Ci ha lasciato don Agostino cappellano di tre ospedali

Ricordo di don Agostino Cecchin

di Mons. Roberto Pacini

Agostino Cecchin nacque a Castello di Godego, in provincia di Treviso, 88 anni fa (quasi 89), il 20 febbraio 1935.

Apparteneva ai religiosi dell’Ordine Ospedaliero di San Giovanni di Dio, i Fatebenefratelli (forse da qui l’uso anche del nome Beniamino), quando andò maturando il desiderio di divenire sacerdote.

L’incontro con il Vescovo di San Miniato, mons. Paolo Ghizzoni, di venerata memoria, – al quale rimase sempre legato da affetto e devozione e per il quale costantemente si prodigò, in special modo nei giorni successivi all’incidente stradale che condusse il Vescovo alla morte, – lo spinse a scegliere di incardinarsi come prete diocesano nella nostra Chiesa sanminiatese.

Non più giovanissimo, non trovò subito il consenso di tutti a questa sua decisione, ma la sua buona volontà e la lungimiranza di mons. Ghizzoni la spuntarono.

Divenuto membro quindi della comunità del seminario diocesano, dopo aver frequentato i seminari per candidati adulti di Torino e Colle Val d’Elsa, completò la sua formazione nella Congregazione dei Poveri Servi della Divina Provvidenza, i Preti di San Giovanni Calabria, a Verona: un’esperienza che contribuì a orientarlo ancor più decisamente al servizio del Regno di Dio e a rafforzarlo nel desiderio di ravvivare nella gente la fede e di prendersi a cuore i sofferenti.

Ordinato presbitero dal Vescovo Paolo Ghizzoni il 25 aprile 1984, a Castello di Godego, suo paese natale, già pochi mesi dopo divenne parroco della Pievania di San Silvestro a Larciano Castello, succedendo a don Ottorino Guerrini, inviato parroco a Gello di Lavaiano: la sua nomina porta la data del 1° agosto 1984.

Don Agostino ebbe modo di mettere a frutto il suo personale carisma ricevendo l’incarico di Cappellano dell’Ospedale San Pietro Igneo a Fucecchio, succedendo ai frati francescani che si erano ritirati dal locale convento. Successivamente, il medesimo servizio gli venne richiesto per l’ospedale di San Miniato e nell’affiancare i cappellani dell’arcidiocesi fiorentina nell’ospedale di Empoli.

Sapeva stare con gli ammalati senza far pesare le sue competenze infermieristiche, tenute solitamente riservate, riscuotendo apprezzamento dal personale sanitario. La sua presenza premurosa e affabile contribuiva non poco a rendere un po’ più sopportabile la degenza ospedaliera di molti.

Il rapporto con i ricoverati spesso si tramutava, nei tempi successivi, in un legame discreto e costante, in aiuto al cammino di fede di ciascuno. Anche in questi giorni, da chi è venuto a visitarlo, abbiamo raccolto testimonianze di persone grate per questo suo impegno, che andava a intrecciarsi con la cura della comunità parrocchiale, per la quale non trascurava niente di ciò che potesse servire ad alimentarne la crescita.

Nei quasi quarant’anni di permanenza nella parrocchia di Larciano Castello, ha messo mano al ripristino di pertinenze parrocchiali, adattandole a luoghi di accoglienza; ha aiutato a mantenere viva in diocesi la memoria di mons. Ghizzoni, anche dedicando una campana a lui e alle vittime, come lui, della strada e contribuendo al restauro di ambienti del seminario diocesano intitolati al Vescovo Paolo; ha retto per qualche tempo anche la parrocchia di Lazzeretto; non ha mancato di prestarsi ad aiutare altri sacerdoti; è ricordato come incaricato in anni passati di servire alcune parrocchie nell’attesa dell’ingresso del parroco designato e sempre presente come confessore a Fucecchio nelle liturgie penitenziali.

Ammalato a sua volta, ha subito innumerevoli interventi chirurgici, dando prova di affrontare questi disagi con animo fiducioso e riprendendo sempre il suo servizio con abnegazione, smentendo anche diagnosi infauste circa la durata dei suoi giorni: un lottatore. Ha accolto la sua nomina a monsignore come affettuoso incoraggiamento per il suo impegno generoso.

L’impronta lasciata in ciascuno di noi è la dimostrazione più eloquente di una vita spesa nel servizio di Dio e dei fratelli. La vicinanza e la premura con cui è stato assistito da parrocchiani e non, specialmente in questi ultimi tempi, ma non solo, racconta questo.

A quanti con amore lo hanno curato e sostenuto va la riconoscenza di tutti.