Dicono che don Andrea Gallo fosse un indisciplinato, anzi un ribelle. Date retta a me: da quell’adamantino e inossidabile reazionario che sono, posso attestare che pochi come lui nella storia del cristianesimo sono stati altrettanto fedeli al messaggio del Cristo e alla missione della Chiesa nel mondo». Passeggiando lungo il porto di Genova, in un caldo sabato di fine ottobre, rammentavo esattamente queste parole di Franco Cardini, scritte sul Secolo XIX all’indomani della morte di don Gallo, nel maggio del 2013.
E a Genova, presso la Comunità di San Benedetto al Porto fondata proprio da don Andrea, ho avuto l’occasione di accompagnare i volontari della nostra Caritas diocesana, per il primo incontro di formazione di questa nuova stagione. Una meta scelta dal direttore don Armando Zappolini, che di don Gallo è stato fraterno amico. Il desiderio era quello di cogliere e distillare un po’ dell’essenza di questo prete così originale e soprattutto d’imparare modi e forme che a «San Benedetto» hanno per stare accanto agli ultimi e agli emarginati.
I genovesi non si smentiscono mai e hanno tenuto alto il loro blasone con un’accoglienza che aveva del commovente: tè e caffè bollenti con deliziosa focaccia ai semi di papavero per impastare il discorso e aprire il cuore alla storia di questa Comunità che, dal 1970, fa un gran trambusto in città col suo modo così fuori schema di fare carità. Non c’è niente da fare, il mistero della forza della Chiesa risiede anche nella fedeltà dei suoi ribelli. Dovessi paragonare don Gallo a qualcuno lo paragonerei a un “poeta maledetto”. Un geniale Baudelaire, toccato dalla grazia di generare immensità con la sua arte, eppure così controverso, così discusso, così invariabilmente capace di suscitare, a seconda degli interlocutori, euforia o furore. Tanto che, se c’è un passo della Scrittura su cui nostro Signore non avrà certo mai da interrogarlo, è quel monito di Apocalisse che risuona invece così terribile per ogni credente: «Poiché sei tepido, cioè non sei né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca». No, tiepido don Gallo decisamente non lo è stato. Mai. Hanno provato in tutti i modi a tirarlo per la tonaca, attribuendogli le più svariate connotazioni politico-ideologiche. Un po’ stufo, alla tenera età di 80 anni, nel 2008, rilasciò un’intervista a Repubblica: «Comunista? Eh, la Madonna! Socialista? Ultimo dei no global? Mi sono state attribuite tante etichette ma io non ho scelto un’ideologia, a 20 anni ho scelto Gesù: ci siamo scambiati i biglietti da visita e sul suo c’era scritto “sono venuto per servire e non per essere servito”» Dalla narrativa stringente ascoltata a «San Bendetto» si può allora capire come il principale merito di Don Andrea sia stato quello di interpretare il cattolicesimo in forma sociale, declinandolo secondo la tradizione, la cultura e l’identità della Città della lanterna. In questo ha sicuramente raccolto l’eredità di alcune stelle polari del clero italiano come don Mazzolari, don Milani, don Benzi o Don Riboldi, che hanno sempre tenuto presente nella loro azione pastorale il contesto in cui erano calati.
Ci racconta Liliana Zaccarelli, che è stata suo braccio destro per più di trent’anni, come in Comunità, per sua espressa volontà, ancor oggi tutti vengono accolti senza giudizio: «Nel distribuire cibo e indumenti non chiediamo l’Isee. Per questa nostra apertura senza filtri abbiamo litigato anche col Banco alimentare. A noi non importa se qualcuno “ci frega”, quello che ci preme è non rimandare indietro nessuno. Qui i poveri possono anche portare via tutto». Un impegno quello del «San Benedetto» che conosce anche altri fronti di resistenza, come la vicinanza al mondo della tossicodipendenza, della prostituzione, del disagio psichico e della detenzione carceraria. Proprio per alcuni degli sfortunati ragazzi incontrati nel suo percorso, don Gallo realizzò una trattoria di fronte all’imbarco dei traghetti, «A’ lanterna di don Gallo», con l’obiettivo di recuperarli, inserirli nel circuito del lavoro, e restituirli così alla loro dignità di persone. «A’ lanterna» dove – ne siamo testimoni – si mangia benissimo, negli anni è diventata rapidamente un punto di riferimento nella ristorazione cittadina di qualità. Ogni cosa in questa piccola grande comunità è iniziata sempre con pochissimo, con “cinque pani e due pesci”, come per il centro di accoglienza di via Buozzi, che oggi ha 12 posti letto o «come il progetto sul recupero del cibo invenduto che – ci dice Domenico Mirabile, arrivato a San Benedetto nel 1983 è iniziato dal nulla e oggi ha raggiunto livelli commoventi». Respirando a pieni polmoni l’aria di questa realtà, percepisci davvero come la Chiesa sia l’unico soggetto ancora in grado, nell’Italia di oggi, di resistere all’egoismo sociale, capace di spendere una parola di significato per chi altrimenti sarebbe condannato alla deriva sociale.
Don Andrea raccontava spesso come un giorno venne bacchettato da un illustre prelato che lo rimproverava di non vivere all’altezza della dignità richiesta agli uomini di Chiesa; senza scomporsi, e con grande serenità, gli rispose di limitarsi a seguire l’esempio di Gesù e di chiedersi, ogni volta che avvicinava un drogato o un ladro o una prostituta, come avrebbe agito Gesù al posto suo; «Ah, beh, caro don Gallo – ribatté il prelato – se lei la mette su questo piano»; «E perché, eminenza – replicò lui –, su che piano dovrei metterla?».