La Pieve di S.Lucia a Montecastello è figlia della Pieve di San Gervasio al pari di quella di San Martino di Palaia. La Pieve di San Gervasio va considerata non “chiesa-madre”, ma “chiesa[1]nonna”, avendo generato nei primi secoli dopo il Mille altre due chiese “pievi”, cioè, dove c’era il fonte battesimale.
Documenti di archivio dicono che nel 1627, cinque anni dopo la creazione della nostra diocesi di San Miniato, ricavata dall’arcidiocesi di Lucca nel 1622, le campane di Montecastello il 16 aprile suonarono per chiamare la popolazione ad eleggere il nuovo pievano. Non sappiamo quante fossero. Nel 1800 erano quattro, quelle attuali. intonate cominciando dalla piccola sul SI, la seconda sul LA#, la terza sul SOL# e la grossa sul FA#: un bel doppio!
Ma una notizia data da quel “topo d’archivio”, che era don Lelio Mannari, montecastellese doc, parlava di una campana del 1345. Non sappiamo che fine abbia fatto. Le quattro campane furono fuse dalla Ditta Magni di Lucca, una vera e propria dinastia di fonditori. Infatti Luigi Magni nel 1844 fuse la seconda in ordine di grandezza, nel 1845 fuse la terza e la quarta e nel 1884 col figlio Raffaele fuse la “piccina”. Ma nel 1826 si ha notizia dal pievano Luigi Banti (1807-1848) della fusione di una campana, pagata da alcuni benefattori, e benedetta il 17 novembre dal vescovo di San Miniato mons. Pietro Fazzi. Non deve essere riuscita bene quella fusione, se nel 1845 ne fu fusa un’altra, con la stessa dedica alla Madre di Dio Assunta in cielo.
Queste campane recano le seguenti iscrizioni, dediche e finanziatori: la piccola (1884): «Colla elemosina del popolo»; la seconda (1844): «D.o.m. et S.Luciae patronae ex piorum elemosinis»; la terza (1845) D.o.m. Deiparae V.M. In Coelum Assuntae Aere Populi»; la grossa (1845): «Maria V.M. Dei Italice Del Conforto Et S.Antonio P.D. Tempestatibus Ab Sac. Aedibus avvertendis Aere Pop. Et Fam. Sanminiatelli».
Il 14 luglio 1944, durante il passaggio del fronte di guerra, i tedeschi in ritirata minarono il campanile alto 36 metri, che avrebbe offerto all’esercito anglo-americano un punto d’osservazione su tutto il Valdarno. Cadendo sulla chiesa, la distrusse quasi completamente, ma le campane non subirono danni; furono trovate sotto le macerie senza incrinature. Rimasero a lungo sulla piazzetta della chiesa, ancorate a delle robuste travi in legno per poterle suonare, spingendole con la mani, in attesa che fosse ricostruito il campanile, da dove dal 25 giugno 1967 esplicano (elettrificate) tuttora la loro funzione di chiamare i fedeli in chiesa per le sacre celebrazioni.
Oltre ai suoni liturgici (a distesa, a morto) si conosceva anche il suono “a martello” (tocchi rapidi della campana grossa per riunire il popolo in caso di incendio) e “a maltempo” (per “rompere” con il suono della grossa la massa di energia che si avvicinava con fulmini, tuoni e grandine con la conseguente distruzione dei raccolti). Per questo scopo i contadini al momento del raccolto gratificavano il campanaio con i loro prodotti.
Informazioni e notizie del presente articolo sono tratte dal libro di Piero Gorini, “Montecastello, Storia, cronaca, leggenda” pubblicato a San Miniato dalla F.M. edizioni nel 2002