L’anno giubilare della nostra diocesi ha registrato il 20 maggio scorso una tappa significativa: il Giubileo dei medici e degli operatori sanitari, celebrato con un convegno nel quale sono state ricordate alcune figure di medici del passato, la cui memoria è ancora viva nelle comunità del nostro territorio. Nell’occasione è stato assegnato anche il premio «San Giuseppe Moscati» al dott. Guido Belcari, diacono della nostra Chiesa.
«Tornare all’origine del proprio spendersi per gli altri», le parole del vescovo Giovanni
+Giovanni Paccosi
«Mi colpisce un fatto, trovandomi davanti a una platea di medici – cioè di persone di scienza, che vivono la scienza applicandola alla cura degli altri –; mi colpisce che in qualche momento del vostro itinerario di formazione scientifica, avete scoperto che la scienza senza il Signore rimane chiusa entro i ristretti limiti dell’analisi».
Ha esordito con queste parole il vescovo Giovanni invitato ad aprire, sabato 20 maggio, nell’aula magna del Seminario, il convegno tenutosi in occasione del giubileo dei medici della diocesi di San Miniato, organizzato dalla sezione locale dell’Amci (Associazione medici cattolici italiani).
«Lo studio quantitativo del corpo umano – ha proseguito monsignor Paccosi – senza l’aspetto spirituale non è neanche un vero studio e un vero aiuto quantitativo, perché l’uomo è inscindibile nelle sue dimensioni materiale e spirituale. Nel rapporto con i pazienti, con le persone, voi avete scoperto qualcosa che va oltre e che resta staccato dalla cura dell’aspetto materiale. Per cui il vostro approccio alla scienza è un qualcosa di stupendo perché appunto incarna la finalità vera della scienza, conoscere per trasformare il mondo, continuando l’opera della creazione di Dio verso il bene dell’altro».
Poi monsignor Paccosi ha raccontato una sua esperienza personale: «Nella mia vita ho avuto la grazia di conoscere diversi medici che reputo santi. Di uno in particolare, Enzo Piccinini (1951 – 1999), è in corso la causa di beatificazione». Piccinini era un medico oncologo dell’ospedale Sant’Orsola di Bologna, attivo nel movimento di Comunione e liberazione. «Un giorno, quando ero parroco a Firenze, accompagnai da lui due ragazzi, fratello e sorella, che erano molto legati a me. Il loro babbo era morto di tumore all’esofago, e a distanza di un anno esatto anche alla loro mamma era stata diagnosticata la stessa identica patologia». «Tutti i dottori interpellati non davano speranze di sopravvivenza. Il tumore era troppo vicino alla colonna e non poteva essere operato. Piccinini era un medico che spesso si prendeva la responsabilità di operare casi che sembravano impossibili. All’incontro con i ragazzi studiò attentamente tutti i dati, confermando purtroppo che l’operazione non si poteva fare; l’unica possibilità consisteva nel sottoporsi a trattamenti molto pesanti e rischiosi. Ricordo allora che la ragazza gli chiese: “Ma si può almeno sperare in un miracolo?”. Al che lui le prese le mani nelle sue e le disse: “Ma tu credi che se io non sperassi nei miracoli, mi prenderei la responsabilità di fare questa professione?”. Questo episodio mi colpì moltissimo. Lui era un medico all’avanguardia» eppure anche lui credeva e sperava nei miracoli. Questa testimonianza semplice ci dice che l’ultima parola sulla nostra vita non è data da ciò che noi riusciamo a capire, ma dall’affidarci al Signore perché tutto quello che noi siamo in grado di capire e fare possa trovare un aiuto a un livello superiore». «Questa mattinata, che si concluderà con la celebrazione dell’Eucarestia – ha concluso il vescovo – possa essere per voi medici un ritornare a quel punto di origine del vostro spendervi per gli altri, che una volta riscoperto riempie sempre di nuova gioia, di energia e di desiderio di lanciarsi vincendo tutte le possibili stanchezze».
Scienza e carità, le qualità richieste ancor oggi a un medico
di Francesco Sardi
Il convegno giubilare dei medici e degli operatori sanitari diocesani si è sostanziato in alcune relazioni a carattere scientifico e nel ricordo di quattro medici che hanno operato nei nostri territori, alcuni di loro ancora ben vivi e presenti nella memoria delle nostre comunità: Zanobi Pecchioli, Pietro Bucalossi, Pietro Rondoni e Marco Pugliese.
Ma andiamo con ordine. Dopo il discorso introduttivo del vescovo Giovanni è stato invitato a prendere la parola Enrico Sostegni, consigliere regionale, che ha sottolineato quanto risulti importante organizzare convegni capaci di ricondurre la riflessione di ambito sanitario a una dimensione permeata di valori cristiani. Chi fa la professione di medico – ha sostenuto poi l’ex sindaco di Capraia e Limite – ha bisogno di farlo avendo cura di tutti; e nel mondo di oggi avere cure gratuite per tutti non è purtroppo così scontato, come ci testimoniano esempi infelici che giungono da oltre oceano: negli Usa ad esempio, nonostante il 16,6% del Pil venga investito in salute (in Italia la percentuale supera di poco il 6%) restano ancora dati sconcertanti: qui ad esempio la morte per parto è aumentata dell’80% negli ultimi vent’anni. È un problema che riguarda tutti, soprattutto i medici. Per il futuro, nel nostro paese – ha concluso il consigliere – sarà sempre più importante formare medici che sentano il sistema di sanità pubblica come qualcosa che riconoscano loro.
Il dott. Stefano Giannoni, che ha parlato subito dopo, ha trattato del ruolo dei medici in una società in continua trasformazione. Giannoni ha ricordato i convegni che Amci San Miniato ha tenuto negli anni scorsi su genetica, nanotecnologia e vaccinazioni. Simposi in cui si è riflettuto sulla medicina dei sistemi, una medicina sempre più integrata che a volte può non essere esente da eccessi. «Ne siamo stati consapevoli solo quando è arrivato il Covid con il quale abbiamo scoperto “la vulnerabilità di tutta la specie umana”, una vulnerabilità che, spesso, ci ha portato su strade non buone che ci hanno fatto dimenticare che siamo figli di Dio, in anima e corpo». La riflessione di Giannoni si è poi chiusa con un rilancio verso l’infinito: «Ecco che il medico deve prendere coscienza del solo valore fondamentale: l’amore, contro l’attualissima società dello scarto, una società che tratta l’uomo come mero oggetto, invece di fargli scoprire la sua vera potenzialità: essere figlio fatto ad immagine di Dio».
Un po’ di storia e una presa di coscienza anche nel saluto di don Andrea Cristiani, da 40 anni assistente spirituale dell’Amci diocesana: «Ho conosciuto personalmente colui che ha pensato la nostra associazione, il cardinal Angelini. Egli aveva una sensibilità incredibile per la sofferenza umana. Anche il dolore è una pedagogia che serve, se è incanalata verso Dio. C’è come un’azione evangelizzatrice nel dolore». Sottolineando poi come la testimonianza dei medici cattolici sia importante, in un contesto dove la pastorale sanitaria si sta pian piano estinguendo, ha proseguito: «Quello che più mi ha colpito in questi anni sono stati i suggerimenti che tante volte voi medici avete dato alle persone che perdevano un caro, o anche al malato, stesso a chiamare un sacerdote al loro capezzale, portandogli una luce e parlando di sacramenti».
In ultima istanza ha preso la parola la prof.ssa Maria Niccheri, chirurga per molti anni all’ospedale di Careggi e presidente regionale Amci. «Perché i giovani non si iscrivono all’Amci? – si è chiesta -. Perché il medico cattolico viene visto in un certo modo; si pensa abbia una carriera limitata in un mondo in cui il medico diventa sempre più un tecnico e l’intelligenza artificiale prende il sopravvento sull’uomo». Ma la soluzione secondo la Niccheri sta su un’altra strada: «Noi dobbiamo portare vicinanza, compassione e tenerezza mettendo sì a disposizione il massimo della conoscenza e della capacità tecnica, ma avendo la consapevolezza che la miglior cura resta la vicinanza del medico al malato e alla sua famiglia.
Quattro medici dall’alto profilo umano, vissuti tra l ’800 e i giorni nostri, ricordati al convegno
di Francesco Fisoni
Al convegno sono stati ricordati quattro medici del passato, la cui memoria – almeno per alcuni di loro – a distanza di anni è ancora viva nelle comunità dei nostri territori.
Renato Colombai ha profilato la figura di Zanobi Pecchioli (1801-1866) che, originario di San Miniato, viene considerato il primo neurochirurgo della storia. Proveniente da una famiglia borghese, studiò medicina grazie a una borsa di studio che gli mise a disposizione la comunità cittadina. Il suo prestigio scientifico portò il granduca Leopoldo II a chiedergli di viaggiare per l’Europa con l’obiettivo di informarsi sulle novità mediche che si trovavano in giro. Fu anche tecnologo, avendo inventato diversi strumenti utili ad alleviare le sofferenze dei pazienti, ed elettroiatra (curava mediante la corrente elettrica). Negli ultimi anni della sua vita incominciò ad abusare dell’alcool e a lasciarsi andare. Morì a Firenze per «lenta affezione cerebrale» come dichiararono i giornali di allora.
Renzo Lapi ha ricordato invece la figura di Pietro Bucalossi (1905–1992), che conobbe personalmente. Bucalossi, nato anche lui San Miniato, che fu oncologo di fama mondiale e politico. Sindaco di Milano dal ‘64 al ‘67 e poi ministro della ricerca scientifica dal ‘73 al ‘74 e ministro dei lavori pubblici dal ‘74 al ‘76. Studiò a Pisa dove si laureò col massimo dei voti. Nel 1934 si trasferì a Milano. Attento a tutto ciò che poteva migliorare la terapia del paziente affetto da tumore, agli inizi degli anni ‘60 si trasferì negli Stati Uniti per informarsi sulle nuove terapie farmacologiche. Umberto Veronesi fu suo allievo.
Anche Pietro Rondoni (1882-1956), di cui ha parlato Moreno Costagli, nacque a San Miniato e fu oncologo di fama mondiale. Anche lui, come Bucalossi, emigrò a Milano dove ottenne il successo professionale. Si deve a lui il cambio terminologico da “cancro” a “tumore”. Persona di aspetto severo, ma pacata, amava molto il ballo. Amico di padre Agostino Gemelli oggi riposa nella chiesa di S.Francesco a San Miniato.
Il dottor Marco Pugliese, scomparso nel 2020, a soli 65 anni, a causa del covid, è stato invece ricordato da Gabriella Sibilia. Persona sempre disponibile e cordiale, Pugliese si faceva chiamare il “bambino dei pediatri”, proprio a motivo della sua allegria e giovialità. Un medico generoso, che in più di una occasione ha aiutato i suoi piccoli pazienti più svantaggiati, accompagnandoli lui stesso alle visite specialistiche, come avvenne qualche anno fa per un bambino marocchino la cui famiglia non sapeva come altrimenti portarlo al Meyer.
Il premio «San Giuseppe Moscati» al medico e diacono Guido Belcari
A conclusione del convegno dei medici cattolici c’è stato anche il conferimento del premio «San Giuseppe Moscati» al dottor Guido Belcari, originario di Casciana Terme e oggi residente a Santa Maria a Monte. Belcari, che quest’anno compirà 80 anni, è terziario francescano e nell’anno 2000 venne ordinato diacono dall’allora vescovo di San Miniato monsignor Edoardo Ricci.