Omelia per la Giornata del Malato

Ponte a Egola, chiesa parrocchiale
11-02-2024

VI Domenica del tempo ordinario

XXXII Giornata del malato

 

(Letture: Lv 13,1-2.45-46; Sal 31; 1Cor 10,31-11,1; Mc 1,40-45)

Questa VI domenica del tempo ordinario, coincide oggi con la Festa della Madonna di Lourdes, che apparve per la prima volta a Bernardette Subirous nella grotta di Massabielle l’11 febbraio 1858. Nel 1993 Giovanni Paolo II volle associare a questa memoria liturgica la celebrazione della Giornata Mondiale del malato, giunta quest’anno alla trentaduesima ricorrenza. Ogni anno ci viene proposto un tema su cui siamo invitati a riflettere, e il Santo Padre pubblica un messaggio che, spiegandolo, ci aiuta a vivere questa Giornata. Il tema di quest’anno riprende le parole della Genesi, pronunciate nella narrazione biblica da Dio, quando, dopo aver creato Adamo, si accinge a creare Eva: «Non è bene che l’uomo sia solo» (Gen 2,18). E commenta il Papa:

«Fin dal principio, Dio, che è amore, ha creato l’essere umano per la comunione, inscrivendo nel suo essere la dimensione delle relazioni. Così, la nostra vita, plasmata a immagine della Trinità, è chiamata a realizzare pienamente sé stessa nel dinamismo delle relazioni, dell’amicizia e dell’amore vicendevole. Siamo creati per stare insieme, non da soli. E proprio perché questo progetto di comunione è inscritto così a fondo nel cuore umano, l’esperienza dell’abbandono e della solitudine ci spaventa e ci risulta dolorosa e perfino disumana».

Nella prima lettura abbiamo potuto comprendere la condizione tremenda dei malati di lebbra nel popolo ebraico, che per far fronte a questa malattia non aveva altra scelta che l’isolamento fuori dalla comunità: Comprendiamo in che abisso di solitudine e di miseria questo gettava coloro che già dovevano sopportare una infermità che poco a poco distruggeva il loro corpo.  Nel Vangelo l’incontro di Gesù con un lebbroso e la sua guarigione ci fanno vedere che per l Signore non c’è malattia o condizione umana che ci allontani dal suo amore, dal suo abbraccio.

Il Papa nel suo messaggio sottolinea come l’isolamento dei malati e dei deboli, degli anziani e degli infermi è purtroppo una realtà che anche oggi viviamo, anche nelle nostre società cosiddette sviluppate.

«Occorre tuttavia sottolineare – dice il Papa – che, anche nei Paesi che godono della pace e di maggiori risorse, il tempo dell’anzianità e della malattia è spesso vissuto nella solitudine e, talvolta, addirittura nell’abbandono. Questa triste realtà è soprattutto conseguenza della cultura dell’individualismo, che esalta il rendimento a tutti i costi e coltiva il mito dell’efficienza, diventando indifferente e perfino spietata quando le persone non hanno più le forze necessarie per stare al passo. Diventa allora cultura dello scarto, in cui «le persone non sono più sentite come un valore primario da rispettare e tutelare, specie se povere o disabili, se “non servono ancora” – come i nascituri –, o “non servono più” – come gli anziani» (Enc. Fratelli tutti, 18)».

Noi sappiamo che nella tradizione della Chiesa la lebbra, questa terribile malattia, ha assunto anche un significato simbolico: ci fa pensare a quella forza distruttiva, quella malattia – non del nostro corpo, ma del nostro spirito – che è il peccato. Il peccato ci rovina, ci consuma, ci rende brutti e malati dentro, perché ci porta a abbandonare la fonte della vita che è il Signore. Come fare per non essere vinti da questa malattia, molto più terribile di ogni infermità, e che, subdolamente, può prendere spunto dalla sofferenza del corpo, per allontanarci da Dio? Dobbiamo fare come il lebbroso del vangelo, in ginocchio davanti a Gesù dirgli: «Se vuoi puoi purificarmi». Affidarci a lui, che può rendere ogni croce fonte di speranza, trasformare le condizioni di morte in esperienza di vita e di pace. Ho conosciuto tanti malati che, offrendo sé stessi al Signore, offrendo come preghiera la loro infermità, mi hanno dato esempio della vera utilità della vita, che non consiste nel fare cose straordinarie, ma nel vivere l’ordinario obbedendo con amore a Colui che ci ama, a Cristo che condivide le nostre sofferenze per redimerci e renderci strumenti di redenzione. «Fratelli, sia che mangiate sia che beviate sia che facciate qualsiasi altra cosa, fate tutto per la gloria di Dio». I nostri dolori, uniti al suo dolore assumono questo valore salvifico per noi e per tutti.

Il Papa ci ricorda anche che siamo chiamati a prenderci cura dei malati ma ricorda anche che,

«prendersi cura del malato significa anzitutto prendersi cura delle sue relazioni, di tutte le sue relazioni: con Dio, con gli altri – familiari, amici, operatori sanitari –, col creato, con sé stesso. È possibile? Si, è possibile e noi tutti siamo chiamati a impegnarci perché ciò accada. Guardiamo all’icona del Buon Samaritano (cfr Lc 10,25-37), alla sua capacità di rallentare il passo e di farsi prossimo, alla tenerezza con cui lenisce le ferite del fratello che soffre. Ricordiamo questa verità centrale della nostra vita: siamo venuti al mondo perché qualcuno ci ha accolti, siamo fatti per l’amore, siamo chiamati alla comunione e alla fraternità. Questa dimensione del nostro essere ci sostiene soprattutto nel tempo della malattia e della fragilità, ed è la prima terapia che tutti insieme dobbiamo adottare per guarire le malattie della società in cui viviamo». E conclude: «A voi, che state vivendo la malattia, passeggera o cronica, vorrei dire: non abbiate vergogna del vostro desiderio di vicinanza e di tenerezza! Non nascondetelo e non pensate mai di essere un peso per gli altri».

Adesso, offrendo noi stessi insieme al pane e al vino che presentiamo sull’altare, innalziamo la nostra preghiera per tutti gli infermi, per i nostri cari che sono andati dal Signore in questo anno e oggi in modo particolare per due amici dell’Unitalsi che ci hanno lasciato: Filippo Gabriele morto tragicamente in un incidente due giorni fa e don Giovanni Martini, che è andato al Padre proprio in questo giorno della Madonna di Lourdes, che ha amato tanto.

Li affidiamo a te Gesù, li affidiamo a te Maria.

 

+ Giovanni Paccosi