I ricordi del cardinale Gualtiero Bassetti

«Quella classe di seminario così bella…»

di Riccardo Bigi, Toscana Oggi

L’ex presidente della Cei iniziò il suo mandato come rettore nel 1979, proprio quando entrarono 15 ragazzi molto giovani. Fra loro c’era anche Giovanni: «Un entusiasta, aveva una grande vivacità»

Dalla voce del cardinale Gualtiero Bassetti traspare l’affetto per un altro dei «suoi» alunni del seminario che diventa vescovo. «Tra i tanti doni che ho ricevuto – spiega – ringrazio il Signore anche per questo: tra gli alunni che ho avuto in seminario a Firenze quando ero rettore, è il quarto che viene chiamato all’episcopato. Segno di un bel percorso che hanno fatto dopo l’ordinazione, come presbiteri: di questo ringrazio il Signore davvero con tanta commozione».

Libero da impegni pastorali, adesso che ha lasciato la diocesi di Perugia e il ruolo di presidente della Cei, Bassetti torna volentieri col pensiero agli anni fiorentini. «Sono diventato rettore del seminario maggiore – ricorda – nell’ottobre del 1979. Ero rettore del seminario minore da 11 anni e speravo di poter andare a fare il parroco. Il cardinale Giovanni Benelli, allora arcivescovo di Firenze, mi chiamò all’improvviso e mi disse che era ritornato sui suoi passi: capisco, mi disse, che desideri tanto fare esperienza in una parrocchia. Ma stanno per entrare in seminario quindici giovani di 19 anni, tutti nati nel 1960, Undici della diocesi di Firenze, quattro di altre diocesi toscane. E quindi, mi disse, devo mettere a capo del seminario maggiore qualcuno più giovane. Così mi nominò rettore, in sostituzione di monsignor Angiolo Livi. Avevo 37 anni. Dissi al cardinale, ma io cosa gli posso insegnare? Ci sarà qualcuno tra i seminaristi più grandi che ha quasi la mia età. Lui mi rispose: all’insegnamento ci penseranno i professori dello Studio teologico. A me interessa che tu faccia due cose. La prima: che tu continui a manifestare la gioia del tuo sacerdozio. Tu sei contento di essere prete? Sì, gli dissi. Ecco, stai con loro e manifestagli questa tua gioia. La seconda cosa che voglio dal rettore, mi disse ancora Benelli, è che quando vengo in seminario possa sentirmi a casa, in famiglia. Il cardinale Benelli era così, aveva questa immediatezza, senza tanta burocrazia, nell’impostare le cose».

La nomina, ricorda ancora Bassetti, passò anche dal consiglio presbiterale: «Benelli annunciò due nomine, la mia e quella di monsignor Silvano Piovanelli che, da parroco di Castelfiorentino, veniva nominato provicario. Chiese ai preti se ci fossero obiezioni: su Piovanelli tutti erano contenti che dopo una lunga esperienza in parrocchia tornasse in città con un incarico diocesano. Su di me qualcuno disse che non c’era niente da ridire, se non il fatto che fossi troppo giovane. Se il difetto è solo questo, rispose Benelli, non vi preoccupate, è una malattia che guarisce col tempo».

Ed eccoci quindi a quell’ottobre del 1979: «Andai in seminario tre giorni prima della data ufficiale di apertura, e cominciarono ad arrivare questi ragazzi: c’erano Giovanni Paccosi, Andrea Bellandi e Paolo Bargigia, che il Signore ha già chiamato a sè, tutti e tre provenienti dall’esperienza di Comunione e Liberazione. C’era Marco Cioni, che veniva dall’Azione cattolica, c’era Marco Zanobini dalla pieve di Rifredi, c’era Gianluca Bitossi, da Montelupo, che oggi è il rettore del seminario, c’era Luca Mazzinghi che oggi è un eminente biblista… Portarono un’ondata di gioventù, un respiro nuovo. Erano pieni di iniziative, si confrontavano, c’era una dialettica forte ma sempre positiva perché prevaleva la fraternità. Magari litigavano, ma si volevano bene. Erano discussioni belle, sulla Chiesa, su cosa significa essere prete, su come vivere il cristianesimo…

Al cardinale Benelli chiesi come dovessi regolarmi per tenere insieme queste diversità. Lui mi diceva: non ti preoccupare, me li devi formare tutti dell’ordine di san Pietro. Gli chiesi: eminenza, ma cos’è l’ordine di san Pietro? Mi rispose “stai zitto che hai già capito”». Racconta ancora Bassetti: «Erano gli anni in cui Benelli parlava con i responsabili di CL e diceva “bravi, state facendo un buon lavoro, ma vorrei meno attivismo e più spirito di preghiera”. Poi parlava con l’Azione cattolica e diceva “Bravi, fate tanta preghiera ma vi vorrei anche più attivi”. Cercava un equilibrio, cercava sempre il positivo in tutto, faceva le correzioni quando c’era bisogno e tutto poi doveva rientrare nella Chiesa». L

’allora giovane monsignor Bassetti avrebbe dovuto restare rettore del seminario solo qualche anno, e poi andare in parrocchia: questo era l’accordo con Benelli. «Nel 1982 però, improvvisamente, il cardinale morì. Fu una tragedia per i seminaristi, come se avessero perso un padre. Fu un momento veramente difficile, sentii pesare la responsabilità sulle spalle. Fu chiamato Piovanelli a reggere la diocesi, prima come amministratore, poi fu nominato arcivescovo: io gli ricordai che avevo questo patto, di restare rettore solo pochi anni. Lui però mi disse che in quel momento, appena divenuto vescovo, non poteva certo cambiare il rettore. Così mi prorogò per due anni, e poi alla fine ci sono rimasto fino al 1990». Una proroga che gli ha permesso di seguire quella sua prima classe per tutto il percorso di formazione: «Li ho potuti portare fino all’ordinazione, nel 1985. Il fatto che tra di loro ci siano due vescovi, è il segno che hanno fatto un bel cammino di Chiesa. Erano una classe così bella!Ho sempre avuto un buon rapporto con loro e sono sicuro che anche tra di loro si vogliono bene. Personalmente li sento come figlioli».

E il nuovo vescovo, che alunno era? «Don Giovanni era un entusiasta, aveva una grande vivacità, mille idee. Una voglia di fare che evidentemente è la stessa che poi lo ha portato ad andare in Perù per 15 anni. E non mi ha meravigliato che il cardinale Betori lo abbia chiamato, già alcuni anni fa, ad assumere responsabilità importanti nella diocesi di Firenze, come vicario per la pastorale e come responsabile dei beni culturali: evidentemente aveva visto in lui un collaboratore capace e affidabile. Le stesse qualità per cui oggi papa Francesco lo chiama a fare il vescovo».