GIUBILEO DELLA DIOCESI - I NOSTRI 400 ANNI - LE DONNE

Enrichetta Pieragnoli, moglie del filosofo Augusto Conti

di Andrea Mancini

Enrichetta Pieragnoli, moglie del grande filosofo sanminiatese, donna «d’amabilità singolarissima», venne immortalata dal marito con parole di straordinaria dolcezza.

Sono molti i motivi che ci fanno parlare di Enrichetta Pieragnoli, dentro questi studi sulle donne della diocesi di San Miniato. Primo fra tutti quello di essere stata moglie di Augusto Conti, dal 1850 fino al 1888, quando morì a Firenze «nel bel giorno dell’Epifania». È lo stesso Conti che lo scrive, in un libro intitolato Sveglie dell’anima, pubblicato nel 1902 dalla Scuola Tipografica Salesiana, sempre a Firenze (pp. 245-249). Il filosofo ricorda come la donna fosse «d’una amabilità singolarissima», non a caso racconta di aver avuto «da molti scolari ch’ella festeggiava sempre nel vederli per la casa, lettere di condoglianza vera, non di consuetudine cerimoniosa». «Quant’io la piangessi – continua Conti – e quanto non mi sia mai scordato di lei, lo sa Iddio e lo sa pure l’anima benedetta che in Dio mi vede».

Di questo amore ci sono molte prove tangibili, persino nei musei di San Miniato, in particolare il Conservatorio di Santa Chiara conserva un bellissimo busto – donato proprio dal filosofo, che era anche terziario francescano – che riproduce le fattezze della donna, ad opera di un’altra figura femminile, Amalia Ciardi Duprè, di cui avremo occasione di riparlare tra l’altro per i suoi rapporti con il beato Pio Alberto Del Corona, vescovo di San Miniato tra Ottocento e Novecento.

Augusto Conti racconta come nel 1849 «dopo aver ottenuto l’insegnamento di Filosofia nelle Scuole Regie… di San Miniato, fossi preso d’amore per… Errichetta, non bella, bensì esprimente nel volto, negli atti, nelle parole, un sentimento profondo di mestizia serena una mansuetudine celeste, conservata sempre per tutta la vita». Non c’è evidentemente migliore descrizione per l’opera, secondo noi bellissima, della Duprè, una scultura singolarmente allungata e straordinariamente espressiva, di una donna mesta, ma anche altera, avvolta nel suo scialle, con la fronte ampia, tagliata dai capelli, divisi in due ciocche laterali. Un vero capolavoro che meriterebbe una maggiore valorizzazione.

Alla sua Enrichetta, Conti dedica molte pagine anche in altri libri, raccontando della sua famiglia, cioè di Tommaso Pieragnoli, chiamato Masino, maestro di cappella e insegnante di violino per lo stesso futuro filosofo e la madre, Fortunata Gazzarrini. Conti racconta anche di un suo ripensamento sulla via che porta al Convento dei Cappuccini e di quel suo rivolgersi alla Vergine, per avere consiglio e per essere rassicurato nella sua promessa di matrimonio, poi effettivamente avvenuto nella chiesa di San Domenico.

Del suo rapporto con la Vergine Maria, Conti racconta anche in un libro di Pietro Vigo (“Montenero, guida storico, artistica, descrittiva“, Fabbreschi, Livorno 1902):

«Tornavo dal visitare la Sardegna, egli scrive, e svegliato dai primi albori che entravano nella mia cuccetta dai pertugi del bastimento, salivo in coperta e vidi non lontano ridere sul Montenero il bel Santuario della Madonna. Non lasci di recarsi lassù chiunque resti alcun tempo in Livorno: tanta è la bellezza e la vastità di cielo e di mare; tanta la leggiadra semplicità del tempio pur caro a Francesco Domenico Guerrazzi che amò d’esservi sepolto, tante le tradizioni pie di quel popolo, tanto soavemente materna l’immagine verginale». Il Vigo del resto, riporta una lettera del filosofo sanminiatese, nella quale racconta le sue origini labroniche: «La mia famiglia molti anni or sono dimorava in Livorno e poi si trasferì a San Miniato in una villetta del suburbio, dove io nacqui. Tutti ricordavano sempre con tenerezza figliale, con entusiasmo livornese, Montenero e la sua Basilica. Specialmente la mia veneranda madre Anna Passetti e la zia Caterina, vissuta e morta in fama di singolare pietà, mi narravano i loro pellegrinaggi devoti al Sacro Monte. Mi dicevano che arrivate alla salita erano usate di togliersi le scarpe per la reverenza del luogo. Sicché, quand’io visitava più volte la bella chiesa e fissava gli occhi nella soave Immagine mi pareva d’incontrarmi negli sguardi supplici di quelle pie. Il mio nonno Niccola, che fece lunghi viaggi per mare, ti avrà guardata in cuor suo, mentre la nave partiva e quando ritornava in porto, Vergine Santa; e nelle fiere tempeste narratemi da lui, o come t’invocò fiducioso! E la invocai pur io in un pericolo di morte. Mi gettai a nuoto all’Ardenza e mi spingeva vicino al fanale mentre ingrossava la maretta, che battendo fieramente negli scogli, mi respingeva indietro. A poco a poco mi sentii mancare le forze, il mare spalancava le sue fauci per inghiottirmi. Allora io volsi lo sguardo a Montenero, ed esclamai: Vergine benedetta! Soccorretemi! E il soccorso venne immediato e inaspettato; chè una barchetta dalla parte opposta del fanale remeggiò verso di me e mi salvò. Salvasti ancora, o Madre celeste, i miei genitori ai quali la morte mia, e qual morte! avrebbe recato un insanabile cordoglio. Grazie a Dio, non ho mai dimenticato la tua misericordia, o Vergine di Montenero, e nelle mie povere preghiere te ne ringrazio sempre, supplicandoti di scamparmi dalla morte sempiterna.

Per salute della mia povera moglie Enrichetta Pieragnoli, fui per due anni alle bagnature di Antignano, e ogni mattina prestissimo ascendevo alla basilica diletta. Oh potessi ancora come la vedo col cuore non immemore rivederla cogli occhi del corpo quasi spenti! Preghi, onorandissimo signor Vigo, che io possa prostrarmi al trono della Vergine in Paradiso».