San Miniato - Convegno Shalom

«Rompiamo il silenzio sui Cristiani perseguitati nel mondo»

di Francesco Fisoni

Ha la voce impastata di mestizia don Udoji Onyekweli – parroco di Montopoli, Marti e Capanne – quando racconta il martirio a cui è andato incontro, nello scorso mese di giugno, il suo amico di Seminario don Vitus Borogo, massacrato dai militanti Fulani nella fattoria della sua famiglia, nella diocesi di Kaduna in Nigeria: «Vitus era in casa quando sono arrivati i terroristi. Hanno preso suo fratello… lui ha cercato di salvarlo avviando una trattativa, ma loro gli hanno sparato a bruciapelo. Non mi do pace al pensiero che i nostri confratelli laggiù si sentano abbandonati».

La testimonianza di don Udoji è stato forse il momento più toccante al convegno «Rompiamo il silenzio sui cristiani perseguitati nel mondo» organizzato dal Movimento Shalom lo scorso 8 dicembre a palazzo Grifoni a San Miniato. Un appuntamento che celebra ogni anno, nel giorno dell’Immacolata, l’atto fondativo – 48 anni fa – del Movimento nato grazie all’iniziativa di don Andrea Cristiani per diffondere la cultura della pace. Numerosi e di spicco i relatori, modulati con misura e competenza dalla giornalista Romina Gobbo.

Era presente anche il vescovo Andrea che ha portato i saluti iniziali introducendo i lavori: «Anche oggi – ha detto monsignor Migliavacca – Shalom ci invita ad andare al di là dei muri e delle barriere; perché costruire la pace chiede di incontrarci – come richiama così spesso anche papa Francesco – in quanto “fratelli tutti”. E la pace si cerca e si costruisce innanzitutto rompendo il silenzio sulla ferita dei cristiani perseguitati nel mondo. È lo tesso Santo Padre a sottolineare come i nostri tempi contino un numero impressionante di martiri dei credenti in Cristo; numero ben maggiore di quello dei primi secoli cristiani. Parlarne è allora un dovere di giustizia e Shalom, in questo senso, è sentinella di pace e giustizia; una sentinella che aiuta anche noi a capire cosa fare per portare pace nel mondo». La Gobbo, richiamando un suo reportage ha sottolineato proprio il silenzio assordante che vige sulla persecuzione dei cristiani nelle terre lontane dalla civile Europa: «Gli echi di questo dramma arrivano a noi solo se succede qualcosa di grave a un missionario europeo. Quando a essere colpiti sono i cristiani del posto – Burkina, Nigeria, Myanmar… – la notizia non passa, resta in sordina. “Rompere il silenzio”, allora, come titola questo convegno, è rompere anche il conformismo mediatico su questi drammi».

Il presidente di Shalom, Vieri Martini ha parlato della realtà che conosce meglio, quella del Burkina Faso, per averla visitata tante volte: la situazione in questo paese, che ha visto all’inizio di quest’anno il verificarsi di un colpo di stato, è a dir poco drammatica: «Si tratta – ha detto Martini – di uno dei luoghi più martoriati al mondo dal terrorismo islamico, dove a essere perseguitati non sono solo i cristiani. Anche se tante volte, a ben guardare, si ha davvero l’impressione che il terrorismo sia un pretesto per mascherare dinamiche di conflitto ben più complesse e profonde». Don Stefano Stimamiglio, direttore di Famiglia Cristiana, portato a San Miniato dalla moderatrice, ha ricordato come attualmente nel mondo ci siano «160 guerre che non fanno letteralmente notizia. Il convegno di Shalom squarcia un silenzio» e svolgendosi a ridosso del Natale, sottolinea idealmente un fatto: subito dopo la nascita di Gesù si fa memoria del primo martire, Stefano, e il 28 dicembre sono i martiri innocenti a essere ricordati; come a sottolineare che la nascita del Salvatore non porta pace ma lo svelamento delle contraddizioni del vivere umano».

Poi lo sguardo del direttore della rivista dei Paolini allarga il focus sull’orizzonte del mondo a ricordare una serie di teatri dove il nome cristiano s’intride di sangue e persecuzione: Iraq, Siria, Nigeria… e prosegue: «In un tempo critico per la Chiesa, segnato dall’incapacità di tanti suoi settori ad annunciare Gesù, con questa miriadi di nuovi martiri sembra quasi che Dio voglia dirci che la Chiesa, per ripensare se stessa, deve ripartire proprio da quel “luogo teologico” che è il martirio, che può essere anche il martirio bianco della testimonianza».

Don Udoji, di cui abbiamo detto all’inizio, ha portato una testimonianza serrata e un racconto appassionato della sua Nigeria, dove a dispetto di una carta costituzionale che canta la laicità dello Stato, quello stesso Stato agisce scientemente e nei fatti una discriminazione spregiudicata verso chi professa la religione cristiana, ma non verso i musulmani. Inizialmente le azioni terroristiche verso i credenti in Cristo erano sporadiche, adesso la violenza è divenuta sistematica e organizzata, con un fiancheggiamento palese che arriva anche dagli apparati istituzionali. In 12 dei 36 stati del paese è in vigore la Sharia, presa come riferimento per l’esercizio del diritto penale e civile, e usata come stampella giuridica nella persecuzione dei cristiani. Tutto questo in una situazione in cui i Cristiani non sono minoranza nel paese, ma costituiscono la metà della popolazione. In Nigeria attualmente è in corso un persistente attacco alle chiese cattoliche, con rapimento e uccisione anche di sacerdoti; i numeri di questo massacro fanno rabbrividire: sono ben 4650 i cristiani uccisi nel solo 2021. Per superare questa situazione di crisi, il parroco di Montopoli propone due strategie: innanzitutto occorre informare, e dare eco a campagne di sensibilizzazione per suscitare l’interesse delle comunità internazionali; poi è necessario lavorare assiduamente per costruire ponti di fraternità tra Chiese, creando gemellaggi e non lasciando soli questi fratelli che soffrono persecuzione, «d’altronde – conclude – se la mia vocazione ha potuto scaturire; se io oggi sono qui tra voi come prete, è perché i missionari partiti dall’Europa tanto tempo fa, hanno fatto in Nigeria un buon lavoro», quel buon lavoro che oggi è chiesto a noi.

A ruota sono venute poi le parole di Wendyam Komamtanga funzionario dell’ambasciata del Burkina Faso presso la Santa Sede, che ha richiamato la difficile situazione del suo paese – già accennata da Martini – dove i terroristi islamici assaltano le chiese intimando ai cristiani la conversione all’Islam. Suor Marie Claire Koupaki ha parlato invece del Niger dove i cristiani sono discriminati sulla base del diritto al lavoro: «Se sei cristiano, o ti converti all’Islam o non lavori». Anche nel Niger esiste il problema del terrorismo di matrice islamica, che si somma ai problemi endemici del paese.

Il cardinale Beniamino Stella giunto direttamente da Roma ha ricordato alla platea che il martirio nella Chiesa non è un incidente di percorso o una congiuntura storica, ma una costante: «Gesù stesso ha detto: “Hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi”. In molti paesi del mondo ci sono comunità cristiane che nel celebrare la loro fede, la loro adesione a Cristo, si sentono abbandonate; e anche all’interno della Chiesa talvolta si fa fatica a superare le logiche di appartenenza etno-tribale». «In uno scenario persecutorio come quello cui siamo costantemente messi dinnanzi – si è chiesto Stella – vale ancora la pena essere cristiani?», «Certamente!» – è stata la risposta convinta – ma occorre essere testimoni autentici e portatori di gioia contagiosa, come ci ha insegnato suor Maria De Coppi, uccisa in Mozambico nell’ottobre scorso, «uccisa perché troppo “cristiana”, come hanno poi confessato i suo i aguzzini». Lo spunto finale era affidato a don Cristiani che ha tirato le conclusioni: «Oggi abbiamo fatto una prima cosa importante: abbiamo sollevato la coltre di silenzio che copre il dramma così scandaloso della persecuzione dei cristiani nel mondo». In seconda battuta il fondatore di Shalom ha poi richiamato le enormi responsabilità che la politica internazionale ha nel tollerare lo stato vigente, per poi rivolgere lo sguardo ai fedeli dell’Islam che conosce bene a motivo dei suoi tanti viaggi missionari: «Hanno un senso spiccato della fraternità, convengono con noi sull’essenza stessa della divinità che è amore. Non può esistere un Dio – com’è nella visione dell’integralismo – assetato di sangue che mette le sue creature una contro l’altra e che offre il suo paradiso a chi uccide un numero maggiore di credenti nelle altre religioni. Questa è una caricatura di Dio. Chiunque adora Dio e afferma la sua esistenza annuncia anche il suo essere padre di tutti gli uomini che tra loro sono fratelli. Il nostro compito allora è eminentemente educativo: dobbiamo annunciare queste verità».