La prassi inquisitoriale muta nell’epoca in cui nacque la nostra Diocesi. Interessanti figure femminili riemergono dagli atti dei processi alle “streghe” contenuti negli archivi.
La nostra ricerca sulle donne della diocesi di San Miniato, prosegue in archivi indubbiamente un po’ laterali, rispetto al consueto. Archivi che negli ultimi anni cominciano a essere aperti e studiati, uno di questi è il fondo Sant’Uffizio dell’Archivio della curia arcivescovile di Firenze, che come si sa dal 1622 è quello che raccoglie documenti importanti relativi anche a San Miniato, direttamente dipendente, in quanto suffraganeo dell’organo fiorentino, anche se con una sua autonomia.
In quel fondo c’è un documento di notevole importanza, almeno per il nostro discorso, si chiama «Synodus Miniatensis correctus» (b.27) e riguarda appunto una nuova strategia nei confronti delle donne accusate di stregoneria, questa sorta di manuale (prima manoscritto, poi stampato a metà ‘600), ribaltava in qualche modo le disposizioni in precedenza raccolte nel cosiddetto «Malleus maleficarum», il «Martello delle streghe», che crediamo sia stato uno dei primi libri ad essere stampato in edizione tascabile, tanto che gli inquisitori potevano portarselo agevolmente dietro. Nel Malleus c’erano tutte le istruzioni per sottoporre ad interrogatorio o a pratiche più cruente, una donna – e più raramente un uomo – accusati di stregoneria. Ne abbiamo viste molte copie in una bellissima mostra tenuta qualche anno fa nel Vescovado di Brixen, cioè Bressanone, all’estremo nord della provincia di Bolzano, a pochi chilometri dal confine austriaco. Un luogo che ebbe processi a non finire contro una parte della società di allora, quella che sembra non contare ai fini della storia, ma che ha avuto un evidente ruolo almeno di supporto nei confronti del genere maschile. Quando queste donne per qualche motivo cercavano una loro autonomia, entrando all’interno di una relativa marginalità, venivano additate con formule che le bollavano come prostitute o appunto dedite alla magia e alla stregoneria.
La Chiesa che ha dato collaborazione e anche spazio fisico ad una mostra come quella citata è, oggi, evidentemente pronta a mettere sotto la lente d’ingrandimento vicende come quelle appena rammentate, la mostra aveva tra l’altro anche un certo fascino e permetteva di capire molto sulle streghe, ma soprattutto sulle donne che furono costrette a interpretare una parte evidentemente ben poco piacevole.
Donne appunto indipendenti, che vivevano in grande sintonia con la natura, esperte in decotti e in altri rimedi fatti con erbe e con elementi tipici delle montagne e degli altopiani vicini a Brixen, dove non a caso esistono molti “prati delle streghe”. Abbiamo scritto le volte scorse sulle suore del Monastero di San Paolo, note per essere esperte in rimedi naturali contro le varie malattie. Abbiamo anche detto come, in un contesto diverso, avrebbero potuto essere accusate di stregoneria. In molti hanno sentito parlare della strega Gostanza il cui processo avvenne a San Miniato (anche se la donna veniva da Libbiano, vicino a Capannoli) pochi anni prima della nascita della diocesi, nel 1594. Una vicenda ancora poco nota, perché riesce a stupire il fatto che la donna alla fine venne assolta, come succedeva (diventando appunto una regola, dopo la nascita della diocesi, e ne parleremo subito) abbastanza spesso. Un po’ di confusione appunto, sebbene su Gostanza si siano scritti molti libri (a partire dal primo che ristudiava l’archivio storico del Comune di San Miniato, «Gostanza, la strega di San Miniato», a cura di Franco Cardini, Laterza, Bari 1989), realizzati molti spettacoli e almeno un film.
Nel 2000 il regista Paolo Benvenuti, con l’intensa interpretazione di Lucia Poli, dette la sua versione della storia, insieme ad un co-sceneggiatore d’eccezione come padre Valentino Davanzati, per molti anni animatore del Centro Il Grattacielo di Livorno e anche direttore dell’Istituto del Dramma Popolare (dopo che nel 1972 don Ruggini aveva lasciato il suo incarico ormai venticinquennale). Nel film di Benvenuti, padre Davanzati interpretava l’inquisitore che alla fine assolve la strega, dopo un lungo procedimento che ci aiuta tra l’altro a riscoprire le abitudini e i comportamenti di una donna a cavallo tra Cinque e Seicento, cosa altrimenti davvero non facile. Quello che poi resta interessante nella vicenda di Gostanza è che il primo libro su di lei sia in realtà stato scritto da quattro donne, che si chiamano Marilena Lombardi, Silvia Mantini, Silvia Nannipieri, Arianna Orlandi, ma che risulti sotto il nome del prefatore, Cardini appunto, e venga chiuso da una interessantissima postfazione scritta da un altro formidabile studioso, come Adriano Prosperi, quasi che le quattro ricercatrici avessero bisogno di una specie di anello protettivo. Se si vanno a leggere gli studi successivi, resta soltanto il nome di Cardini e sparisce chi ha effettivamente realizzato la ricerca.
Certo dal 1989 molte cose sono cambiate, probabilmente anche quello che è il possibile approccio con documenti di questa importanza che al di là della loro evidenza storica, possono raccontarci ancora molto altro sulla storia delle donne e, per quanto ci interessa, su quella della diocesi di San Miniato, dove a partire proprio dal 1622 si operarono importanti cambiamenti. La vicenda delle streghe è almeno in parte diversa da quanto la narrazione successiva ce l’ha riportata: «Le istruzioni che da Roma si mandavano ai commissari dell’Inquisizione in materia di stregonerie e sortilegi hanno mostrato che si adottò allora… un atteggiamento di grande cautela e scetticismo nei confronti delle accuse di stregoneria e si imposero norme procedurali capaci di garantire meglio gli imputati dagli arbitri» (Prosperi, p. 218, nel citato libro su Gostanza).
Insomma l’intera questione è da rimettere in discussione, insieme naturalmente ai nomi di alcune donne che in quegli anni furono processate (e assolte), lasciando una traccia importante del loro passaggio sulla terra, si chiamavano – ma sono solo alcune – Maddalena detta la Sarchia di Certaldo, verso il 1625, accusata da un certo Niccolò Corzani, cocchiere di Niccolò Ridolfi, cavaliere di Santo Stefano, che si scoprirà essere l’ispiratore dell’accusa. Poi ancora Maddalena da Montevarchi e Polita e Lisabetta Baroni da Santa Croce sull’Arno. Sono vicende tutte di eccezionale interesse, che restituiscono vita ad alcuni luoghi storici della città e della sua diocesi, si pensi appunto alla suddetta Maddalena: fu accusata il 20 aprile del 1637 da una giovane vedova di Montopoli, certa Caterina Borzotti, presso il convento di San Francesco a San Miniato. Caterina raccontò che la presunta strega le insegnò diverse filastrocche, ne riportiamo una a chiusura, da recitare quando suona l’Ave Maria: «Tale, tu non senti il santo suono / il tuo amore venghi a me humile e buono / come fece la Vergine Maria al suo figliuolo / io ti lego ne’ sette sagramenti e ne’ cinque sentimenti / che tu possa stare né altra cosa fare / finché tu non vieni la mia volontà a contentare».
Anche Margherita, così come le altre citate, fu naturalmente assolta, lasciando una traccia quanto mai importante di dichiarazioni e documenti, certo da ritirare fuori e ristudiare.