Ippolita Gargini, «la Briccola», una pittrice importante, autrice di pitture devote e ispirate, allieva di Stefano Ussi, grande artista fiorentino di fine Ottocento.
Agli inizi del ‘900 (1914), Mary Richardson, “piccola signora in grigio”, entrò nella National Gallery di Londra e sfregiò la “Venere” di Velasquez, che il Times aveva definito “l’opera di nudo più raffinata al mondo”. Parecchi anni dopo (1989) fu la “Odalisca nuda” di Ingres che si aggirò, col volto di gorilla furioso, sui muri e sugli autobus di New York. Le Guerrilla Girls, come furono chiamate, si chiedevano se le donne dovessero essere svestite per entrare al Metropolitan Museum, giacché meno del 5 per cento degli artisti presenti nelle sale espositive erano donne e più dell’85 per cento dei nudi erano femminili.
Non vogliamo certo entrare in un dibattito tuttora aperto e attuale – giacché, nel frattempo, la presenza femminile al Metropolitan è scesa al 3 per cento -, ci piace però partire così per parlare di Ippolita Gargini, la Briccola, moglie del generale Briccola (un eroe morto durante la Prima Guerra Mondiale) e nota a chi abitava nello Scioa come una donna di portamento nobile, anche se molto vicina alla gente, se non altro per questo nome che le dava una sorta di patente di semplicità.
C’è un interessante articolo, su La Domenica del 16 dicembre 2018: “Leggere il Vangelo con l’aiuto delle opere d’arte: l’Annunciazione di Ippolita Gargini Briccola” – in cui Luca Macchi ne parla come una pittrice che “dimostra una grande sensibilità artistica”, qualcosa insomma che non parrebbe facile mettere da parte, senonché questo è stato fatto, almeno fino ad oggi. La Gargini (1872-1956) fu allieva di Stefano Ussi, uno dei più importanti pittori dell’800 fiorentino, un grande ritrattista, ma soprattutto l’artefice di tante pitture di carattere storico, come ad A esempio il suo capolavoro “La cacciata del Duca d’Atene”, il cui originale è conservato alla Galleria d’Arte Moderna di Firenze, mentre il bozzetto è presente a Roma, nella Galleria con lo stesso nome. Ussi era amico e sodale del patrigno della Gargini, cioè di Augusto Conti, con il quale aveva combattuto a Montanara, rimanendo a lui legato fino alla fine. Ussi morì nel 1901, assistito proprio da Ippolita, alla quale venne anche parte della sua eredità: a lei saranno certo andati i colori, i pennelli e chissà quali opere dell’artista.
La casa di Ussi era in via Marsilio Ficino a Firenze, una strada dove si vede una bella lapide istoriata dedicata al pittore, con il suo busto, una tavolozza e una scritta dovuta allo stesso Conti, che ha, proprio lì, una lapide marmorea che ne ricorda le origini sanminiatesi, mentre a pochi metri c’è una piazzetta a suo nome, che dà su Via degli Artisti e che ne presenta un bel busto marmoreo.
Siamo vicini a piazza Savonarola, un luogo di Firenze che ha non pochi legami con San Miniato, lì c’era ad esempio lo Studio dei Dupré, lì c’è la memoria di Ussi e naturalmente di Conti che – non andrebbe dimenticato – fu assessore alla pubblica istruzione del Comune di Firenze, tra l’altro il diretto ispiratore della decorazione presente sulla facciata di Santa Maria del Fiore.
A San Miniato invece, nel quartiere dello Scioa, esiste ancora la cosiddetta casa della Briccola, appartenuta alla famiglia Buonaparte. Un edificio cinquecentesco, sotto il quale si apre un bellissimo Frantoio, che conserva tutte le antiche macchine per spremere l’olio e nel quale sono state realizzate numerose attività, spesso legate al Festival del Pensiero Popolare: mostre, spettacoli, conferenze. Cosa del resto che ha occupato anche il piano superiore, quello a livello della strada, dove il pubblico intervenuto si è sempre stupito della presenza, ma anche della qualità di una cappella dedicata alle Sante Caterina, sì perché oltre a Santa Caterina da Siena, vi erano rappresentate anche altre sante, con un nome che si richiamava a Caterina d’Alessandria: sante tutte italiane.
Quella intensa cappella si deve interamente (o forse in gran parte, giacché ci piace immaginare qualche aiuto da parte di Stefano Ussi) ad Ippolita Gargini, sorella di Alma e figlia di Antonietta, seconda moglie del filosofo Augusto Conti, che dopo la morte di Enrichetta Pieragnoli, seguì le indicazioni del beato Pio Alberto Del Corona e si risposò.
Proprio sulle sante che si chiamano Caterina, Conti ha scritto un bel capitolo del suo “Sveglie dell’Anima” (Firenze 1902), in cui racconta le vite delle sante, che sono di Siena, ma anche di Genova e di Bologna. C’è poi alla fine, anche una importante trattazione su santa Caterina de’ Ricci. Insomma anche stavolta – come a Firenze -, Conti aveva scritto la guida usata dagli artisti per eseguire la bella decorazione. La Briccola del resto, fu sempre vicinissima alla chiesa di San Miniato, immaginiamo che esistano altre sue opere in alcune abitazioni private o, ancora di più, in spazi sacri. Ad esempio presso la casa natale del patrigno, a San Pietro della Scala, c’è almeno un bel ritratto di Conti, analogo a quello dell’Accademia degli Euteleti, che possiede due opere della stessa Gargini. Oltre al ritratto di Conti, ce n’è appunto uno dell’avvocato Gaetano Pini, padre di un’altra figura importante nell’ambito della Diocesi, cioè la cugina della Briccola, Luigia Pini, moglie del generale Paolo Maioli, residente nella bella fattoria che si apriva dopo piazza XX settembre, su via Ferrucci, fondatrice insieme ad altri della Casa di Riposo Del Campana Guazzesi.
Non è certo un caso, se la tomba della Briccola, si trova proprio nella cappella della famiglia di Luigia, al cui padre – anch’egli, come gli altri nominati, legato all’insurrezione degli studenti a Curtatone e Montanara – è dedicata una lapide proprio sulla casa Briccola di via Maioli (che era, prima di allora, appunto casa Pini). Per quanto riguarda le altre opere della Briccola, bisogna almeno citare il bellissimo trittico neo-gotico sull’altare della Cappella, sconosciuta ai più, che si apre nella parte sinistra del Seminario di San Miniato, verso il palazzo Comunale, e naturalmente la bella Annunciazione del Convento delle Clarisse, di cui ha parlato Macchi nell’articolo citato: “Le figure – scrive ancora il pittore, che è anche storico dell’arte -, la gamma di colori, il senso sfumato e volutamente indefinito del paesaggio ci portano alla lezione dei Preraffaelliti attraversata però da alcune particolarità vicine al divisionismo”.
Sono queste le opere che siamo riusciti a reperire, ma senz’altro – l’abbiamo già scritto – da qualche altra parte, nel circondario, ce ne sono altre, che attendono una specie di risarcimento, una esposizione che ridia spazio ad un’artista importante, di cui da tempo si è persa la memoria.