Presentato a San Miniato il libro di Riccardo Bigi «Il sindaco santo», edito da Toscana Oggi

Un gigante di nome La Pira

di Alexander Di Bartolo

L’incontro, organizzato dalla Fondazione Dramma Popolare e dall’Ufficio cultura della diocesi di San Miniato, ha visto dialogare sulla vita e il pensiero del sindaco di Firenze – che nel 1953 salvò il Pignone – l’autore del libro con il vescovo Giovanni e il nostro redattore Francesco Fisoni.

Non è stata una semplice presentazione di un volume quella di venerdì scorso 23 giugno, nella splendida cornice della Biblioteca del Seminario di San Miniato. L’evento, organizzato dalla Fondazione Istituto Dramma Popolare in collaborazione con l’Ufficio cultura della diocesi di San Miniato, si è configurato come un vero e proprio dialogo a tre che ha coinvolto il vescovo Giovanni Paccosi, l’autore del libro Riccardo Bigi, e Francesco Fisoni dell’Ufficio comunicazioni sociali della nostra diocesi.

I temi affrontati nel simposio hanno spaziato dai nodi essenziali della biografia di La Pira, agli elementi “rivoluzionari” del suo mandato a Palazzo Vecchio: dai convegni sulla pace organizzati nella Firenze degli anni ‘50, che hanno portato nel capoluogo toscano i sindaci delle più importanti capitali del mondo e le diplomazie internazionali, fino alla vicenda “Pignone” del 1953, con l’impresa del salvataggio di migliaia di posti di lavoro. Il vescovo Giovanni, che ha conosciuto personalmente Giorgio La Pira, nel suo intervento introduttivo, ha voluto sottolineare l’attualità dell’insegnamento di La Pira in merito al nodo centrale della sua azione politica, ovvero il “vangelo vissuto”, ogni giorno, in ogni azione quotidiana. Il vangelo per La Pira non costituiva un semplice libro di meditazioni ma un vero e proprio “manuale di ingegneria” per la trasformazione della realtà e la costruzione di un mondo più giusto. Delineando poi le coordinate che ci informano oggi del perché La Pira è santo, monsignor Paccosi ha citato un passo di una lettera che nel 1936 l’allora giovane professore scrisse all’amico Bargellini: «Allora, caro Piero, il programma è chiaro: farci santi noi, per fare santi gli altri». Guardare oggi all’insegnamento di La Pira – ha aggiunto il vescovo – significa allora «non avere il timore di apparire rivoluzionari di fronte al tema della pace, della povertà, del lavoro».

Il modo di vivere la politica di La Pira dimostra ancora oggi come l’umanità abbia bisogno di essere «educata alla giustizia reale» – per usare le parole di don Giussani – così come hanno fatto sacerdoti del suo tempo come don Milani o don Facibeni.

Francesco Fisoni, mettendo in rilievo la statura internazionale di La Pira, interlocutore privilegiato dei grandi della sua epoca, da N Krusciov a Ho Chi Minh, da Sadat a Arafat, ha sottolineato, secondo le parole del cardinale Benelli, che nulla si può comprendere del professore di Pozzallo se non si parte dalla sua fede e dal suo radicamento nel vangelo. Un uomo, un gigante, che ha saputo scardinare convenzioni e protocolli, parlando con la stessa naturalezza di Gesù Cristo a Mosca, di fronte ai grigi burocrati del Soviet supremo, come di politica internazionale alle “sue” suorine di clausura; claustrali alle quali chiedeva incessantemente di pregare per le sue missioni diplomatiche nel mondo.

Fisoni ha sottolineato anche altri aspetti poco conosciuti: «Ci si riflette poco, ma quest’uomo è stato capace di far dialogare arabi e israeliani, francesi e algerini, russi e americani. Pochi rammentano, ad esempio, che la pace tra Francia e Algeria, perfezionata tra 1961 e 1962 negli accordi di Evian, è germogliata nei corridoi di Palazzo Vecchio; o ancora che nel 1965, di fronte alle crescenti tensioni in Vietnam, La Pira volò segretamente ad Hanoi riuscendo ad aprire un varco per le trattative di pace. Il presidente vietnamita Ho Chi Minh dirà in quell’occasione che La Pira era l’unico politico occidentale di cui si fidasse. L’accordo aveva serie possibilità di arrivare in porto, grazie al coinvolgimento in prima persona di Fanfani, che in quelle stesse settimane era stato eletto presidente di turno alle Nazioni Unite. Fanfani si era fatto portavoce della mediazione dell’amico La Pira, scrivendo al presidente americano Johnson e interloquendo direttamente con il segretario di stato Dean Rusk. Purtroppo i negoziati, che dovevano rimanere segreti per non far apparire arrendevole il governo vietnamita, vennero sabotati dai falchi dell’amministrazione statunitense, che fecero filtrare la notizia sulla stampa. A quel punto Hanoi si vide costretta a smentire seccamente l’esistenza di ogni richiesta di negoziato, specificando che la missione di La Pira era stata un’iniziativa del tutto personale del professore».

La Pira seguirà con crescente apprensione questa guerra, che considererà il vero grande male del suo tempo. Nel 1973, otto anni dopo, alla conferenza di Parigi che sancì la fine delle ostilità, La Pira, che era presente, commenterà amaro che le condizioni accettate dagli americani erano le stesse che i vietnamiti proponevano per suo tramite nel 1965: «Perché non negoziare allora?!» – dirà; si sarebbero risparmiate 58.000 giovani vite di soldati americani e quasi tre milioni di vittime da parte vietnamita, senza considerare le immani devastazioni portate in Indocina dai bombardamenti statunitensi.

Nel vivace dibattito-intervista che è seguito, Fisoni ha poi incalzato l’autore del volume su alcuni nodi salienti della vita del sindaco di Firenze. In particolare sulla sua conversione, sul suo incessante impegno per la tutela del lavoro e sull’eredità che La Pira lascia ai nostri giorni – drammaticamente segnati dalla guerra russo-ucraina – come artefice di pace. Bigi ha ricordato che La Pira non nasce “cristiano-cattolico”. La sua gioventù è anzi segnata da intemperanze anti-clericali. Ancora adolescente si era avvicinato alla poesia di D’Annunzio e all’estetica futurista, subendo il fascino di Mussolini. Tutte infatuazioni che passeranno però presto, ancor prima dei diciotto anni. La Pira a quell’epoca conosce a Messina la carismatica figura di monsignor Mariano Rampolla, fratello del suo professore di lettere a ragioneria, che eserciterà sul giovane Giorgio una guida spirituale discreta ma incisiva. Un cammino di conversione, o di ritorno alla fede, che può dirsi definitivamente compiuto il 20 aprile 1924, giorno di Pasqua, come ricorderà egli stesso.

Il lavoro poi – ha proseguito Bigi –, nel pensiero di La Pira esprime quasi una dimensione teologale; è l’ambito in cui l’uomo rintraccia la propria identità più profonda, ed è il mezzo attraverso il quale la creatura partecipa essa stessa alla creazione di Dio, collaborando a plasmare il mondo. Il suo impegno per assicurare il lavoro a chi ne mancava, sarà inesausto durante tutta la vita, sia come sottosegretario al Ministero del lavoro (1948-1952), sia come sindaco di Firenze (1951-1965), dove si ricordano le iniziative clamorose del salvataggio del Pignone o la requisizione della fonderia delle Cure, consegnata alla gestione diretta degli operai. Venendo poi a parlare dell’impegno di La Pira come “ambasciatore di pace”, Bigi ha sottolineato che le sue idee di «impossibilità della guerra» e di «inevitabilità della pace», argomentate con ragioni di ordine logico e giuridico, s’innestavano direttamente sull’immagine del “Sentiero di Isaia” (cfr Is 2,4) e sulla profezia biblica, come scriverà a Krusciov: «Siamo ormai sul crinale apocalittico della storia: in un versante c’è la distruzione della terra e dell’intera famiglia dei popoli, nell’altro versante c’è la millenaria fioritura della terra e della intera, unitaria, famiglia dei popoli […]. I governanti di tutta la terra sono oggi chiamati a fare questa scelta suprema. Per andare verso il versante della fioritura, bisogna accettare il metodo indicato dal profeta Isaia: trasformare i cannoni in aratri». Al termine dell’iniziativa il presidente della Fondazione Idp Marzio Gabbanini ha rimarcato come questi “eventi preparatori” allo spettacolo centrale del Dramma, che andrà in scena a partire dal 22 luglio nella storica Piazza del Duomo di San Miniato, stiano davvero costruendo un percorso di testimonianze che aiutano a comprendere la drammaturgia e assolvono anche a un compito culturale dell’istituto teatrale, che è anche riconosciuto come “istituto culturale” dal Ministero della Cultura.