strutture che si trovano al di fuori del territorio diocesano, in particolare a Montelupo, Empoli e Castelfiorentino. «L’accoglienza ha subito cambiamenti importanti in questi anni – confida la De Vita –, soprattutto da un punto di vista normativo. Il nostro lavoro non è facile anche per questo motivo. Negli ultimi anni inoltre – al netto di tutte le complessità – abbiamo riscontrato anche una certa difficoltà a reperire personale qualificato capace di svolgere questo tipo di servizio. Il lavoro più importante resta quello da svolgere con le comunità, con i territori, per favorire l’integrazione delle persone migranti. La cultura di chi arriva spesso è molto lontana dalla nostra. Un’attenzione tutta particolare poi ce la richiedono le cosiddette famiglie mono parentali, ossia mamme con bambini che incontriamo sempre più frequentemente. Qui l’impegno maggiore va nel costruire il rapporto con la scuola, soprattutto quando i bambini arrivano ad anno scolastico già iniziato. In questo resta insostituibile il lavoro dei mediatori culturali».
La cooperativa Il Cammino è invece maggiormente impegnata in Valdera e ha al momento in carico 115 persone tutte in CAS, di cui 46 ospitate in strutture disseminate sul territorio diocesano tra Ponsacco, Casciana Terme, Lari, e Terricciola (con la scuola di Selvatelle) e 69 migrati ospitati fuori diocesi: Peccioli, Pontedera, Pisa, Vecchiano e Vicopisano. «Il Cammino – ci confida il suo presidente Matteo Lami – ormai da anni si occupa di accoglienza dei migranti. Accogliere per noi vuol dire condividere un percorso con altre persone, accettando e valorizzando le diversità. Questo è quello che stiamo iniziando a fare anche in questa nuova esperienza a Selvatelle, dove vorremmo aiutare mamme e bambini a ripartire, accompagnandole con le nostre professionalità, verso l’integrazione con il territorio». Importanti anche i numeri del Movimento Shalom che accoglie e gestisce 165 immigrati tra Palaia, Forcoli, La Rotta, Cerreto e Fucecchio, tutti in CAS. Alcuni di questi sono ospitati anche in appartamenti extra diocesi a Calcinaia e Montaione.
«Il nostro sforzo per l’accoglienza dei migranti – ci dice il direttore di Shalom Luca Gemignani – in questo 2023 è stato particolarmente intenso. Negli ultimi mesi abbiamo avuto arrivi settimanali e talvolta non siamo riusciti a mettere a disposizione tutti i posti che ci venivano richiesti dalle prefetture di Pisa e Firenze. Abbiamo inoltre riscontrato un arrivo importante di minori non accompagnati, per i quali ci stiamo attivando per realizzare un centro a loro dedicato nel comune di Fucecchio, che potrà ospitare da 12 a 15 ragazzi. Per loro verrà pensato un progetto specifico, con assistenza h24 qualificata. Per altro verso, riscontriamo invece dati confortanti: molti richiedenti asilo che sono qui da tempo, e che hanno effettuato il loro percorso istituzionale, grazie al nostro accompagnamento sono riusciti a trovare un lavoro dignitoso. Alcuni di loro sono persino stati in grado, mettendosi insieme, di prendere un appartamento in affitto. Questa è una cosa che ci fa particolarmente piacere. Si tratta di una risposta sociale a questa emergenza, che incontra a pieno la dignità delle persone».
Don Armando Zappolini direttore di Caritas San Miniato commenta il quadro complessivo con queste parole: «La nostra diocesi ha una spiccata sensibilità nel campo dell’accoglienza e della solidarietà. Le cooperative “Pietra d’Angolo” e “Il Cammino”, insieme al Movimento Shalom, con le centinaia di persone che accolgono, dicono che abbiamo un cuore grande e un’attenzione spiccata per questa emergenza sociale. La nostra Caritas, collegata con le due cooperative, attraverso la solidarietà si propone come esempio di cittadinanza attiva e di partecipazione concreta ai bisogni dei territori. È proprio questo quello che ci è chiesto: sostenere, formare e indirizzare le coscienze, per poi lasciare alle realtà del privato sociale, la capacità professionale di intervenire sui problemi. Davanti al disagio delle persone, infatti, non basta il buon cuore ma occorre anche una professionalità che le cooperative e le associazioni del terzo settore possono garantire».