(Letture: Es 12,1-8.11-14; Sal 115; 1Cor 11,23-26; Gv 13,1-15)
Con questa celebrazione inizia il Triduo della passione, morte e resurrezione di Gesù. Stasera celebriamo insieme l’istituzione dell’Eucaristia, e stamani, nella messa crismale, abbiamo celebrato l’altra grande “istituzione” del Giovedì Santo, ossia il sacerdozio. Tra poco rinnoveremo il gesto così suggestivo e così provocatorio della lavanda dei piedi. Davvero per questa notte, che termina con la preghiera di Gesù nell’Orto degli ulivi e con il suo arresto e l’inizio della sua tremenda passione, vale quello che il libro dell’Esodo afferma riguardo alla notte della liberazione del popolo Ebraico dalla schiavitù in Egitto: «Questo giorno sarà per voi un memoriale; lo celebrerete come festa del Signore: di generazione in generazione lo celebrerete come un rito perenne».
«È la Pasqua del Signore!» Ma il senso di questo passaggio di Gesù per la passione e la morte fino alla gioia di Pasqua, che celebriamo in questi tre giorni, viene indicato dalle parole con cui inizia il vangelo di stasera: «Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine». Sino alla fine, cioè totalmente, fino a dare tutto sé stesso, ma anche per sempre come il vero amore. Il per sempre di Gesù non è fuori dal tempo, in una dimensione così spirituale da non poterla vedere e toccare: è il per sempre dell’Eucaristia, che si rinnova ogni giorno, e ogni giorno nel pane e nel vino, Lui ci offre sé stesso, il suo vero corpo, il suo vero sangue. San Paolo, che non era presente quella sera nel Cenacolo, lo afferma con semplicità e solennità. «Fratelli, io ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: “Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me”. Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: “Questo calice è la Nuova Alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me”. Ogni volta infatti che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga».
Ora, qui, siamo noi nel Cenacolo con Gesù e ora Lui si offre per noi, portando al Padre il grido dell’umanità intera. Come diceva la preghiera colletta del lunedì santo: «Guarda, Dio onnipotente, l’umanità sfinita per la sua debolezza mortale, e fa’ che riprenda vita per la passione del tuo unigenito Figlio». Tu, Signore, come quella sera per i Dodici, spezzi il pane per noi e noi ti diciamo (come abbiamo detto poco fa): «O Dio, che ci hai riuniti per celebrare la santa Cena nella quale il tuo unico Figlio, prima di consegnarsi alla morte, affidò alla Chiesa il nuovo ed eterno sacrificio, convito nuziale del suo amore, fa’ che dalla partecipazione a così grande mistero attingiamo pienezza di carità e di vita».
Pienezza di vita, che fluisce, come da una sorgente inesauribile dal tuo amore, che si fa carne e sangue per noi nel mistero dell’Eucaristia. Il prefazio di oggi afferma: «Sacerdote vero ed eterno, egli istituì il rito del sacrificio perenne; a te per primo si offrì vittima di salvezza, e comandò a noi di compiere l’offerta in sua memoria. Il suo Corpo per noi immolato è nostro cibo e ci dà forza, il suo Sangue per noi versato è la bevanda che ci redime da ogni colpa». Ci redime e quindi rinnova la speranza per noi e per tutto questo mondo martoriato dalla violenza, dalla guerra, dall’ingiustizia, da cui solo Tu, come salvasti il popolo ebreo nella notte dell’Agnello in Egitto, ci puoi salvare. Ma ci rinnova anche nella carità, cioè dona a ognuno, nella grazia del sacramento e nella gratitudine che rinnova il cuore, la semplicità e l’umiltà per donare, a nostra volta, noi stessi.
La lavanda dei piedi, che adesso rinnoveremo ci indica quel è l’unico modo umano di vivere: la gratuità del dono di noi stessi. Rileggo le parole di Gesù agli apostoli, che sono l’inizio di una moralità nuova nel mondo, non fatta di leggi da osservare, ma di un amore ricevuto, da ricambiare con l’amore: «Capite quello che ho fatto per voi? Voi mi chiamate il Maestro e il Signore, e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi».
Donaci Signore, di accogliere commossi e grati questo dono che non meritiamo, ma che Tu, nella tua misericordia rinnovi qui e ora. Maria, madre Tua, interceda per noi.
+ Giovanni Paccosi