In questo mese ancora incerto tra freddo, pioggia e vento il nostro vescovo Andrea ci invita nella sua casa, davanti al camino acceso, ad ascoltare la sua lectio biblica. È un invito che accettiamo volentieri per arricchire non solo la nostra cultura storica e religiosa, ma anche e soprattutto per aprire il nostro cuore all’ascolto della Parola che è «più dolce del miele».
Questa lectio del vescovo si incentra su Esdra e di Neemia, due libri biblici strettamente collegati tra loro: il primo si concentra sulla ricostruzione del tempio in seguito all’editto di Ciro; il secondo riporta la storia della ricostruzione delle mura di Gerusalemme, conformemente al decreto di Artaserse, re di Persia. Le parole chiave del libro di Neemia sono “riedificazione” e “preghiera”.
L’intero libro è ricchissimo di preghiere: ogni momento per Neemia era buono per elevare una preghiera a Dio e questo è un ottimo esempio di come la fede ci porti a confidare totalmente e costantemente nell’aiuto divino in ogni circostanza. Siamo alla seconda metà del V secolo a.C. Il contesto storico nel quale Neemia si trovò ad operare era delicato: dopo la conquista di Gerusalemme da parte di Nabucodonosor nel 597 a.C., parecchie migliaia di Israeliti erano stati deportati a Babilonia e in altre città della Mesopotamia. Poi, l’impero babilonese era crollato definitivamente ad opera dei Persiani, nel 539 a.C. Il re persiano Ciro si dimostrò indulgente verso i popoli sottomessi e gli Ebrei, che con il precedente regime erano stati costretti a lasciare la propria terra, poterono tornare in patria.
Zorobabele, discendente del re Davide, guidò il primo gruppo di Ebrei a Gerusalemme e diede inizio alla riedificazione del tempio. Circa sessant’anni dopo la costruzione del tempio, per ordine del re Artaserse, un secondo gruppo di Israeliti tornò sotto la guida di Esdra, uno scriba esperto nelle Sacre Scritture. L’incarico affidato a Esdra era di trasportare a Gerusalemme gli utensili per il servizio del tempio e informarsi sulle condizioni di vita degli Ebrei già rientrati nel paese all’epoca di Zorobabele. Infine, dodici anni dopo la spedizione di Esdra, Neemia ricevette il permesso da Artaserse di recarsi a Gerusalemme per ricostruirne le mura. Neemia era coppiere del re Artaserse, una mansione di fiducia che gli permetteva di stare quotidianamente alla presenza del sovrano, verificando che il vino che gli veniva servito non fosse avvelenato. Un giorno, il re notò la tristezza sul volto di Neemia e gliene chiese la ragione. Dopo una silenziosa e breve preghiera rivolta al suo Dio, Neemia rispose che Gerusalemme, la città dei suoi antenati, era in rovina e che lui desiderava andare a ricostruirne le mura. Il re gli accordò il permesso, gli diede una scorta di cavalli, lettere di presentazione per i governatori dei vari distretti che doveva attraversare e lo nominò governatore della Giudea. Una volta arrivato a Gerusalemme Neemia si diede subito da fare per l’opera di ricostruzione. I notabili ebrei s’impegnarono a costruire ognuno una parte delle mura, che vennero ultimate dopo 52 giorni, circa settant’anni dopo la costruzione del tempio. Neemia si dedicò all’insegnamento delle Sacre Scritture e la sua opera fece sorgere un forte senso di pentimento tra il popolo, provocando un grande risveglio spirituale.
Al capitolo 9 leggiamo la confessione dei peccati che il popolo fece davanti a Dio, seguita dalla preghiera dei Leviti che metteva in risalto la grazia costante di Dio verso il suo popolo. In quest’occasione, il popolo rinnovò solennemente il patto con Dio. Dopo aver governato Giuda per 12 anni, Neemia tornò in Persia. Ottenuto un nuovo permesso, ritornò a Gerusalemme per continuare la sua opera di ricostruzione. Stavolta si trattò soprattutto di una restaurazione di carattere morale, per insegnare al popolo ad abbandonare le infedeltà e ricominciare ad osservare la Parola di Dio. Durante la sua assenza, tra il primo e il secondo mandato come governatore, erano sorti dei forti disordini tra il popolo e Neemia, al suo ritorno, punì i colpevoli e ristabilì il culto nel tempio di Gerusalemme.
Il vescovo Andrea si sofferma su questo aspetto, ci fa riflettere sull’atteggiamento del popolo ebraico che promette accoglienza e rispetto della legge data dal Signore. Si rinnova un patto di amicizia tra Dio ed il popolo. Nulla valeva la restaurazione materiale di Gerusalemme senza questa restaurazione morale. Il fattore spirituale era la base su cui doveva fondarsi il nuovo Israele: il ritorno alla legge gli assicurava la propria personalità ed indipendenza di fronte ai nemici che lo attorniavano. Un patto suggellato ancora una volta nella preghiera. La preghiera che accomuna, che lega l’uomo a Dio, con le sue richieste, con i suoi rendimenti di grazie, uniti alla lode. La preghiera porta il fedele alla conoscenza e alla contemplazione di Dio. Ecco la Sapienza! «La Sapienza – ha sottolineato il nostro vescovo – è l’intima conoscenza di Dio. Con la sapienza si sperimenta personalmente e intimamente Dio e tutte le sue cose».
Monsignor Migliavacca a conclusione di questa sua lectio biblica ci ricorda che noi cristiani, questa alleanza con Dio, la ritroviamo e la viviamo nell’Eucarestia, «il Pane della vita e della vita eterna». Il fuoco arde ancora nel caminetto. Sembra non volersi spegnere, per accompagnarci, con il suo calore, nella preghiera, nell’ascolto della Parola, nella gioia della fede.