Gajoni fu pittore ma anche eccezionale “frescante”. Dalle ribalte parigine (nel 1937 una sua grande opera fu esposta accanto a “Guernica” di Picasso) arrivò in moltissime chiese della nostra Diocesi.
Siamo partiti dal centro di San Miniato, quell’edificio in fondo alla piazza del Popolo, con una specie di strano abbaino, il luogo dove Gajoni visse per oltre venticinque anni, dal 1940 al 1966, epoca della sua morte. Da lì si vede la chiesa di San Domenico sulla cui lunetta il pittore dipinse un’opera di grande suggestione.
Da diversi anni lavoriamo per una grande mostra su Anton Luigi Gajoni, un protagonista dell’arte del 900, che ci sembra ampiamente meritarla, se non altro perché la sua opera è ancora visibile in una vasta serie di chiese, in tutto il territorio. Un numero ben più consistente di quelle realizzate da un altro straordinario frescante, stavolta tra 6 e 700: Anton Domenico Bamberini (1666-1741), che operò in quegli anni a San Miniato (San Domenico, il SS. Crocifisso, San Paolo, il Vescovado, la SS. Annunziata), ma anche fuori, ad esempio a Marti e a Santa Croce. A questi due importanti pittori si deve la gran parte delle decorazioni degli edifici sacri della nostra Diocesi.
Partiamo per adesso dal più recente, che arriva a San Miniato quasi per caso, nel 1940. Gajoni era infatti milanese, anche se sua moglie, Lina Sani, aveva origini nel Valdarno inferiore. Immediatamente l’artista entrò in rapporto con la chiesa, già a Parigi aveva del resto esposto al Salone Internazionale (1937), una grande opera proprio nel padiglione del Vaticano. Era quello stesso Saloon, nel quale Picasso portava all’attenzione di pubblico e critica il quadro del secolo, il suo capolavoro, “Guernica”.
A San Miniato Gajoni imposta da subito una serie di opere di valore, a quell’ultimo piano di fronte alla chiesa, dal quale i lavori più grandi calavano attaccati a spessi canapi, dalle finestre sul retro. Se si guarda anche adesso si intuisce che in cima a quell’edificio c’era lo studio di un artista, assomiglia un po’ alle mansarde parigine, che forse Gajoni aveva abitato. Poche stanze, piuttosto ampie. Le camere, ma soprattutto la sala da pranzo che lui usava anche come studio. Con le grandi finestre che guardavano alte sui tetti, che tante volte avrebbe disegnato e dipinto. Soprattutto quando, a fine serata, gli restava un po’ di colore sulla tavolozza. Solo allora si dedicava ai quadri, che potremmo chiamare ‘di contorno’. Faceva dei piccoli capolavori usando come modelli i tetti, la torre di Matilde, la Torre degli Stipendiari, la Rocca, altri elementi che potevano servire a collocare geograficamente le sue opere. Nelle collezioni, in varie parti d’Italia, in Liguria o in Lombardia, e anche all’estero, ci sono ampi scorci della città, e costituiscono, molto più di ogni discorso, veri stimoli alla visita.
Il suo rapporto con il Seminario, e con una serie di sacerdoti che si succedettero nella direzione, diede molti altri frutti: intanto diventò insegnante di storia dell’arte per i futuri sacerdoti, ma soprattutto già tra il 1941 e il 1942 si inaugura la prima chiesa da lui affrescata, quella di Santa Lucia, a Perignano di Lari, per la quale dipinge il catino, la conca absidale, la cupola, l’arco trionfale, il soffitto e il battistero.
Un’opera importante per la quale si raccontano episodi divertenti, giacché in molti posarono per tanti dei personaggi rappresentati. Il pittore sosteneva che non si doveva staccarsi dal vero, il vero doveva costituire l’ispirazione dell’artista, anche se lui era in grado di trasfigurarlo: con la propria arte, con l’ispirazione, così da fare un’opera che, in qualche modo, fosse “più vera del vero”.
Dopo Milano e Parigi, Gajoni si era stabilito definitivamente in Toscana, e dal 1941 al 1966, cioè dai 52 ai 77 anni, praticamente visse arrampicato sui ponteggi per affrescare una ventina di chiese nelle province di Pisa, Livorno, Lucca e Firenze. Come scrive Sergio Michilini, un allievo di Gajoni, che oggi vive in Nicaragua: “vale la pena ricordare che il lavoro del frescante é un lavoro duro e farlo, passati i 50, i 60 e addirittura i 70 anni, é durissimo, tra calcinacci e materiali da costruzione, in ponteggi a volte precari, in posizioni impossibili, spesso a testa in su e ad altezze vertiginose! Alcune volte, come pare sia il caso di Perignano, il maestro usava la tempera all’uovo invece dell’affresco, per alleggerire un poco la carica di lavoro (si racconta ancora della spropositata quantità di uova che i contadini della zona fornivano quotidianamente alla parrocchia)”.
In realtà Gajoni realizza i primi affreschi fino dal 1914 in Lombardia, quando aveva solamente 25 anni. Da allora fino al 1928 quando si trasferisce a Parigi, dipinge un’altra ventina di chiese nelle province di Como, Lecco, Varese, Pavia e Milano. Poi tra il 1933 e 1934, collabora con Gino Severini negli affreschi di Notre Dame du Valentin a Losanna, Svizzera e tra il 1936 e 1938 é consulente di Mario Tozzi in varie occasioni, forse anche per gli affreschi che nel 1938, Tozzi realizza nel Palazzo di Giustizia di Milano.
A Parigi, nel 1935 esegue il grande murale “Le charme de la vie”, esposto nel Saloon de l’Art Mural e successivamente viene nominato insegnante di “Tecniche dell’Affresco” all’Accademia André Lothe. Nel 1937 realizza gli affreschi nel Padiglione Pontificio della Esposizione Internazionale e gli viene riconosciuta la medaglia d’oro del Governo Francese.
È insomma evidente – lo dice ancora Michilini – che “una simile grandiosa e frenetica attività nel campo dell’affresco e dell’arte pubblica non rispondeva solo ad esigenze economiche, congiunturali o circostanziali, ma era una ponderata, precisa e definitiva scelta professionale, politica e spirituale, molto ben inserita nel contesto del pensiero estetico e filosofico del secolo XX”.
Una scelta assolutamente controcorrente, così come, in forte contrasto con il mercato dell’arte, si poteva guardare al muralismo messicano, a cui Michilini paragona il lavora di Gajoni: contro quella sorta di nichilismo che predominava nel fare artistico di allora, più vicino all’espressionismo o anche al surrealismo e all’arte metafisica, meno alla pittura religiosa, ma anche a quella di impegno sociale.
Negli affreschi della Chiesa di Perignano, si avvertono più che da altre parti, i caratteri maturati da Gajoni a fianco dei post-impressionisti, di Cézanne, di Gauguin e dei cubisti, “soprattutto in riferimento all’uso audace dei contrasti tonali e coloristici e ai tagli compositivi decisi e improvvisi nella definizione dello spazio, della luce e dei volumi; mentre risultano estremamente interessanti le composizioni di integrazione architettonica, come nella conca absidale, dove il Cenacolo é inserito nelle membrature stesse dell’edificio reale o nell’apertura correggesca della cupola centrale”.
Durante gli anni di San Miniato, Gajoni fu membro della Commissione diocesana di arte sacra, della Commissione edilizia comunale, insegnante di Storia dell’arte in Seminario, membro dell’Accademia degli Euteleti , dell’Assemblea della Cassa di Risparmio di San Miniato e così via. Soprattutto, in quei ventisei anni lavorò come maestro decoratore nella maggior parte delle chiese della Diocesi e anche fuori, l’elenco è lungo, ma vale la pena seguirlo: c’è tra l’altro la lunetta della porta della chiesa di San Domenico (1959); gli affreschi davvero importanti – l’abbiamo detto – nella chiesa di Perignano (1941-42); quelli a San Pierino (1943); la Collegiata di Fucecchio (1944); la chiesa di Montopoli (1954), Crespina (1955); San Donato di Santa Maria a Monte (1956); la Cappella Volpini ancora a San Miniato (1960); la chiesa di Chianni (1964), oltre a Partino, Ponsacco, Casciana Terme, Cenaia, La Rotta e molti altri edifici quasi sempre sacri in Liguria, in altre zone della Toscana (Livorno, Lucca, Pisa ecc.), ancora in Lombardia.
Su Gajoni si possono consultare almeno due libri, pubblicati a cura di Marco Fagioli, il primo delle edizioni Aiòn di Firenze nel 2001, il secondo che è anche il catalogo di una mostra tenuta a Palazzo Grifoni, San Miniato, nel 2003, edito a cura dell’Accademia degli Euteleti, con un importante saggio di Mara Roani.
Oltre a questi, interessanti, ma certi non esaustivi, ci sono anche una serie di pagine, via via uscite su un blog: http://blogosfera.varesenews.it/la-bottega-del-pittore/tag/antonio-luigi-gajoni/ a cura di Sergio Michilini (da lì le nostre citazioni), che ha dedicato al suo maestro studi importanti, ricchissimi di immagini, in particolare degli affreschi presenti nelle varie chiese del territorio.