Intervista al vescovo Giovanni per gli 80 anni del "Codice di Camaldoli"

Il Vescovo alla tre-giorni di Camaldoli

di Francesco Fisoni

Eccellenza, quali le sue impressioni sui tre giorni di convegno per gli 80 anni del Codice di Camaldoli?

«Si è trattato di un momento molto significativo e la partecipazione del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, del segretario di Stato di Sua Santità Pietro Parolin, del presidente della Cei Matteo Zuppi ne danno ragione. Il ricordo di quell’incontro di 80 anni fa tra un gruppo di giovani laureati cattolici, convocati da Giovan Battista Montini, da una parte fa comprendere che i grandi momenti della storia non accadono sotto i riflettori, ma laddove ci sono uomini e donne vivi, che guardano la realtà e la sanno interpretare con realismo, ma nello stesso tempo sono animati da grandi ideali. Quei giovani cristiani comprendevano di trovarsi in un momento cruciale della storia e sentivano la responsabilità di immaginare il futuro a partire da quell’esperienza di vita nuova che il cristianesimo aveva introdotto nelle loro esistenze. I tre giorni del convegno, approfondendo vari dei temi presenti nel Codice di Camaldoli, hanno reso possibile comprendere l’importanza, anche alla luce dei fatti successivi, di quella riflessione che, in molte parti, ha costituito il contributo dei cattolici alla nostra Carta Costituzionale».

Riconnettersi al Codice di Camaldoli può aiutare i cattolici di oggi a trovare nuovi modi di fare politica rimanendo saldamente allacciati a valori e contenuti ispirati dal vangelo?

«Ci troviamo in una società e in una cultura profondamente cambiate rispetto a 80 anni fa. L’affermazione dei diritti individuali fa spesso passare in secondo piano la responsabilità verso il bene comune che ognuno di noi ha nella concretezza delle sue scelte e del suo modo di vivere. Il Codice di Camaldoli partiva da due principi che rimangono validi come orizzonte dell’impegno richiesto a ogni cristiano nella società in cui il Signore ci ha messo a vivere, sia a livello personale che ecclesiale. L’affermazione della libertà e della responsabilità verso il bene comune presente nel Codice conserva la sua attualità, e sono questi i principi ispiratori di un’azione sociale, politica, economica in questo presente. Nell’individualismo narcisista che sembra prendere sempre più campo nella nostra società, e nella fuga dalle responsabilità in cui cadono molti, spesso proprio per la mancanza di un ideale così grande e concreto, diventa ancora più necessaria la testimonianza dei cristiani, la cui azione sociale può sostenere la costruzione di una società più attenta a ogni persona, in particolare ai più deboli, e allo stesso tempo rianimare la speranza di tutti. Non mancano nella chiesa punti di educazione dei giovani e di solidarietà vissuta come sviluppo necessario della propria esperienza di fede, e credo stia a noi pastori sostenere e valorizzare le esperienze che già ci sono, e favorire in tutti i credenti la coscienza che la fede si è data perché la comunichiamo a tutti gli uomini e donne del nostro tempo come sorgente di vita nuova».

Come declinerebbe l’esperienza di questi tre giorni per gli uomini e le donne delle nostre comunità diocesane che desiderano impegnarsi nella cura del bene comune?

«Se c’è un aspetto che il convegno di Camaldoli ha lasciato totalmente aperto è proprio la sfida di come possa riaccadere nel presente un’esperienza simile. Il convegno stesso, con i numerosi relatori docenti e ricercatori di varie università e istituzioni accademiche italiane, è stato esempio di un filo che non si è spezzato, di una tradizione che resta attuale, ma che certamente richiede un’attenzione educativa più grande. Per la nostra comunità diocesana – e penso alle tante persone e comunità che sto conoscendo in questi mesi, in cui ho visto un’operosità grande, con esempi straordinari di impegno per il bene di tutti – la sfida principale credo consista in una sfida educativa.

Tutte le energie delle nostre comunità mi sembra dovrebbero, e dovranno essere concentrate nell’educazione delle nuove generazioni, sottoposte spesso a influssi che propongono il disinteresse verso il bene comune, l’accontentarsi del benessere fisico, materiale, come prospettive per la vita. Sappiamo bene che – come ebbe a dire Paolo VI – il mondo attuale ha bisogno più di testimoni che di maestri, e nella testimonianza ciò che conta di più non sono le competenze specifiche, ma l’orizzonte globale della vita, che se è segnato dall’amore a Cristo e perciò dall’amore per ogni persona, è capace di comunicare speranza, di tessere legami con tutti, di educare, introducendo al senso autentico della realtà.

Accanto a questo c’è l’impegno quotidiano della costruzione della comunità, nelle parrocchie, nei movimenti, e di testimonianza nei luoghi di vita, di lavoro, di rapporti sociali, nel tessuto delle nostre città, paesi e quartieri, fino anche all’assunzione di responsabilità politiche, dettata da questo desiderio di costruire insieme il bene comune».