Omelia della IV Domenica di Quaresima – S.Messa in streaming

San Miniato, cappella vescovile
22-03-2020

 

Carissimi fratelli, sorelle,

è l’occasione per far giungere a tutti il mio saluto e la mia preghiera. Ci sono i fedeli delle parrocchie e delle comunità della diocesi di San Miniato e con loro i preti, ci sono altri amici che, grazie alle possibilità della comunicazione, sono con noi, ci seguono, pregano. A tutti il cordiale saluto, nell’amicizia, nella preghiera, nella speranza che dobbiamo tenere viva e in un itinerario quaresimale che ci accompagna quest’anno con segni forti di sosta, di deserto, di sacrificio, di riflessione.

Un pensiero particolare lo rivolgiamo per chi è malato, toccato dal coronavirus, per i medici, gli infermieri, il personale sanitario, i volontari. Vorrei ricordare oggi anche tutte le forze dell’ordine che hanno il compito di vigilare sul nostro “stare a casa”. E un compito delicato e necessario. Anche per loro il grazie e la nostra preghiera. E un pensiero e una preghiera particolarmente commossa per coloro che sono morti, tanti purtroppo, per i familiari, per chi è nel lutto.

La parola di Dio oggi ci invita a soffermarci su una azione che ci accompagna nella nostra vita: vedere.

Così dovrà fare Samuele nella scelta del successore del re Saul, Davide. Il profeta deve “vedere” secondo il desiderio di Dio per scegliere e toccherà a Davide, il più piccolo, “fulvo, con begli occhi e bello di aspetto”.

Anche San Paolo nella pagina agli Efesini riflette su una condizione necessaria per vedere: la luce. Nell’incontro e nella accoglienza di Cristo, la Luce, diventiamo noi luce, risplendiamo della luce che è Cristo, un nuovo vedere.

E il vangelo con il miracolo del cieco nato, un uomo che passa dal non poter vedere fin dalla nascita alla sorpresa di poter vedere. Un vedere che non sarà solo degli occhi. Nel secondo incontro con Gesù, il Signore gli chiede: “ ‘Tu credi nel Figlio dell’uomo?’ Egli rispose: ‘E chi è Signore perché creda io in lui?’ Gli disse Gesù: ‘Lo hai visto, è colui che parla con te’. Ed egli disse: ‘credo Signore’”. Ecco il vedere nuovo di quest’uomo: la fede, e può dire: “credo Signore”. Ancora come domenica scorsa nell’incontro al pozzo, con la samaritana, la domanda fondamentale è “chi è Gesù?”. Anche oggi ci viene chiesto di riconoscere in Lui il Cristo, il Salvatore e di incontrarlo, di vederlo davvero.

Potremmo dire così: le letture oggi ci chiedono di “imparare a vedere”.

Questo vuol dire anzitutto imparare a vedere come vede Dio. È quello che deve fare Samuele. Scegliere il nuovo re, ma vedendo come vede Dio, guardando all’uomo come vede Lui e la scelta è guidata non da criteri umani, ma da una sapienza che solo nel rapporto con Dio, come è quello che vive il profeta, si può scoprire.

Immagino che il vedere di Dio di questi giorni la situazione che stiamo vivendo, il vedere i letti di ospedale, i malati, coloro che sono in terapia intensiva e quelli per i quali non c’è posto, il vedere i camion dell’esercito che uscendo da Bergamo portano altrove i morti per la cremazione… Ebbene credo che il vedere di Dio sia accompagnato dalle sue lacrime. È un vedere di compassione, di dolore, di compartecipazione con chi soffre. Ce lo ricorda il Crocifisso, Gesù che sulla croce vive il dolore dell’uomo vivendolo Lui, prendendolo su di sé e annunciando a tutti che sulle croci dell’umanità di oggi ci sta anche Lui. E ancora è il Signore a ricordarci questo nel vangelo quando alla domanda se la condizione del cieco dipenda dal peccato suo o dei suoi genitori egli risponde che “né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio”. Dio non punisce, Dio non manda castighi, Dio non ha voluto né è Lui che permette questa pandemia, Dio però soffre con noi. Vedere come Lui vede ecco cosa si può imparare nella sofferenza: “… perché in lui siano manifestate le opere di Dio”. Vedere come Lui vede significa vedere che come nella scelta di Davide nuovo re Dio vede e nelle vicende della storia, dell’umanità, promuove sempre una iniziativa di bene, di salvezza, di amore. Dio vede quello che stiamo soffrendo, anche la nostra paura, Dio vede per condividere questa sofferenza con noi, Dio vede per far nascere i segni dell’alba, della vita, della gioia, come ha fatto scegliendo l’ultimo, Davide, eppure “fulvo, con begli occhi e bello di aspetto”. Il vedere di Dio vede il bene, suscita il bene, riapre la strada della vita, anche per noi in questi giorni.

Il brano di vangelo del cieco nato ci regala una pagina intensa, di grande teologia, di straordinario annuncio evangelico.

Anche il cieco nato deve imparare a vedere. Si tratterà di imparare il vedere degli occhi, per uno che mai aveva visto. È un imparare a vedere di chi scopre cose nuove, la realtà del mondo, degli altri. È un imparare a vedere che nasce da un atto “creatore” di Dio, come il gesto del fango con la saliva di Gesù messo sugli occhi vuole evocare. Quasi a dirci: Dio ti fa vedere, Lui ti regala di vedere davvero. E si arriverà al vedere della fede: “Credo, Signore”, dirà il cieco guarito.

Si tratta allora di andare in profondità delle cose e della vita. Quanto è necessario in questi giorni.

Vediamo la malattia, il diffondersi della pandemia, la gente che soffre, la dedizione dei medici e di tanti altri, vediamo le nostre famiglie e poi gli anziani e i bambini che non ce la fanno più dal voler giocare e stare all’aria aperta. E ci è chiesto di guardare con gli occhi e di vedere col cuore, cioè di andare in profondità. Vedere in questi giorni vuol dire cercare l’umanità, la bellezza dell’umanità. E andare in profondità per vedere e partecipare con chi soffre, vivendo la compassione di noi umani; andare in profondità per vedere la bellezza del cuore di chi si dedica, si spende per gli altri; imparare a vedere di nuovo i legami a cui siamo riportati, quelli di famiglia di casa; il vedere il nostro impegno per scoprire cosa davvero conta e a cosa teniamo davvero.

Impariamo a vedere come il cieco. Si tratterà di imparare ad andare in profondità della vita, del nostro esistere, del nostro essere credenti e sarà anche andare in profondità nel vivere la “passione” di questi giorni.

Infine il brano di Paolo. Riportandoci alla luce che è Cristo ci dice di diventare luce. Sorprendentemente per imparare a vedere la luce dobbiamo farla noi, dobbiamo essere noi. È quella luce che chiameremmo conversione. È la luce del Risorto, della vita nuova. È la luce di coloro che vivono il vangelo. È la luce di chi ama. Imparare a vedere vuol dire essere luce: “comportatevi perciò come figli della luce”, dice Paolo. E poi spiega cosa è essere luce: bontà, giustizia, verità, capire ciò che è gradito al Signore.

Possiamo dire davvero che tanti in questi giorni per noi sono luce. E lo sono nella umiltà e nella discrezione del loro servizio e del loro donarsi: già ricordavamo il personale medico, ma quanti altri oggi nella quotidianità, con piccoli gesti, talvolta nascosti, sono luce. Se vediamo oggi, se possiamo non perdere in umanità è anche grazie alla luce di queste persone. E a tutti è chiesto di convertirci, di sentire che l’appello ad essere luce, ad avere una vita bella, ricca di bene e di dono, è per tutti, è per me, per te…

Gesù ci ha ricordato questo in un altro discorso dicendoci che noi siamo luce del mondo e sale della terra.

Leggevo in questi giorni un pensiero di un prete di grande statura della nostra diocesi, don Luciano Marrucci: “Quando venni battezzato succhiai il sale che il prete mi mise sulle labbra. Non piansi, non lo sputai, ma lo buttai giù. Così ho fatto quando, navigando, me lo sono trovato sulle labbra. Ho imparato a farlo con l’amore della vita. Così questa non mi è sembrata vomitevole, perché, anche quando non era dolce, un sapore l’aveva sempre…”.

È questo l’augurio per questi giorni difficili: anche quando la vita non ci è dolce, che abbia sempre un sapore, il gusto del vangelo.