Annunciata all’inizio di settembre, la nomina di don Giuseppe Volpi a parroco di Fauglia e Valtriano è stata seguita con attenzione e partecipazione anche dalla stampa locale, soprattutto per il dolore e il clamore che la notizia ha suscitato nelle comunità di Palaia, Partino e Villa Saletta, dove don Volpi era parroco da 15 anni. Gli attestati di affetto e stima con cui i suoi, ormai ex, parrocchiani lo hanno sommerso in queste settimane dall’ufficializzazione del trasferimento, sono stati «legione». Non è mancato anche lo sconcerto, umanamente comprensibile in queste circostanze, di chi avrebbe preferito non vivere mai questo distacco. La vita cristiana come insegna san Paolo è fatta così: una corsa, in cui ad ogni momento è chiesta la disponibilità a «sciogliere le vele», ad accettare il nuovo che incombe, ad avere occhi assetati di futuro. Come uomini e donne di fede sappiamo che la Provvidenza non ci lascia mai soli e continua ad agire senza requie nelle nostre vite e nelle dinamiche delle nostre comunità, anche se talvolta può sembrare che ci entri in casa frantumandoci i vetri, come diceva il geniale Louis Veuillot. Abbiamo aspettato a parlare con don Volpi, a chiedergli un’intervista. Volevamo lasciar smorzare il frastuono e far sublimare il dispiacere di tanti che gli hanno voluto bene in questi tre lustri di servizio nel palaiese. Adesso, a notizia decantata, e in occasione del suo ingresso a Fauglia e Valtriano – evento di gioia, non dimentichiamolo! – previsto per questo sabato 3 ottobre alle ore 15, gli abbiamo proposto di raccontarci un po’ di lui, in una chiacchierata a cuore aperto che don Giuseppe ha accettato con grande disponibilità.
Sei sacerdote dal 2003: la tua è stata una vocazione relativamente «adulta», avevi infatti 36 anni quando sei stato consacrato sacerdote dalle mani del vescovo Ricci. Ci vorresti raccontare qualcosa della tua spiritualità e del cammino che ti ha portato a essere prete?
«Sono cresciuto in una famiglia dove mi sono stati trasmessi genuini valori cristiani: l’incontro con il Signore è, quindi, avvenuto in maniera naturale, ordinaria, all’interno di una comunità cadenzata dagli impegni, dai progetti e dai sogni della vita di tutti i giorni, e alimentata dalla forza della fede attraverso la preghiera e la Messa domenicale. Sono stati questi gli ingredienti che poi mi hanno suscitato delle domande che mi hanno messo in discussione e mi hanno fatto dire: Cosa farò della mia vita? A un certo punto ho capito che il mio posto nella Chiesa doveva essere un altro e ho iniziato un viaggio interiore; ma era Dio che mi guidava e poi ho capito quello che il Signore mi stava chiedendo. Questo viaggio sta proseguendo…»
Sei stato parroco a Palaia per 15 anni. Puoi fare un bilancio di questi anni? C’è qualcosa che vorresti dire a don Holin D’Cruz che ti subentrerà?
«Non considero questo il momento per fare dei bilanci ma, sostenuti dal Signore, mi dico e vi dico: guardiamo avanti per continuare a fare del bene e a fare ancora meglio. Insomma, non c’è da perdere tempo per fare dei bilanci: c’è, invece, la necessità di riscoprire la nostra appartenenza alla Chiesa come casa di tutti: dove si prega, ci si accoglie, ci si incoraggia e aiuta. Un consiglio al mio successore? Di avere fiducia in Dio, di essere sereno, di stare accanto alla gente: la Chiesa è il popolo di Dio».
Le comunità di Fauglia e Valtriano sono state colpite, nel luglio scorso, dal lutto per l’improvvisa scomparsa di don Stanislas Ngendakumana. Come senti di voler star loro vicino nei primi tempi del tuo ministero e cosa dirai al momento del tuo ingresso?
«La scomparsa di don Stanislas ci interpella ancora oggi, ci lascia senza fiato e ci fa dire: “Signore, ridonaci il respiro per una nuova partenza in questa vita”. Sì, credo che l’augurio da farci sia quello di affrontare la vita con una voglia nuova, un nuovo impegno, una nuova curiosità, certi di costruire il nostro futuro rendendo migliore il presente. Cercherò, in questo senso, di esercitare al meglio il servizio dell’ascolto, di mettermi a disposizione delle persone per intercettare i loro bisogni. A volte occorre saper tacere per dare spazio alle parole dell’altro, ascoltarlo, sentire il suo disagio per farsene carico e sostenerlo».
Don Giuseppe, ricopri l’incarico di «Assistente diocesano del Centro Volontari della Sofferenza». A Fauglia, proprio accanto alla propositura di San Lorenzo, si trova la casa di riposo della Fondazione Madonna del Soccorso, che ospita tanti nostri «nonni». Sembra il luogo ideale dove esercitare in pienezza questo importante e delicato servizio spirituale…
«Il servizio spirituale è fondamentale ma deve essere legato alla certezza di una presenza. Gli anziani, gli ammalati, vivono situazioni di fragilità ma la fragilità non è un limite: è un’opportunità da cui può scaturire una corroborante forza interiore. Il conforto spirituale non solleva dalla solitudine se è solo fine a sé stesso; deve necessariamente andare di pari passo con il desiderio di regalare un sorriso a chi l’ha perso, di essere presenti nella vita di chi ha bisogno, di trasmettere la certezza che quella presenza non sarà occasionale o di facciata ma sarà qualcosa a cui potersi affidare. A volte basta riuscire a sorridere di nuovo per osservare la propria vita con occhi diversi ed io vorrei essere in grado di far questo per chiunque viva una fragilità. Ricordo la frase di uno scrittore tedesco, Kramer: “Non aspettare la felicità per sorridere ma sorridi per vivere felice”. Penso sia questo il compito di ciascuno di noi nella propria vita e nella vita del prossimo».