Riflessioni e impegno della Chiesa contro la guerra

«La Via della Pace secondo papa Francesco»

di Francesco Fisoni

Don Bruno Bignami, direttore dell’Ufficio nazionale per i Problemi sociali e del lavoro della Cei, invitato a Santa Croce da Pax Christi, ha tracciato i pilastri del magistero della Chiesa sulla pace, mettendo in luce la riflessione capitale di papa Francesco su questo tema. Dal superamento del concetto di «guerra giusta», fino all’urgenza di una cultura dell’incontro, la serata ha riproposto la pace come bene inalienabile.

Don Tonino Bello sosteneva che bisogna appassionarsi alla pace quando questa c’è e gode di ottima salute. Purtroppo gli esseri umani se ne interessano soltanto una volta che se n’è andata per far posto alla guerra. Per invitare a rifletter sul bene prezioso della pace e sensibilizzare tante coscienze ancora assopite, da oramai due anni il “Punto pace” di Pax Christi della diocesi di San Miniato propone all’attenzione delle nostre comunità, incontri ed eventi su questo bene prezioso come l’aria che respiriamo. L’ultimo appuntamento è stato quello di venerdì 30 maggio nella chiesa di Sant’Andrea apostolo a Santa Croce sull’Arno, ospite don Bruno Bignami, sacerdote cremonese, direttore dell’Ufficio nazionale per i problemi sociali e del lavoro della Cei, che ha tenuto un intervento dal titolo: «La via della pace secondo papa Francesco».

L’incontro è stato presentato da Leopoldo Campinotti, referente del Punto Pace diocesano e introdotto dal vescovo Giovanni. Prima di dare la parola al relatore, monsignor Paccosi ha rimarcato lo sgomento che pervade tutti noi all’osservare «la crudeltà e l’ingiustizia delle guerre in corso. La voce di papa Francesco, che ogni giorno ha ridetto al mondo la verità sulla guerra come follia e ha indicato ogni giorno la via del dialogo e dell’accettazione dell’altro come bene, riecheggia anche ora con la stessa forza nelle parole di Leone XIV. Le parole “pace disarmata e disarmante” all’inizio del suo pontificato hanno colpito tutti. Abbiamo bisogno di una pace che non può essere più rimandata» È stata poi la volta di don Bignami, che ha articolato la sua riflessione su cinque punti chiave, stagliando la grandezza del messaggio di papa Francesco sul tema specifico della pace. Il primo a essere sviscerato aveva a che fare con la storia e la dottrina. Bignami ha ripreso il concetto di «guerra giusta», nato con Agostino e ampliato da Tommaso d’Aquino, scaturito nella riflessione cristiana dall’esigenza di mettere degli argini alla guerra, limitandola il più possibile. Più tardi la riflessione della Chiesa ha introdotto il criterio della proporzionalità tra mali provocati e bene procurato.

Naturalmente queste riflessioni nascono in un contesto storico in cui le armi erano ferri e spade. Con l’avvento della polvere da sparo, e soprattutto con le armi messe a disposizione dalla rivoluzione tecnologica in epoca moderna, si è cominciato a utilizzare mezzi D che non servivano più solo a colpire il nemico ma anche a farlo soffrire. C’è poi un fatto ineludibile: nelle guerre moderne sono coinvolte in modo importante le popolazioni civili, si pensi, per portare solo l’esempio più clamoroso all’utilizzo della bomba atomica su Hiroshima e Nagasaki. Questo stato di cose ha avviato una riflessione profonda all’interno della Chiesa, che ha sancito che la categoria di “guerra giusta” formulata ai tempi di sant’Agostino non regge più. E infatti un documento come l’enciclica “Pacem in terris” di Giovanni XXIII del 1963, segna un punto di svolta fondamentale, affermando che nell’epoca delle armi atomiche «riesce quasi impossibile pensare che la guerra possa essere utilizzata come strumento di giustizia». È una riflessione che ritorna poi anche nel documento conciliare della “Gaudium et spes” al n. 80. Il magistero di papa Francesco ha portato poi a ulteriore maturazione questo percorso di riflessione, confermando l’impossibilità nel contesto attuale di sostenere il concetto di “guerra giusta”.

Un secondo punto che il relatore ha invitato a considerare è stato quello della necessità di superare la logica binaria del conflitto: dopo la seconda guerra mondiale ci si è stimolati a pensare sulla guerra e la pace dalla prospettiva delle vittime, morti e sopravvissuti. È una riflessione che trova nel discorso tenuto da Paolo VI nel 1965 all’Onu un suo perno strutturale. Quando si pensa a una guerra si pensa di solito allo scontro tra due capi di Stato (logica binaria), ma la Chiesa – ha proseguito don Bruno – afferma con forza che è la logica ternaria quella che bisogna aver presente: dentro le guerre esiste infatti anche la terza realtà dei civili: donne, vecchi, bambini… volti concreti, che sono vittime. La logica binaria semplifica molto la realtà e non permette di comprenderne la complessità. Suggestivo lo spunto dato a questo proposito dal relatore, quando ha fatto balenare l’idea che gli algoritmi funzionano esattamente su logica binaria 0-1: non è un caso, ha affermato, che siano proprio in questi luoghi virtuali che la violenza esploda talvolta in modo indiscriminato.

Il terzo punto esplicitato da don Bignami era relativo all’idea che l’unità è più importante del conflitto. Il conflitto non sarebbe in sé un problema, bisogna però imparare ad abitarlo, perché fa parte dell’esperienza umana. Gli esseri umani non si capiscono mai del tutto tra di loro, proprio per questo abbiamo bisogno di ascoltarci e di aprirci gli uni agli altri, come accade a un marito con la moglie, ai genitori con i figli, o sui luoghi di lavoro e nei corpi sociali. Se ci sono conflitti significa che siamo in presenza di realtà vive. E in questo senso ha colpito l’invito fatto dal sacerdote a non utilizzare i termini “conflitto” e “guerra” come sinonimi: i conflitti possono avere una valenza positiva, di crescita. A questo proposito ha suggerito ai presenti di approfondire due approcci, a suo giudizio, estremamente efficaci per superarli, quello del pedagogista Daniele Novara e il “metodo Rondine”.

Il quarto punto ha focalizzato l’attenzione sulla follia costituita dalla corsa agli armamenti, anche questo un tema molto caro a papa Francesco. Le ragioni sono di giustizia, per via della sottrazione di risorse alla spesa sociale che altrimenti sarebbe destinata ai più poveri e fragili (sanità, istruzione, ecc.). C’è poi un’altra evidenza da considerare: se io mi armo, prima o poi farò uso di quelle armi, è un rischio concreto. La storia smentisce infatti in modo radicale il principio della deterrenza, che era espresso nella massima dei latini: «Se vuoi la pace, prepara la guerra». Le relazioni umane sane e compiute non possono mai fondarsi sul principio dell’equilibrio del terrore, quindi sulla paura. Da cristiani sappiamo che il punto cardine delle relazioni è la fiducia. È il Risorto stesso che, dopo il saluto di pace dato agli apostoli, invita continuamente a non avere paura. La paura è il metodo delle relazioni impoverite. E allora la corsa agli armamenti fa un danno anche all’idea di uomo che stiamo costruendo, ed è il nostro stesso modello antropologico a entrare in crisi con la corsa agli armamenti. Don Bignami ha concluso il suo intervento (quinto punto), invitando a riflettere su ciò che possiamo fare noi in prima persona. La risposta ce la regala di nuovo papa Francesco: occorre essere «artigiani di pace». La pace è consegnata alla nostra creatività. Questo implica però il coraggio di dir chiare certe cose: per esempio che in guerra sono soprattutto gli inermi a soffrire. Dobbiamo inoltre essere i primi – da cristiani- ad insegnare come si abitano i conflitti. Occorre poi educarci alla cultura dell’incontro: il dialogo è l’unica vera “arma politica” a nostra disposizione. La cultura della pace come sta scritto nella “Fratelli Tutti” è insomma una dinamica laboriosa, questo ci restituisce a una responsabilità: non bisogna mai smettere di costruirla.