GIUBILEO DELLA DIOCESI - I NOSTRI 400 ANNI

Maria Maddalena d’Austria, Napoleone e i canonici Buonaparte

di Andrea Mancini

Ancora alla scoperta delle donne che hanno fatto la storia della diocesi, con qualche parola su Maria Maddalena d’Austria e Cristina di Lorena, artefici della nascita della Chiesa di San Miniato, ma anche sulla famiglia Buonaparte, a partire da monsignor Andrea Buonaparte, primo vicario della nuova diocesi, dal gennaio 1623 al marzo 1624.

Gli inizi della diocesi di San Miniato, nel dicembre 1622, suggeriscono un paio di digressioni nel nostro viaggio tra le donne, ma anche tra gli uomini che hanno avuto un ruolo negli ultimi 400 anni di storia. Sì, perché dobbiamo parlare di due figure femminili che non avrebbero bisogno delle nostre parole, cioè Maria Maddalena d’Austria, la moglie di Cosimo II e Cristina di Lorena, sua suocera, due figure che furono fondamentali per la nascita della diocesi e che hanno già una loro storia fatta di libri, ma anche di ritratti e addirittura statue, nella stessa San Miniato. In particolare quella in marmo di Maria Maddalena, che si trovava in piazza del Seminario e che fu abbattuta da alcuni facinorosi alla fine del ‘700, all’epoca della Rivoluzione Francese. In epoca più recente, grazie al pittore Dilvo Lotti, i resti di questa grande scultura furono recuperati e messi a un vertice del triangolo tra via Del Bravo e via Rondoni, sotto il crocifisso in ceramica smaltata dello stesso artista. Le due granduchesse avevano, per motivi ereditari, il dominio sulla città e su altri centri vicini e operarono affinché si distaccasse da Lucca, diventando suffraganea di Firenze e della loro influenza. Ebbene in attesa dell’insediamento del primo vescovo di San Miniato, che fu monsignor Francesco Nori, dal gennaio 1623 al marzo 1624, il vicario che si assunse l’incarico di reggere le sorti della città e della sua vasta area d’influenza, fu monsignor Andrea Buonaparte, a pochi giorni cioè dalla Bolla pontificia che istituiva la diocesi il 5 dicembre 1622.

Insomma, abbiamo parlato delle donne Buonaparte, ma qui non sarebbe giusto tralasciare gli uomini, giacché siamo a duecento anni dalla morte di Napoleone, che più meno direttamente veniva da questa famiglia sanminiatese. Esiste qualcosa di più di una tradizione che lo vuole bambino, scapigliato, a correre insieme ai piccoli di San Miniato, in quella che oggi si chiama piazza Buonaparte, proprio in memoria di questi nobili sanminiatesi, che a partire dal 1268 si sarebbero spostati da Firenze, verso le terre tra Valdelsa e Valdarno, nella zona tra villa La Selva, fattoria di Canneto e chiesa di Calenzano, dove probabilmente avevano già dei possedimenti.

Il primo di questi Buonaparte si chiamava Giovanni il Ghibellino e prese casa nel suo podere di Canneto, appunto in quell’area geografica. Sono stati poi molti i Buonaparte che hanno dato lustro alla città, sia uomini che donne, ma non possiamo appunto non ricordare monsignor Andrea Buonaparte, le cui fattezze furono fermate in un ritratto di discreta fattura che – non crediamo sia solo una nostra impressione – ci pare richiamare le fattezze di Napoleone, realizzazione del ritratto postuma che è vicina agli anni del trionfo dell’Imperatore. Certo non è un caso se nella descrizione, messa sopra al quadro, Buonaparte diventi Bonaparte alla francese, con un evidente omaggio all’imperatore. Furono moltissime le figure di sacerdoti (e, come sappiamo già, anche di religiose) che vengono dalla famiglia Buonaparte, ma ci sono stati anche avvocati e figure centrali nelle varie cariche pubbliche, vorremmo almeno ricordare Jacopo Buonaparte, illustre storico e filosofo, presente in un’importante opera di Amalia Ciardi Dupré nel duomo di San Miniato e Niccolò Buonaparte, autore nella seconda metà del 500 di una commedia con richiami ai classici latini, ma anche alle maschere dell’Arte, che proprio in onore di Napoleone fu ripubblicata a Parigi nel 1803 e riportata in scena, in anni più vicini a noi, nel chiostro del Conservatorio di Santa Chiara, con grande successo anche di critica.

Insomma sono molti i legami tra Napoleone, morto il 5 maggio 1821, esattamente duecento anni fa e San Miniato, in edifici, piazze, persone e poi ci sono le visite del futuro imperatore allo zio canonico, Filippo Antonio Buonaparte, parroco di Calenzano, dove come abbiamo detto la famiglia aveva vaste proprietà. Sì, le due visite, almeno secondo alcuni studiosi (tra l’altro il canonico Galli Angelini e Dilvo Lotti, nel suo «Napoleone Buonaparte Toscano Europeo», edizioni dell’Erba 1995). La seconda è quella ben documentata del 29 giugno 1796, Napoleone è già un generale, un vincente, arriva a San Miniato a tarda sera, tra le 22 e le 23, a trovare lo zio canonico, che per problemi di salute non è andato a rendergli omaggio. La visita è documentata appunto da varie cronache e con qualche fantasia anche dal pittore Egisto Sarri, nella seconda metà dell’800. La prima visita invece, pare sia stata di Napoleone bambino (era nato il 15 agosto 1769, non aveva neanche dieci anni), dal 18 al 28 dicembre 1778. In questi dieci giorni il ragazzo diventò sanminiatese a tutti gli effetti, giocando insieme agli altri fanciulli, tra via Maioli, piazza Buonaparte, via de’ Mangiadori, la piazzetta di Santo Stefano, via Rondoni, la salita di Sant’Andrea.

La maggior parte di questi luoghi avevano nomi diversi, ma corrispondevano quasi perfettamente con gli spazi odierni. Venne a San Miniato, accompagnato dal padre Carlo e dal fratello Giuseppe, per avere dallo zio canonico Filippo Antonio Buonaparte, la cosiddetta patente di nobiltà, che gli avrebbe permesso di entrare al Collegio Militare di Brienne. Sappiamo naturalmente che nell’aprile successivo Napoleone avrebbe iniziato la sua carriera militare, con gli sviluppi universalmente noti. Lotti racconta (pp.18-19), o forse meglio immagina, i giochi che Napoleone e i piccoli sanminiatesi avranno fatto nei luoghi citati, in particolare un gioco guerresco di «vago sapore napoleonico», quello della Tonda, che si faceva in quello spazio singolare formato dal vecchio nucleo delle case Mangiadori, quella specie di triangolo formato da via Del Bravo, via Rondoni e appunto via de’ Mangiadori. Il punto di partenza era il pozzo nel mezzo alla piazza, oggi sostituito dal monumento a Leopoldo II (che fu eretto nel 1843). Una squadra saliva verso via Del Bravo, un’altra dalla più ripida salita de’ Mangiadori, si incontravano nel budello di via Rondoni e lì aveva luogo un vero e proprio scontro, con qualcuno che riusciva a scappare e a correre verso la piazza, nelle due opposte direzioni. Chi arrivava prima vinceva la gara, con divertimento assicurato per tutti, soprattutto quando la corsa fosse stimolata da particolari strategie e tattiche di “guerra”, che il giovane Napoleone forse aveva già innate nella sua natura, che si dice piuttosto insofferente.