Don Holin D’Cruz, 46 anni, stile dinamico e gioviale, è sacerdote dal 2002 e viene dalla terra lontana e meravigliosa del Kerala, in India. Arrivato a Roma nel 2006 per studiare Teologia pastorale missionaria alla Pontificia Università Urbaniana, ha conosciuto la nostra diocesi grazie a don Matteo Puthenpurakal (attuale parroco di Perignano), suo compaesano nonché compagno di seminario in India. Energia e esuberanza da «prete rock», ha portato nelle realtà parrocchiali che ha avvicinato una ventata di freschezza. Sabato 7 novembre diventerà a tutti gli effetti il nuovo parroco di Palaia e Partino, subentrando così a don Giuseppe Volpi, già trasferitosi a Fauglia e Valtriano. Siamo andati a trovarlo per l’intervista di rito in queste occasioni.
Don Holin, raccontaci qualcosa di te e della tua esperienza in Italia.
«Sono nato a Kochi in Kerala, primo di tre fratelli, in una famiglia semplice di operai. Dopo la scuola media sono entrato nel seminario di Verapoli, mia diocesi di appartenenza. È durante il lungo percorso di studi e formazione che ho avuto la possibilità di consolidare la mia vocazione. Dopo tredici anni sono stato ordinato sacerdote, avevo allora 28 anni. Secondo una nostra prassi diocesana, nei quattro anni successivi, ho prestato servizio in quattro parrocchie differenti come vicario parrocchiale. Poi nel 2006 il mio vescovo Daniele mi propose di venire a Roma per studiare teologia all’Urbaniana. Sono stati gli anni in cui, per mantenermi agli studi, facevo servizio come vicario parrocchiale in Santa Paola Romana, una delle più vaste parrocchie del vicariato di Roma, dove tra i tanti impegni pastorali ho avuto modo di seguire anche le attività giovanili degli scout Agesci».
E poi l’incontro con la diocesi di San Miniato…
«Si esatto. Dopo aver conseguito la licenza in teologia, su consiglio del mio vescovo cercai la possibilità di un’esperienza pastorale fuori Roma, perché volevo approfondire la conoscenza delle realtà parrocchiali italiane. Mi aiutò don Matteo – allora era parroco a Montopoli – che mi presentò al vescovo Tardelli, il quale fu ben contento di accogliermi in diocesi. E così, nell’ottobre 2011, sono diventato vicario parrocchiale a Ponsacco, dove ho svolto il mio servizio fino a oggi».
Sappiamo che a Ponsacco hai “conosciuto” don Lorenzo Milani…
«A Ponsacco ho avuto la fortuna di conoscere don Renzo Nencioni grazie al quale ho potuto approfondire la riflessione sull’ecclesiologia delle parrocchie del nostro tempo. È grazie a lui che ho conosciuto don Lorenzo Milani. Ne sono rimasto subito affascinato: un sacerdote che ha speso la vita per il recupero e la promozione della dignità di coloro che non contano. Una figura di cui ho approfondito lo spessore culturale anche grazie all’aiuto della professoressa Serena Noceti».
Quali tratti spiccano della tua spiritualità e cosa ti ha portato al sacerdozio?
«Da piccolo facevo il chierichetto ed ero affascinato dalla figura del prete che celebrava la Messa. Tra i vari gruppi di chierichetti, il mio gruppo di quattro amici, si distingueva per la volontà di tutti e quattro a entrare in seminario. Alla fine però, solo io sono diventato prete. Nel cammino che mi ha portato al sacerdozio sono stato sempre sostenuto dalla convinzione profonda che soltanto al servizio degli altri si può attuare la gioia del vangelo e il senso della vita».
Come hanno vissuto i ponsacchini il distacco dal loro vicario parrocchiale e quali frutti lasci loro?
«Nove anni di vita insieme hanno creato profondi legami di stima reciproca e di amicizia. La notizia del mio trasferimento ha portato un po’ di dispiacere e di commozione, anche se tutti sono consapevoli che la missione del prete comporta determinati distacchi e nuovi incontri. Alla fine hanno capito che il vescovo mi ha promosso facendomi parroco, anzi pievano, di Palaia. Invece, tra i frutti più belli che ho visto maturare a Ponsacco c’è sicuramente il progetto di formazione alla vita cristiana vissuto insieme da ragazzi e genitori. Una forma di catechismo ideata da don Renzo e costruita sulla consapevolezza che i genitori sono i primi educatori dei figli. Per realizzarlo le famiglie sono state pienamente coinvolte nelle attività parrocchiali, cosa che ha determinato nei ragazzi grande entusiasmo e una loro maggiore consapevolezza nella preparazione ai sacramenti. Seguire questo progetto mi ha molto appassionato. Spero che, con le opportune migliorie, diventi il futuro della formazione cristiana. Alcuni frutti di questa impostazione della catechesi sono già visibili: quest’estate, ad esempio, un gruppo di ragazzi e genitori ha dato vita a un riuscitissimo campeggio».
Sei cresciuto come vice parroco all’ombra di sacerdoti di grande esperienza come don Renzo Nencioni e poi don Armando Zappolini. Adesso sarai da solo a guidare due parrocchie. Quali sentimenti vivi rispetto a questa novità?
«Che dirti? Con don Renzo abbiamo lavorato insieme tanti anni, abbiamo sognato insieme. Insieme abbiamo programmato tutto ciò che riguardava la vita di una comunità parrocchiale. Con lui mi sono cadute tutte le teorie studiate nelle lunghe lezioni universitarie e mi sono trovato fuori dalla ‘sacrestia’ in mezzo alla gente. È don Renzo che mi ha fatto capire che il posto giusto del prete è in mezzo al suo popolo. Da buon maestro mi ha sempre affidato tanta parte della pastorale parrocchiale proprio per farmi crescere. Per questo non finirò mai di ringraziarlo. È come se mi avesse accompagnato fin sulla soglia della realtà per poi dirmi: “Ora tocca a te. Vola!”. Quest’ultimo anno poi che ho trascorso con don Armando l’ho vissuto con gioia, anche perché ho sentito che mi ha voluto bene come un fratello. Anche da lui ho imparato tanto. Pensando a Palaia e Partino, posso dirti fin d’ora che cercherò di corrispondere col massimo impegno alla fiducia che il vescovo Andrea ha riposto in me affidandomi queste comunità. Faremo insieme passi importanti verso una Chiesa viva e in uscita. La parrocchia è il popolo di Dio che tutti accoglie perché la vita di tutti divenga un gioioso cammino insieme».
Quasi dieci anni come vicario parrocchiale a Ponsacco, e precedentemente a Roma… Anni in cui hai visto crescere diverse generazioni di giovani. Esiste una ricetta per appassionare le nuove generazioni all’eterna giovinezza del Vangelo?
«Non ho ricette preconfezionate. L’importante è cercare spazi, luoghi e opportunità per stare insieme e insieme proporre iniziative che possano cambiare questo nostro mondo. I giovani sono capaci di pensare in grande la loro e altrui vita».
Conosci già le tue nuove parrocchie? Quali sono le sfide che ti aspettano?
«Le comunità che mi accolgono sono molto antiche e portano sulle spalle secoli di storia e di fede. Per quanto ho potuto parzialmente conoscere, oltre a gustare i bei posti per la natura e i paesaggi tipici della Toscana, ho constatato che sono popolazioni semplici e accoglienti, che ti fanno sentire a casa. Spero proprio per questo che la mia permanenza tra loro si traduca in una fruttuosa attività pastorale. Le sfide le scopriremo insieme».
C’è qualcosa che vuoi dire ai tuoi nuovi parrocchiani?
«Fin da ora li ringrazio, sicuro che mi accoglieranno con affetto e con la comprensione necessaria per uno che viene da lontano. Vi assicuro che è piena la mia gioia al pensiero di camminare insieme a voi nel nome del Signore. Vorrei che facessimo nostra l’enciclica di papa Francesco “Fratelli tutti”, per favorire la fraternità e l’amicizia sociale. E non vedo l’ora di incontrarvi e di conoscervi tutti».