Riflessioni

Il ministero episcopale secondo don Divo Barsotti

Tratto dagli scritti di Don Divo Barsotti

Riportiamo uno scritto del sacerdote palaiese don Divo Barsotti (1914 – 2006), grande mistico del Novecento, col quale monsignor Giovanni Paccosi aveva un legame molto profondo.

Bellissima, fra le lettere di Paolo, la seconda ai Corinzi. Non c’è altro scritto che ci possa dire che cosa sia nella Comunità cristiana colui che è chiamato a guidarla, nessuna che ci dia una così meravigliosa testimonianza di paternità spirituale.

 «Non chiamate nessuno Padre quaggiù sulla terra» ha detto Gesù; ma se Paolo chiama figli i Corinzi non è forse un padre? La paternità spirituale non moltiplica la paternità di Dio, ma è il sacramento che la fa presente e visibile agli uomini. È questa paternità il carisma del sacerdozio cristiano, e in modo eminente, dell’episcopato. A imitazione di quello che è il Padre nel mistero intimo di Dio, è il vescovo nella chiesa di Cristo: è colui che comunica la vita ed è per lui e in lui che si realizza l’unità dei cristiani e la comunità dei credenti diviene la Chiesa, l’unico Corpo del Cristo.

Prima ancora che Maria santissima fosse riconosciuta Madre della Chiesa, la Chiesa fin dalle origini ha dato al vescovo il nome di padre, ed è questo da secoli e secoli che il mondo riconosce al Vescovo di Roma, vescovo di tutta la Chiesa. Egli ha certamente un potere e un’autorità, certamente il suo è un servizio; ma l’esercizio del suo potere e il compimento del suo servizio sono soprattutto, anzi sono essenzialmente, una testimonianza d’amore. Questo amore chiese a Pietro Gesù, prima di conferirgli il primato, e l’amore di Pietro, nelle parole stesse di Cristo, doveva manifestarsi e farsi reale e concreto, nel pascere il gregge. In questo amore Pietro diveniva uno col Cristo per servire gli uomini e dare la sua vita per loro, come aveva fatto Gesù.

Se ogni cristiano deve rendere testimonianza agli uomini della presenza del Cristo, nel vescovo deve farsi presente il Cristo nella perfezione del suo sacrificio per la salvezza del mondo. Non si può separare il suo sacerdozio dalla salvezza di sé, è anzi nel sacrificio di sé che egli dovrà vivere il suo sacerdozio. Il sacrificio non è necessariamente l’immolazione cruenta, è sempre comunque il dono di tutta la vita, l’offerta di sé per la salvezza degli uomini. Non si fa presente Gesù sacerdote che nella partecipazione al suo sacerdozio, ma anche il suo sacrificio vuole una sua partecipazione nella vita di tutti i credenti. E come il vescovo solo possiede la pienezza del sacerdozio, così egli più di tutti deve amare e dare la vita per gli uomini. È questa la sua grandezza. Ma come è necessario che tutti i suoi figli rendano lieve il suo peso con la loro riconoscenza, con la loro obbedienza, col loro umile amore!