Ad un anno dall’inizio della pandemia siamo tornati a trovare Nadia Magni, coordinatrice dei Centri di ascolto Caritas del Valdarno e del larcianese, per fare il punto sulle emergenze che la nostra Caritas diocesana sta concretamente affrontando con i suoi presìdi sparsi sul territorio.
«La situazione sicuramente non né semplice, né facile – sottolinea la Magni -. Siamo in una fase di stallo. Nei nostri centri osserviamo che le persone hanno maturato una certa rassegnazione al fatto che la pandemia, purtroppo, non accenna a volerci lasciare. Del problema si ha però solo una percezione a livello sanitario, ma riguardo a cosa stia succedendo sotto il profilo sociale, economico e cosa succeda concretamente alla psiche delle persone, è molto difficile dirlo. Lo scorso anno, di questi tempi, eravamo shoccati, quest’anno siamo provati… sembra decisamente di avere il fiato corto. E mentre nella prima ondata tutti temevano una crisi alimentare, e per questo ricevemmo allora donazioni di straordinaria generosità, ora le donazioni di generi alimentari segnano un po’ il passo. Ci arriva qualche derrata la domenica, nelle raccolte delle messe parrocchiali, più qualche altra offerta sporadica. In generale sembra di capire che le persone siano in attesa di capire cosa accadrà, forse anche perché a diverse categorie stanno diminuendo, o mancano già, le risorse».
Nadia passa poi a testimoniarci degli afflussi dell’ultimo trimestre ai Centri di distribuzione: «Se vogliamo parlare di numeri, sono sicuramente in aumento e sono in aumento non solo per le richieste alimentari, ma anche per le richieste lavorative. Le persone ci interpellano per perdita o mancanza di lavoro, ma anche per problemi abitativi. Molti si son trovati nella condizione di non riuscire più a pagare un affitto. Il grosso timore che abbiamo è che, sbloccandosi il 30 giugno prossimo gli sfratti e i licenziamenti (per certe aziende lo sblocco dei licenziamenti è posticipato al 31 ottobre, ndr) si rischi di precipitare in una bolgia infernale, per ritrovarsi così nel mezzo dell’estate con una massa di persone senza casa e senza lavoro. Anche i nostri territori sono particolarmente esposti a questo proposito. È questo a mio avviso il problema maggiore, al di là di quello alimentare che è gestibile; l’emergenza lavorativa e abitativa sono le sfide che ci interpellano in termini stringenti. Sappiamo d’altronde come la mancanza di lavoro è sempre il dramma principe, che genera a cascata tutti gli altri drammi».
Le chiedo se ha notato in questi primi mesi del 2021 una differenza rispetto a un anno fa riguardo, ad esempio, alla tipologia di persone che si rivolgono agli sportelli Caritas: «Sicuramente – risponde – in alcuni dei centri più grossi, come ad esempio quello di Santa Croce o San Miniato Basso, si è abbassata notevolmente l’età media di chi si rivolge a noi. Ad esempio, se prima l’età era abbondantemente sopra i 40 anni, adesso siamo scesi anche sotto i 40 anni. Ossia, arrivano quotidianamente da noi giovani uomini, giovani padri di famiglia che mancano del necessario per i loro figli. Questo fa molto pensare, anche per un’altra ragione: non è abituale vedere così tanti uomini rivolgersi alla Caritas; tradizionalmente infatti sono sempre state le donne a bussare ai nostri centri, e questo non perché da parte del genere maschile sussistessero remore ad infrangere una non meglio dichiarata soglia del pudore, ma proprio perché queste persone prima riuscivano comunque a sbarcare il lunario magari anche attraverso lavoretti saltuari. Adesso tutta la filiera dei lavori di questo tipo, anche in nero, è saltata, e in giro troviamo un sacco di giovani uomini disoccupati. L’abbassarsi dell’età media di chi chiede aiuto spaventa, perché quella è la fascia di età che produce e che lavora».
Le domando un’impressione personale su questa situazione, soprattutto alla luce del suo essere quotidianamente in prima linea e a diretto contatto e supporto delle persone: «Credo – mi dice con franchezza – che in un momento veramente difficile come questo bisognerebbe mettere in circolo quella che io chiamerei “solidarietà civica”. In questa fase storica credo non sia completamente vero che siamo tutti in difficoltà, non è vero che a tutti mancano i soldi. È vero invece che la forbice tra chi guadagna molto e chi guadagna poco si è allargata parecchio.
Porto un esempio: il pensionato che percepisce una buona pensione, la trova tutta lì, perché oggi non ha modo di spenderla come la poteva spendere anche fino a un anno fa. Quindi quei soldi ci sono e sono fermi. Bisognerebbe trovare il modo di rimetterli in circolo, occorrerebbe che, coscientemente, i nostri sacerdoti, o anche i nostri amministratori, facessero un appello alla solidarietà civica. Anche donando solo cinque euro al mese, potremmo davvero aiutare una grande parte di comunità. E porto qui l’esempio di una pensionata, vedova, che si è rivolta ad un nostro centro di ascolto: pensione di mille euro al mese, un affitto agevolato di quaranta euro in casa popolare e ogni mese, prima dell’infuriare della pandemia, la possibilità di contare su 400 euro di entrate extra, ottenuti con lavoretti di pulizie domestiche. Si è rivolta a noi chiedendo un corrispettivo, in generi alimentari o altro, per quei 400 euro che da mesi non entravano più e che andavano a finanziare i suoi, diciamo così, “sfizi”. Ora io rifletto che una cifra del genere, in tempi come questi, potrebbe essere un piccolo stipendio, un aiuto per una mamma o un babbo che hanno perso il lavoro e davvero non hanno più entrate.
È questa la solidarietà civica che intendo. Comprendere insomma che nel frangente storico che stiamo affrontando ci sono i “sommersi” e i “salvati”, e che questa signora con i suoi mille euro di pensione e nessuno da mantenere, se non sé stessa, appartiene decisamente alla categoria dei “salvati”. “Salvati” che, non solo avrebbero l’obbligo morale di lasciare gli aiuti a chi fa più fatica, ma che potrebbero attivamente usare una parte residua del surplus di risorse che gli restano ferme sul conto corrente, per aiutare i tanti che oggi, anche nei nostri territori, vanno giù».