Vi sono momenti e circostanze nel nostro cammino di Chiesa diocesana (come l’ormai imminente Giubileo), per cui ciascuno di noi si ferma a riflettere su fatti e gesta di persone di fede incontrate nella vita; persone che con il loro esempio sono divenute pungolo e continua scaturigine di domande… Ultimamente mi sto spesso chiedendo come siano riuscite determinate persone delle nostre parrocchie ha tirar fuori tanto impegno e tanta disponibilità in servizi verso gli altri, senza chiedere alcuna ricompensa materiale in cambio? Non importa aver scambiato con questi uomini e queste donne, opinioni o considerazioni sui fatti della vita… È stato sufficiente osservare il loro stile di vita per imprimerle nel nostro animo. Chi ha vissuto, e vive tuttora nella realtà delle nostre chiese, sa che queste persone rimangono ricordate ed ammirate in virtù della loro disponibilità, dedizione, dell’offerta del loro tempo in opere di solidarietà.
Questo non sarebbe potuto accadere se i cuori di costoro non fossero stati invasi dall’amore verso il buon Dio, un amore nutrito di fede, preghiera e piena fiducia in Lui. Come accadde a Carlo Andreini (di cui abbiamo parlato alcune settimane fa su queste colonne), che prossimo alla morte confessò a chi gli era vicino e scrisse che tutto il bene che aveva fatto ai poveri e agli immigrati (spesso di religione non cristina), lo aveva fatto silenziosamente e discretamente per amore a Dio, per testimoniare a loro l’amore di Cristo e del Padre. Ma non è nemmeno necessario che queste persone lascino scritti libri o lettere, perchè alla fine bastano le loro buone azioni a perpetuare in noi il loro ricordo. Si rimane sedotti a ripensare alla loro disponibilità verso Dio, per questo dono di amore che vuol significare una liberazione progressiva da ogni egoismo, da ogni ripiegamento su sé, per vivere nel “sacrificio quotidiano il dono di sé all’altro”, offrendo agli altri nella semplicità della propria vita, un esempio e quasi una norma di vivere umano. In realtà per smuovere la società non abbiamo bisogno di tante opere esterne, abbiamo bisogno di riproporre un modell. Quello che V vince tutto e resta imperituro è l’esempio di una vita. Abbiamo bisogno di modelli, abbiamo bisogno di santi, di persone che, «senza fare rumore» s’impongano al mondo come esempio, perché di questo il mondo ha bisogno. Nella semplicità e nell’umiltà della loro testimonianza porto come esempio di vita, gruppi di persone riuniti in associazioni; famiglie intere i cui membri, della mia Unità parrocchiale Crespina-CenaiaTripalle invadono ancora oggi la nostra mente e colpiscono i nostri cuori.
Donne e uomini, ragazze e ragazzi che con entusiasmo si impegnavano nelle Associazioni, come la tanto amata “Compagnia Parrocchiale”, nell’Azione Cattolica, organizzando momenti d’incontro, condivisione, aiuto. Uomini che sentivano il desiderio di servire la Chiesa, orgogliosi di indossare la veste da “sagrestano”, suonando alle ore stabilite le campane ancora con le corde, preparando l’altare per la liturgia, assistendo infine al suo svolgimento.
Donne semplici che curavano con precisione gli indumenti ed il necessario per le celebrazioni liturgiche. Vi era una gara a lavare, stirare, ricamare le tovaglie dell’altare, tutto per innalzare gloria e venerazione a Dio.
Ricordare queste dedizioni esemplari alla Chiesa, illustra quanto essa si riconosca “Ecclesia”, assemblea, e come tale, con l’impegno di tutti, si erge sul punto più alto della sua realtà, in cui vi è una stretta relazione tra Dio ed il suo popolo di fedeli.
Molti sono i nomi delle persone che nella mie parrocchie si dedicavano a queste opere, e tra queste desidero ricordare un uomo, uno sposo, un padre, fervente cristiano, innamorato della Vergine Maria: Ettore Balestri (1936 – 2020), nato e cresciuto nel borgo di Ceppaiano, nella parrocchia di Tripalle. Niente di eclatante ci ha mostrato e ci ha lasciato, ma nella sua semplicità ci ha testimoniato un esempio di come si può conciliare ed esprimere sentimenti di fede con azioni concrete di vita, espresse nel proprio lavoro quotidiano, nella sua grande disponibilità verso gli altri, nella sua esaltante preghiera di cui non faceva segreto, poiché, per un cristiano, ammirazione e profondo inciso ricordo, non possono derivare solo dai risultati materiali, ma dalla forza della sua spiritualità, espressa con grande devozione nella preghiera.
Ettore è stato una persona di prima linea verso la sua chiesa di Tripalle: attivo nella costruzione della piccola chiesa nel suo borgo di Ceppaiano, voluta da don Idilio Lazzeri, allora parroco di questa parrocchia.
Sapeva lavorare molto bene anche il ferro e con notevole maestria: costruì il traliccio del campanile, prestando inoltre la sua opera personale in tutte le fasi di lavoro. Organizzava ogni domenica col suo pulmino, per le varie persone che lo desideravano, il viaggio verso la chiesa parrocchiale di Tripalle per la celebrazione della S. Messa, confermando anche qui la sua devozione, con presenza assidua alle pratiche religiose.
La sua caratteristica da fervente credente era la preghiera: «La preghiera – affermava – è il lavoro del cristiano, è il mezzo più semplice per raggiungere il fine a cui ogni uomo è chiamato». «Ringraziamo sempre il buon Dio – era la sua frase tipica – ed invochiamo il suo aiuto per seguire il suo disegno e per dimostrare la nostra gratitudine».
Molte volte ho parlato con lui, specialmente nei nostri incontri in mezzo ai vigneti e sempre mi ripeteva: «Prego sempre. Si può pregare in tanti modi, anche il nostro lavoro, eseguito con amore, è una preghiera. La cosa importante è che si preghi, poiché la preghiera è espressione di fede, di speranza ed io nel pregare sto bene: mi affido e mi abbandono a Lui. Ogni sera recito il Rosario prima di addormentarmi e a voce alta». Ettore come tutte quegli uomini e donne che hanno servito, con costanza, la loro chiesa parrocchiale, seguendo le opere pastorali e religiose dei loro bravi parroci, esprimono una testimonianza da seguire con coraggio e convinzione sincera e profonda, ed in questo Giubileo diocesano determinano, nella gioia, un tassello – se pur piccolo – di contribuzione fondamentale per rendere viva, nella fede, la nostra diocesi.
Questo avvenimento celebrativo è senza dubbio una festa, una memoria evocativa di fedeltà, di lealtà, ma nello stesso tempo uno sprone pungente a seguire anzi ad imitare quel comportamento di fede e di servizio che in questi 400 anni molte persone hanno dimostrato. «Raccogliete e custodite il tesoro che Dio ci dona, invoca il Beato Pio Alberto del Corona, vescovo della nostra diocesi: chiedete al vostro cuore un palpito immenso ed andategli incontro. Dite a Gesù qualcosa di nuovo e per imparare a dire qualcosa di nuovo, cercate Lei, la Madre santissima, Maria, guardate nei suoi occhi, tendete anche verso di Lei addolorata, le vostre braccia ed avvicinate a Lei i vostri cuori».