Le dieci figure femminili che ho scelto di presentarvi in ordine cronologico biografico sono dieci donne cristiane riconosciute e amate dalla Chiesa e dalla tradizione popolare. Mi preme sottolineare per una precisa conoscenza storica che molte di più furono e sono state le donne cristiane che si sono lasciate travolgere dall’amore di Dio. Esse hanno anticipato con la loro vita, coniugando libertà e passione, il movimento di emancipazione femminile rimanendo fedeli interpreti del Mistero di Dio.
Il nostro percorso inizia nel lontano e originario I sec d.C. dove incontriamo la meravigliosa testimonianza delle martiri Perpetua e Felicita, le due giovani donne africane, vittime della persecuzione sotto l’impero di Settimio Severo che subirono il martirio a Cartagine il 7 marzo dell’anno 203. Esse sono state sempre unite nel ricordo e nella pietà popolare, a tal punto che anche io le ho considerate due immagini dello stesso cammeo.
Perpetua, giovane matrona, di nobile famiglia e di alta cultura, viene arrestata insieme ad altri compagni catecumeni e si fa narratrice, attraverso un diario, della sua eroica morte. Il documento è stato probabilmente composto nei primi anni del III secolo: è indubbiamente la morte la vera protagonista dell’opera che viene narrata direttamente da colei che sarà la vittima sacrificale della stessa passione di cui è soggetto e oggetto. In lei c’è una profonda necessità di raccontarsi, quasi fosse l’unico modo per sopravvivere, affidando al racconto il proprio vissuto, “perpetuandosi” così nel tempo. Nell’atto di offerta della sua vita che Perpetua fa a Dio si realizza il suo prendere posizione, il suo esporsi, il suo superarsi è sempre al di sopra perché sorretta dall’amore di Cristo. Nella Passione di Perpetua e Felicita spicca indubbiamente un’ottica femminile, su tutto emerge una rara attenzione ai sentimenti e alle relazioni affettive e amicali, è soprattutto la maternità delle due donne l’elemento costitutivo e caratterizzante della vicenda, che rende ancora più tormentata e atroce la loro umanissima storia. Perpetua, già madre, pur angosciata dal pensiero del figlio lontano resiste alle minacce del padre che usa il bambino per convincerla ad abiurare; ella con forza e determinazione chiederà e otterrà che le sia portato il figlio per poterlo allattare.
Accanto a lei, poi, c’è la splendida e umile figura di Felicita, probabilmente sua schiava, incinta, afflitta dal pensiero di non poter subire la sorte dei compagni a causa della gravidanza, poiché era impedito, per legge, l’esecuzione delle donne incinte. La sua testimonianza è veramente commovente, è qualcosa di molto bello e pulito. In Perpetua e Felicita c’è la genuinità della fede assieme alla forza del compimento della vita battesimale, hanno confessato non solo a parole l’amore per Cristo, hanno affrontato le pene del carcere e l’atrocità di una morte violenta , sono state donne coerenti con i propri ideali, hanno ricevuto molto e hanno dato molto dimostrando che il martirio non è solo dolore o morte fine a se stessa, ma autentica adesione alla vita in Cristo. Passio Perpetuae et Felicitatis è un susseguirsi di visioni, di sogni, di premonizioni pervasi da una potente tensione drammatica, ma anche permeati da una atmosfera onirica, mistica, allucinata.
Marco Formisano, nel testo che ha curato per Rizzoli, «La Passione di Perpetua e Felicita» a proposito delle visioni riccamente descritte e colme di reminiscenze bibliche così scrive: «Tutt’e cinque le visioni rappresentano costantemente, anche se in modo diverso, la morte e le modalità con le quali essa si manifesterà alla fine della storia. Pertanto le visioni offrono al lettore nuove strategie di lettura della realtà, esse diventano strumenti ermeneutici per la comprensione della storia. Dal punto di vista narrativo le visioni pongono in stretta continuità la vita terrena con quella dell’aldilà, rompendo, per così dire, le stesse barriere spaziotemporali. Tempo e spazio sono come dilatati e non hanno più confini nel mondo sensibile. La quarta visione di Perpetua è senz’altro quella che meglio delle altre rende manifesto questo procedimento di preparazione alla morte. Rappresentando in termini simbolici la lotta nell’anfiteatro, la martire anticipa la scena del suo stesso martirio, sovvertendone però i termini . Il suo è un “sogno di gloria”: ella non va a morire, ma a vivere e la sua non sarà una sconfitta ma una vittoria».