Sono due le cose che mi hanno segnato di più in questa Visita ad Limina: prima di tutto la coscienza della cattolicità, universalità, e dell’unità della Chiesa. Trovandoci come vescovi toscani con il Papa e poi con i dicasteri che sostengono la sua missione, è proprio il respiro universale, l’essere chiamati a servire la missione verso tutta l’umanità, ciò che mi è risultato più evidente, più concreto.
I vescovi insieme, attorno al Papa, nel grande corpo della Chiesa, fatto di ogni battezzato, nell’unità della stessa chiamata e della stessa missione, siamo nel mondo per rendere concreta la voce, lo sguardo, l’abbraccio di Gesù verso ogni persona umana. Ma proprio questa universalità ridona senso e valore all’impegno quotidiano, nella comunità diocesana, nelle parrocchie, nelle realtà ecclesiali, per far giungere questo abbraccio di Gesù a ogni persona che Egli mette sulla nostra strada, soprattutto oggi in cui senza qualcuno che lo annunci, che ne sia testimone, Gesù può rimanere uno sconosciuto per tanti giovani, per tante persone che vengono da altri paesi, da altre tradizioni, in questa nostra società che sempre più vive come se Dio non esistesse. La seconda grande esperienza di questa visita pastorale è proprio la persona del Papa Francesco. Nel dialogo di più di due ore che abbiamo avuto con lui, mi ha colpito la sua capacità di ascolto attento di ognuno di noi, la consapevolezza delle sfide a cui siamo chiamati a rispondere, e l’entusiasmo per comunicare Cristo, nella passione verso ogni persona concreta. Sia affrontando tematiche specifiche del nostro essere vescovi, dalla diminuzione del clero, alla necessità di ripensare la nostra presenza nel territorio, fino ai problemi amministrativi, sia nelle cose più essenziali dei nostri compiti pastorali, si vedeva che il suo sguardo è unificato dalla coscienza di Cristo come avvenimento presente, guardando il quale nasce un giudizio nuovo su tutte le circostanze. Un giudizio pieno di concretezza, che non nasconde i problemi, ma che è colmo di speranza, perché il Signore è il vero protagonista della storia. Il Papa non ha la preoccupazione di risolvere tutto, ma che la Chiesa sia sempre più limpida per lasciar passare la luce di Gesù, che vuole la salvezza di ogni uomo.
Anche noi, come comunità diocesana, dobbiamo tornare a guardare ciò che il Signore fa in mezzo a noi e attorno a noi, e scoprire questo sguardo di speranza che rinnova il desiderio di dare noi stessi perché Lui sia conosciuto, per il bene vero di ogni persona, della nostra società, del nostro mondo inquieto che solo in Dio può trovare le ragioni adeguate di una vera fraternità e della ricerca incessante della pace.
Andare alla tomba di Pietro, andare dal Papa, non è commemorazione di un passato, e neanche una riunione di “quadri ecclesiastici”, ma il ritrovarci alla radice di un grande albero, che nonostante la sua vita secolare, continua a fiorire in germogli sempre nuovi di speranza per l’umanità intera.