Accademia degli Euteleti

Il sacro nella musica di Giacomo Puccini

di don Francesco Ricciarelli

Nell’opera lirica il compositore è il vero drammaturgo, che non si limita a rivestire di note una storia già data ma ne scandisce i tempi e gli snodi drammatici, la approfondisce, la commenta, la arricchisce di significati. Tra le righe del pentagramma, le tracce del sacro, di una fede talvolta sopita o forse custodita gelosamente nell’intimo dell’anima, riaffiorano dalle partiture anche di musicisti considerati solitamente“laici”.

Di tutto questo ha offerto un chiaro esempio la conferenza sul sacro nell’opera di Giacomo Puccini, tenuta dal maestro Stefano Boddi lo scorso 18 aprile, in occasione di uno dei tre appuntamenti culturali promossi dall’Accademia degli Euteleti presso la biblioteca storica del Seminario di San Miniato. Boddi ha ricordato come Puccini, a tutti noto come un impenitente donnaiolo, prima di morire abbia chiesto e ricevuto i Sacramenti e come la sua competenza in materia liturgica, acquisita grazie al servizio di organista nella cattedrale di Lucca e approfondita con la frequentazione del monastero di clausura dove sua sorella era badessa, gli permisero di trovarsi a suo agio nel comporre opere dai risvolti religiosi importanti come «Suor Angelica» o «La Fanciulla del West».

Ma questa sua sensibilità emerge anche nelle altre sue opere, compresa quella dalle venature più anticlericali: la «Tosca». Ambientata nella Roma dell’Ottocento, col potere temporale del Papa minacciato da Napoleone e insidiato dai cospiratori della «spenta Repubblica Romana», la vicenda è messa in moto dalla passione che Scarpia, capo della polizia pontificia, nutre per la cantante Floria Tosca, che però ama il pittore Mario Cavaradossi, cospiratore anti-papalino. Il carattere sulfureo della storia è evocato fin dai solenni accordi iniziali che contengono un intervallo di tre toni interi, un trítono, che la tradizione cristiana ha identificato come il «diavolo in musica». Questo inquietante accordo tornerà come leitmotif associato a Scarpia, personaggio dai tratti effettivamente diabolici, che detiene il potere assoluto e lo usa ai propri fini. Ripercorrendo la trama dell’opera, Stefano Boddi si è soffermato su alcune scene, facendo notare la meticolosità con cui Puccini ha ricreato il panorama sonoro della Roma dell’epoca, con precisi richiami alla musica sacra, riletti in chiave drammatica.

Particolarmente efficace il modo in cui Puccini tratta il famoso “Te Deum”, indetto per celebrare la presunta sconfitta e morte di Napoleone, in cui le note del solenne inno sacro si intrecciano con la melodia di Scarpia, che rimugina il suo piano per disfarsi di Cavaradossi e impossessarsi di Tosca. La donna, descritta fin dall’inizio come pia e virtuosa, in balìa di Scarpia rivolge a Dio una protesta («Vissi d’arte, vissi d’amore») e ricordando la propria fede eucaristica e mariana chiede al Signore: «Perché me ne rimuneri così?». Mentre Scarpia la incalza, sulle note dell’accordo dissonante che lo identifica, Tosca si inginocchia davanti a lui («Mi vuoi supplice ai tuoi piedi?»). «È terribile», ha notato il relatore, «Tosca non si inginocchia più davanti a un Tabernacolo o alla Madonna, ma davanti al male, che vede come sua unica via di scampo». Promettendo di concedersi a lui, ottiene da Scarpia un salvacondotto per sé e per Cavaradossi. Poi Tosca uccide il suo persecutore con una coltellata. Così, lei che prima era tutta devota e pia, ora si macchia del peccato più grave: l’omicidio. Nell’atto finale ha luogo la fucilazione di Cavaradossi e si svela l’inganno di Scarpia, che aveva promesso a Tosca di far inscenare una finta esecuzione. L’amante di Tosca, invece, viene ucciso veramente e la donna, per sfuggire all’arresto, si getta nel vuoto dal bastione di Castel S. Angelo. Le sue ultime parole: «O Scarpia, avanti a Dio» sono un appuntamento al cospetto del Giudice supremo che tirerà le fila della storia. Sulle ultime sillabe, «a Dio», Puccini mette un intervallo di sesta minore, che musicalmente viene chiamato «intervallo imperfetto». Tosca è diventata anche lei imperfetta e il giudizio finale su chi abbia avuto torto o ragione in questa vicenda spetta soltanto a Dio. «Questo era il modo di scrivere di Puccini – ha concluso Stefano Boddi – che metteva sempre in risalto gli aspetti riguardanti il sacro, consapevole che tutti abbiamo bisogno di incontrare Dio.

Puccini stesso l’ha incontrato in fondo alla propria vita, o forse l’ha incontrato anche prima, un po’ a modo suo, ma senz’altro ha compreso – e questo è il messaggio che ci lascia – che tutti abbiamo bisogno della sua misericordia».