Di ritorno da Roma, dove ha partecipato per la prima volta all’assemblea generale della Conferenza episcopale Italiana, il vescovo Giovanni racconta in un’intervista al nostro settimanale le sue impressioni su questo importante appuntamento ecclesiale.
Eccellenza, questa è stata la sua prima volta all’Assemblea generale della Cei. Quali le sue impressioni?
«Trovarmi in mezzo ai 200 vescovi italiani mi ha, da una parte, fatto sentire come l’ultimo arrivato, ma dall’altra mi ha dato chiara la percezione di come al di là della nostra umanità fragile e limitata, lo Spirito Santo agisce e per il nostro tramite fa risplendere l’unità della Chiesa. Un’unità e universalità che si è respirata fin dal primo giorno, con l’incontro e il dialogo aperto con il Papa. Il clima alla Conferenza è un clima serio, di presenza: tutti noi che siamo lì, abbiamo la coscienza dell’impegno che mettiamo per guidare il cammino della Chiesa italiana. Nelle varie occasioni (nelle votazioni, negli interventi, nel dialogo) è percepibile proprio questa coscienza di dover rendere sempre più trasparente la testimonianza a Cristo, dentro la concretezza della vita di una Chiesa che è fatta anche di strutture».
All’avvio dei lavori, papa Francesco ha esaminato i problemi del Paese e della Chiesa, sottolineando al contempo l’urgenza di un nuovo slancio di evangelizzazione. Da questo punto di vista quali sono state, a suo avviso, le questioni sulle quali il Santo Padre ha voluto portare maggiormente l’attenzione dei vescovi?
«Il dialogo con il Papa ha fatto emergere la sua preoccupazione soprattutto in ordine a due questioni: la prima riguardo al vivere la povertà. Il pungolo del Santo Padre è che la Chiesa italiana possa essere sempre di più libera dalla preoccupazione del denaro, per dedicarsi interamente alla testimonianza della fede e alla crescita della comunità cristiana. Di fronte alla domanda di un vescovo che argomentava che noi presuli siamo spesso presi da tante preoccupazioni amministrative, Francesco ha ribadito l’importanza di essere testimoni della Parola e costruttori di comunione. Una seconda preoccupazione sottolineata dal Pontefice è stata quella relativa al tema della “colonizzazione culturale”; espressione da lui usata molte volte. Uno degli aspetti su cui la “colonizzazione culturale” si rende più evidente, ci ha detto, è quello dell’ideologia del gender. Certamente la Chiesa deve vivere l’accoglienza verso tutti. Su questo non c’è nessun dubbio: la Chiesa deve essere casa aperta per tutti; ma l’ideologia del gender, quando afferma che non esiste nessuna corrispondenza tra il corpo, il dato biologico, e quello che la persona è – ossia che ognuno secondo quello che sente può decidere chi essere – sta riproponendo, né più né meno, lo gnosticismo dei primi secoli, in cui si manifestava un disprezzo totale della corporeità. Un ulteriore punto poi, su cui ha insistito molto, è quello della scarsità delle vocazioni sacerdotali e religiose; e qui Francesco è stato diretto e ci ha chiesto: “Ma voi quante volte digiunate, chiedendo a Dio vocazioni?”. Ci ha cioè richiamati al fatto che le vocazioni non dipendono dalle nostre iniziative o dai programmi pastorali, ma dalla nostra mendicanza nei confronti dello Spirito che ce le dona».
Il cammino sinodale è stata una delle grandi tematiche di questa assemblea. A che punto sono le nostre Chiese in questo itinerario?
«Dopo due anni di ascolto inizia adesso quella che si chiama, nel linguaggio del sinodo, la fase sapienziale, cioè quella in cui si è chiamati a discernere ciò che è emerso dall’ascolto di tutto il popolo di Dio. Su questo abbiamo avuto dei grossi spazi di dialogo: una bellissima relazione di monsignor Erio Castellucci, arcivescovo di Modena con gli interventi in aula, così come i tavoli sinodali a cui hanno partecipato anche i referenti regionali del cammino sinodale e poi l’udienza con il Papa, il cui discorso è da riprendere. Da tutto questo materiale, nei prossimi mesi, verrà fuori un’indicazione su come proseguire nell’anno 2023-2024. Nella nostra diocesi, dopo un momento di stasi, dovuta al cambiamento del vescovo, da settembre dovremo riprendere con tutto lo slancio possibile questo percorso, che nel camminare insieme ci rende più Chiesa e ci fa scoprire con stupore la libertà con cui lo Spirito Santo suscita cose nuove fra di noi».
Nel comunicato finale illustrato dal cardinal Zuppi è stata messa a fuoco anche un’altra urgenza: quella relativa ai giovani che, «pur manifestando una forte ricerca di spiritualità, fanno fatica a trovare nella Chiesa ascolto e risposte».
Analizzando anche il contesto offerto dalla nostra diocesi, in quale direzione occorre impegnarsi su questo ambito? «Nell’esperienza di questi primi tre mesi come vescovo, noto questo: i giovani trovano una casa accogliente nella Chiesa se incontrano adulti che mettono se stessi al servizio della testimonianza e dell’impegno educativo. Questo vuol dire donare tempo e vita. Conosco esperienze dove ci sono famiglie che accolgono gruppi di giovani nelle loro case, proprio perché sia evidente che è la comunità intera che si prende la responsabilità dei giovani. In questo periodo sono spesso a celebrare la Cresima nelle parrocchie. Si dice sempre, quasi con ovvietà, che la Cresima è il momento in cui i ragazzi se ne vanno dalla parrocchia. Ma a me viene da pensare: e la parrocchia, ossia la comunità cristiana, che cosa offre a questi ragazzi in crescita, per fargli sperimentare che davvero la fede è capace di rendere più umana la vita? Che seguire Gesù non è un fatto accessorio ma è l’anima e la sostanza della vita? Ho verificato che quando in una comunità c’è questa proposta chiara, i giovani rispondono. E poi, come sulla questione delle vocazioni, si tratta davvero di avere presenti i giovani nelle nostre preghiere. Per cui, l’urgenza della proposta ai giovani, è l’urgenza della disponibilità della nostra vita, perché la proposta di Cristo, attraverso ciascuno di noi, possa raggiungerli».
Ha avuto modo di parlare personalmente col Papa?
«Il Papa, probabilmente per le sue condizioni di salute, nei due incontri che ha fatto con noi, non ha dedicato tempo a salutare i partecipanti. L’ho visto solo da lontano. Ma devo dire che l’ho visto bene, nonostante la fatica a camminare. È una guida che riempie sempre di speranza, si vede in lui un’energia che nasce dalla gratitudine; per lui il rapporto con Gesù, e la vita della Chiesa, sono davvero la cosa più grande e bella che ci sia. E questo sa comunicarlo».