Recentemente abbiamo ricordato, sulle pagine di questo settimanale, il compositore francese Olivier Messiaen (1908- 1992), riflettendo in epoca di pandemia sul suo celebre Quartetto per la fine del Tempo. L’odierna festa di San Francesco ci offre lo spunto per proseguire il discorso. Messiaen, infatti, dedicò la sua ultima composizione, la più grandiosa, proprio al Poverello d’Assisi. L’opera gli fu commissionata quand’era ormai anziano. In trent’anni di carriera non aveva mai scritto un melodramma ma acconsentì solo perché attratto dalla figura di San Francesco. Scrisse prima il libretto, attingendo alle Fonti Francescane, alla Bibbia e alla Somma Teologica di San Tommaso d’Aquino. Poi iniziò il lungo lavoro di composizione della partitura, che si concluse dopo quattro anni, nel 1983. L’opera, in tre atti e otto quadri, dura complessivamente quattro ore e mezza. L’organico orchestrale e corale richiesti sono giganteschi, ma l’impianto teatrale è molto sobrio ed essenziale. L’accento cade unicamente sul progresso interiore, sull’opera della grazia nell’anima di Francesco.
Il primo quadro mette in scena il dialogo della Perfetta letizia tra Francesco e frate Leone, che si conclude con questa riflessione sul valore della sofferenza: «Di tutti gli altri doni di Dio – canta Francesco – noi non ci possiamo gloriare, poiché non vengono da noi, ma da Lui. Della croce, della tribolazione, dell’afflizione possiamo invece gloriarci, perché queste cose ci appartengono».
Il secondo quadro prepara la svolta fondamentale, l’incontro di Francesco col lebbroso. In preghiera all’Eremo delle Carceri, il Poverello chiede a Dio una grazia particolare: «Tu sai quanto io abbia paura, quanto abbia orrore dei lebbrosi, della loro faccia corrosa, della loro orribile puzza! Signore! Fammi incontrare un lebbroso… Fa che io sia capace di amarlo».
Questo desiderio si realizza nel terzo quadro. Vincendo la ripugnanza, Francesco bacia un lebbroso e diventa così San Francesco.
Nel quarto quadro il protagonista è assente. Un angelo, che ha preso forma umana, fa visita al convento dei frati. Francesco ricompare nel quinto quadro, in cui chiede di poter gustare per un attimo il Paradiso. Gli risponde un angelo che lo inizia ai misteri del Cielo attraverso la musica: «Dio ci abbaglia per eccesso di verità – gli dice l’angelo -. La musica ci porta a Dio per difetto di verità. Ascolta questa musica che sospende la vita davanti alle scale del cielo, ascolta la musica dell’invisibile». Una sfida da far tremare i polsi per qualsiasi compositore, che Messiaen affronta con risultati sublimi. Trasformato dalla musica dell’angelo, San Francesco inizia a comprendere il canto degli uccelli e nel sesto quadro parla con loro. La scena si trasforma in un grande concerto con canti di centinaia di specie di uccelli provenienti da tutto il mondo.
Nel settimo quadro, San Francesco riceve il sigillo delle stigmate, che lo conformano a Cristo. Sul monte della Verna, una voce si rivolge al Santo parlandogli dell’Eucarestia: «Accetta il tuo sacrificio in comunione col mio Sacrificio e, andando oltre te stesso, come fa una musica più elevata, diventa tu stesso una seconda ostia». L’ottavo quadro, infine, mette in scena la morte di San Francesco e il suo ingresso nella vita nuova. A chi gli rimproverava l’assenza, nella sua opera, di passioni umane e di crimini, elementi tipici del melodramma, Messiaen rispondeva: «Io trovo che il peccato non sia interessante, il fango non è interessante. Preferisco i fiori».