Celebrazione diocesana a Santa Maria a Monte

Domenica della Parola di Dio

L'omelia del Vescovo Giovanni

Abbiamo incensato il libro dell’Evangeliario, la Parola di Dio, quel Vangelo a cui il Signore ci chiama a convertirci.

Cosa vuol dire convertirsi? La radice etimologica di questa parola ce ne fa capire un aspetto fondamentale: noi ci immaginiamo spesso la conversione come frutto di un’ascesi morale, per migliorare e di solito quando facciamo propositi di conversione, sappiamo in partenza di non esserne capaci. Sappiamo bene le nostre debolezze su cui ci dovremmo correggere, anzi pensiamo di sapere noi quali sono le debolezze su cui ci dovremmo correggere, mentre magari il Signore vuole che ci correggiamo su altre cose. Ma la parola ci fa capire che convertirsi vuol dire volgersi da un’altra parte, rivolgere lo sguardo verso un’altra direzione, verso Gesù, verso di Lui. E Lui come lo incontriamo?

Uno potrebbe dire: leggendo il Vangelo, ma una cosa è il libro del Vangelo, e altra cosa il Vangelo: il Vangelo è più del libro, è Gesù, presente oggi, che ci parla attraverso il vangelo. Ma se il vangelo lo prendessimo e lo leggessimo ognuno per conto suo, magari ognuno – come è successo purtroppo nella storia del Cristianesimo – potrebbe interpretarlo a modo suo, e alla fine ci potremmo inventare un “Gesù a modo mio”. Succede anche tra noi. Sentiamo dire: io sono cristiano a modo mio, e accetta questa cosa della Chiesa ma non l’altra, questo articolo di fede, ma non l’altro. Invece è Gesù che ci guida, è lui «la Via, la Verità e la Vita». Infatti il motto di questa giornata è “Rimanete nella mia Parola”.

La Sua Parola non è in primo luogo la parola scritta, ma la Parola scritta pronunciata dentro il Suo corpo vivente che è la Chiesa. Anche Sant’Antonio Abate, che oggi ricordate in modo speciale con la benedizione degli animali, un giorno era entrato in Chiesa e senti la frase del vangelo che diceva: «Vai vendi tutto quello che hai e il ricavato dallo ai poveri e poi vieni e seguimi». Lui fece proprio così, vendette tutto e si fece eremita, avendo capito che Gesù solo gli bastava. Anche a noi Gesù basta.

Abbiamo ascoltato la seconda lettura dire: «quelli che hanno moglie, vivano come se non l’avessero; quelli che piangono, come se non piangessero; quelli che gioiscono, come se non gioissero…». Cosa vuol dire? Vuol dire che se viviamo tutte queste cose con Gesù, se le guardiamo con Gesù nella coda dell’occhio, assumono un altro significato. Ci rendiamo conto che per vivere non dipendiamo da ciò che abbiamo, che tutto ci è donato. Se ogni sposo e ogni sposa guardasse al suo coniuge pensando come prima cosa: «È il segno che Dio mi ha dato perché possa arrivare alla santità, l’amore a cui siamo chiamati, la famiglia che costruiamo è il cammino che Dio ci ha dato per arrivare a amare di più Lui, amare di più il nostro prossimo. Allora ci renderemmo conto che le cose, anche le più grandi non sono nostre, sono un dono che riceviamo, e se le viviamo nella coscienza che come dono sono un segno, diventano grandissime, mentre, se stacchiamo ciò che viviamo, ciò che possediamo, anche le nostre sofferenze, dal rapporto con il Signore ci lasciano come un vuoto dentro.

C’è una bellissima poesia di Giuseppe Ungaretti che dice: “Tra un fiore colto e l’altro donato/ l’inesprimibile nulla.” Vuol dire, mi sembra che tra un fiore che uno strappa e un fiore che uno dona sembra che non ci sia differenza, ma c’è invece una differenza abissale, inesprimibile. Un fiore strappato e gettato e uno donato per amore sono due cose ben diverse. Il valore di ciò che abbiamo e viviamo è nel senso, nel significato che ha. Se lo riconosciamo come dono che riceviamo per vivere di più l’amore per il Signore, anche le cose più piccole diventano grandi. Anche le incombenze quotidiane che a volte ci pesano, se le realizziamo coscienti che sono il nostro modo di rispondere al Signore, allora siamo nel cammino della conversione a Regno di Dio di cui parla Gesù.

Non ci dobbiamo scoraggiare: la prima lettura ci dice che Ninive, una città enorme, pagana, quando Giona – che non voleva andarci perché convinto che sarebbe stato inutile (a volte siamo tentati anche noi di pensare che il mondo di oggi sia così lontano da Dio, che è inutile annunciarlo) – annuncia la richiesta di conversine, inaspettatamente si converte, cambia il suo sguardo, lo volge verso Dio. Ecco la forza della Parola di Dio, che è la parola viva, nella Chiesa.

Un altro grande poeta francese, Charles Peguy, diceva Dio non ci ha consegnato la sua parola in delle cassettine, in una cassetta da mettere da parte, ma ce l’ha data nel nostro cuore, perché sia viva, perché sia carne nella nostra vita. Questa è la parola che ci è consegnata. Tant’è vero che la parola di Dio nella Chiesa si legge innanzitutto nella liturgia, nella Messa, in cui la parola di Dio ci porta all’Eucaristia, in cui quel Gesù di cui ascoltiamo la parola poi lo riceviamo, per cambiare la nostra esistenza. Diventa carne e sangue in noi, per essere noi i suoi testimoni. Che responsabilità, eppure non dipende dalle nostre capacità, ma dalla Sua grazia e dalla nostra memoria. Guardare tutto, ancora, con Gesù nello sguardo. Questo è il cammino della nostra conversione.

La Parola di Dio bisogna frequentarla, ma se non ci fosse l’esperienza viva, quando leggiamo il Vangelo, non lo capiremmo, mentre è l’esperienza di Gesù che facciamo oggi che ci fa capire quello che è scritto nel Vangelo. Raccontava un scerdote missionario in Kazakistan, che incontrava tanti giovani che non avevano nessuna tradizione religiosa, ma che, prima incuriositi dalla sua persona poi arrivavano a volersi convertire. Una ragazza, alla lettura del vangelo che abbiamo ascoltato oggi, la chiamata dei primi discepoli, aveva commentato: «A loro accadde lo stesso che è accaduto a noi». Non al contrario (a noi accade lo stesso che a loro) lei non aveva altro criterio per capire che l’esperienza di Cristo che stava facendo.

Che cosa meravigliosa: il Vangelo illumina la nostra esperienza e la nostra esperienza ci fa capire il vangelo, ci fa capire che non sono parole di un passato lontano, ma sono la testimonianza di questa storia che è arrivata fino a noi, perché invece di tenerla nel cassetto, nella libreria, ne facciamo la carne e il sangue della nostra vita.

 

+ Giovanni Paccosi