Riflessioni

La solitudine di questo tempo come viaggio interiore

di Giulia Taddei

In questo tempo storico di distanziamento sociale e pericolo pandemico, molto frequentemente, stiamo sperimentando sulla nostra pelle la solitudine e la finitudine. La solitudine è vuoto spaziale, mentre la finitudine è vuoto temporale. Come reagire a tutto questo che ci fa paura e ci porta angoscia e smarrimento? Forse una risposta e una possibilità esistono e vanno ricercate oltre la nostra dimensione umana e terrena perché il vuoto non è il nulla. Il vuoto è la possibilità dell’incontro con la pienezza di Dio.

Santa Elisabetta della Trinità, monaca carmelitana e mistica, proclamata santa da papa Francesco nel 2016, amava ripetere che occorre «fare spazio a Dio», dimenticarsi di noi, uscire da se stessi per poter fare esperienza di Dio.

Il vuoto crea il taglio da noi stessi, è il vero confine che va attraversato perché la voce intima dello Spirito possa iniziare a parlare. Il silenzio è la condizione che apre all’ascolto della vita dal di dentro.

La solitudine e la finitudine conducono al silenzio, all’abbraccio del Creatore con la sua creatura, lì dove nasce la voglia di ascolto, di accoglienza, dove si assaporano il flusso della vita e l’ordine del cosmo. Il silenzio educa, orienta, istruisce e piano piano assorbe il nostro disordine, la nostra pesantezza, la nostra vita psichica e ci libera accompagnandoci nella verità. Il silenzio toglie le maschere, ci denuda, ci fa entrare in contatto con la parte spirituale, dove l’anima gioisce e si sente leggera.

L’uomo come diceva la stessa Elisabetta della Trinità «appartiene all’eterno fluire della vita trinitaria e ha bisogno di silenzio per adorare». Questo tempo fatto di vuoti temporali e spaziali potrebbe essere dunque un’ottima e provvidenziale occasione per ricondurci ad una essenzialità originaria di contemplazione e risveglio di una spiritualità perduta, o quantomeno, assopita.

Anche Adriana Zarri, teologa, eremita e scrittrice era molto convinta di questo, alla pagina 28 del suo bellissimo libro Un eremo non è un guscio di lumaca, scrive: «L’isolamento è un tagliarsi fuori ma la solitudine è un vivere dentro. La solitudine non è una fuga: è un incontro, così come il silenzio è un continuo, ininterrotto dialogo. Si potrebbe dire che la solitudine è la forma eremitica dell’incontro».

Mi auguro che la solitudine e la finitudine di questo tempo possano essere fecondate dalla grazia e dal desiderio del viaggio verso la nostra interiorità.