Omelia per il Giubileo dei Catechisti

San Miniato, Cattedrale ore 17.30
23-09-2023

I miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie. Quanto il cielo sovrasta la terra, tanto le mie vie sovrastano le vostre vie, i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri.

Il Signore ci ha dato da vivere in un’epoca che ha sentito, via via nei secoli, così grande, così incolmabile la distanza tra noi e Dio, che Dio sembra scomparire dall’orizzonte della vita vissuta. Magari senza negarlo, magari conservando un legame di tradizione con la fede ricevuta dalle generazioni precedenti, eppure nello scorrere dei giorni, negli interessi concreti della quotidianità, nella settimana di lavoro, scuola, svago, riposo, Dio rimane assente: dai social, dalle canzoni, dai bar, dagli stadi, dai luoghi di vacanza, dalla scuola, dal lavoro. Momenti religiosi ci sono, ma a parte, e senza mordente sul quotidiano.

Per Isaia non è così:

Cercate il Signore, mentre si fa trovare, invocatelo, mentre è vicino. L’empio abbandoni la sua via… ritorni al Signore che avrà misericordia di lui…

Per il salmista nemmeno:

Ti voglio benedire ogni giorno, lodare il tuo nome in eterno e per sempre.

Buono è il Signore verso tutti, la sua tenerezza si espande su tutte le creature.

Il Signore è vicino a chiunque lo invoca, a quanti lo invocano con sincerità.

Dio attende il nostro sguardo, che lo cerchiamo, che chiediamo a Lui, per inondarci della sua misericordia infinita. Nell’Antico testamento, al popolo che si affidava agli idoli e non cercava più Dio, il profeta annuncia questa vicinanza, questo amore che aspetta solo il sì dell’uomo.

Poi venne Gesù: la misericordia di Dio non è più nella nube del mistero, ha un volto umano: ecco il centro del nostro annuncio, come cristiani, e in particolare come catechisti. Lo condensa il Papa nell’Evangelii Gaudium, quando parla del centro della catechesi. Così dice:

Sulla bocca del catechista torna sempre a risuonare il primo annuncio: “Gesù Cristo ti ama, ha dato la sua vita per salvarti, e adesso è vivo al tuo fianco ogni giorno, per illuminarti, per rafforzarti, per liberarti”. Quando diciamo che questo annuncio è “il primo”, ciò non significa che sta all’inizio e dopo si dimentica o si sostituisce con altri contenuti che lo superano. È il primo in senso qualitativo, perché è l’annuncio principale, quello che si deve sempre tornare ad ascoltare in modi diversi e che si deve sempre tornare ad annunciare durante la catechesi in una forma o nell’altra, in tutte le sue tappe e i suoi momenti.

Comunicare il kerigma è commuoversi insieme a coloro a cui annunciamo perché Dio ci è vicino, ci abbraccia e ci dà non quello che meritiamo, anche fossimo buoni, anche fossimo gli operai della prima ora, ma molto più. Noi siamo quelli dell’ultima ora, che ricevono tutto senza merito, solo per grazia.

Non sentiamoci mai di quelli che si meritano, perché, oltre a sbagliarci, perché nessuno di noi potrebbe dire con la libertà di San Paolo: “Per me il vivere è Cristo e morire un guadagno”, perderemmo la gioia di quest’amore senza limiti di cui siamo oggetto da parte di Gesù. Partire dal kerigma è la fonte della vera testimonianza di salvati, della gioia dei redenti, che sola può bucare il muro della distanza e far scoprire a ragazzi, genitori, amici, colleghi di lavoro, che Dio è vicino, che senza lui tutto quello in cui cerchiamo il nostro bene se ne va come acqua tra le dita. Invece, se ciò che accade, ogni giorno, ogni istante, ogni traguardo raggiunto e ogni pena sofferta li scopriamo come segno di Lui e lo affidiamo al suo amore, allora rimangono per sempre nel loro valore che ha il sapore dell’eterno.

Gesù ci invita a riconoscere proprio quest’amore paradossale che intesse la vita e che quasi scandalizza anche noi, sempre pronti a calcolare, a misurare, come quegli operai della parabola: «“Io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te: non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?”. Così gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi».

Chiediamo al Signore di essere riflesso di questa misericordia, che si comunica non per concetti o per regole, ma per esperienza.

Anche la nostra catechesi ai ragazzi, ai giovani, agli adulti, sia sempre più esperienza, non concetti: esperienza di Gesù che vive nella comunità, si comunica nei sacramenti, ci parla nella Scrittura. La celebrazione eucaristica, la parola di Dio diventano esperienza nella comunità. Pensate alle parole di Paolo, che vorrebbe andare da Gesù ma che capisce che senza la comunità, che lui genra con la sua testimonianza apostolica, i fratelli potrebbero perdersi. La comunità è il soggetto della catechesi, e anche questa celebrazione giubilare ne è espressione.

Chiediamo alla Madonna, a San Genesio e a San Miniato, che siamo con la grazia di Gesù costruttori della Chiesa comunità viva, perché ogni persona scopra Cristo come il centro dell’esistenza e della realtà, volto vicino dell’amore che è Dio.

 

+ Giovanni Paccosi