Anno Jacobeo

Le tracce lasciate da san Giacomo a San Miniato

di Fabrizio Mandorlini

San Miniato, piazza del Popolo. Sali i gradini, entri nella chiesa di San Domenico e rimani incantato dagli affreschi sulle pareti opera del Bamberini che ti avvolgono. Ma facendo per uscire a sinistra della porta d’ingresso, un dipinto a parete ti porta in un’epoca diversa e ti vengono incontro abissi marini, pesci personificati, un mare agitato in tempesta e, in alto, una nave che cerca di resistere alla furia delle onde per continuare nella sua navigazione. È questo il segno jacobeo che cercavo, perché se comunemente la chiesa è conosciuta da tutti come chiesa di San Domenico, dovuta ai sei secoli di presenza dell’ordine domenicano, in realtà il vero titolo è chiesa dei Santi Jacopo e Lucia. Ma torniamo all’affresco. Per raccontare il culto, la devozione e la storia è senza dubbio un ottimo punto di partenza. Per secoli i vangeli e la vita dei santi sono stati tramandati per immagini attraverso l’arte e anche così sembra essere stato per San Giacomo. L’opera è conosciuta come il «Transito di San Giacomo» e rappresenta il viaggio delle spoglie dell’apostolo dal mare di Galilea alla Galizia dove trovarono collocazione ed ebbero come destinazione finale la cattedrale di Santiago di Compostela. A ovest, le scogliere del Cabo Finisterre erano considerate dagli antichi romani la fine del mondo conosciuto, dopodiché l’oceano faceva valere tutta la sua forza e tutto il suo mistero impetuoso. La raffigurazione rappresenta senza dubbio un valido strumento di catechesi, si potrebbe dire che ha tutto per raccontare come si direbbe oggi una storytelling o anche più di una perché a oggi un’interpretazione autentica non c’è, per la sua S datazione e dell’autore ci sono solo una serie di ipotesi rimaste aperte e destinate a rimanere con molta probabilità tali.

E allora possiamo raccontare il tumultuoso viaggio (leggenda aurea) dell’arrivo del corpo di san Giacomo come una lunga traversata dove i pericoli e gli imprevisti lungo il viaggio, solcando i mari, sono sempre dietro l’angolo. Mari profondi e misteriosi dove si trovano dei mostri marini e dei pesci degli abissi che hanno il volto umano. Un mondo quindi inquietante e sconosciuto come potevano essere gli oceani e dove si potrebbe pensare di vedere rappresentato lo spazio oltre Finesterre. La personificazione è l’elemento che caratterizza l’opera, mentre la navicella è spinta dal vento che assume sembianze umane. Sono interessanti al riguardo le considerazioni che fa Rossano Nistri, molto legato all’affresco davanti al quale ha passato da ragazzo molto tempo con la matita e l’album da disegno tra le mani (vedi su www.smartarc.blogspot.com): «L’episodio dell’arrivo del corpo di un santo al luogo cui era destinato è un tema topico delle narrazioni agiografiche ed ha la funzione di accreditare la volontà divina e la sua potenza protettiva sul santo stesso. Più che alla missione di Giacomo Maggiore di pescare e di scegliere tra i pesci buoni e quelli non buoni, il fatto che tra gli abitanti degli abissi ci siano soltanto creature mostruose e neanche un pesce buono mi induce a ritenere che l’intento narrativo non si riferisca tanto a qualche passo evangelico, ma che sia più semplicemente la descrizione figurata, secondo l’immaginario diffuso all’epoca, dei perigli immani che la navicella ha affrontato nell’aperto mare oceano, molto diverso dal mare chiuso di Galilea, e che ha potuto superare solo perché protetta dalla volontà divina: tanto più pericolo, tanto maggiore la benevolenza divina di cui il santo è destinatario e che è capace di riversare sull’umanità come intercessore. Stessa cosa per il vento…». Senza dubbio il culto di San Giacomo è arrivato a San Miniato attraverso la via Romea a seguito della diffusione del culto jacobeo dopo che le reliquie del santo arrivarono a Pistoia e l’affresco (forse un tempo compreso in una cappella dedicata al santo) ne è un segno tangibile arrivato fino ai nostri giorni.