Dramma Popolare 2024 - Intervista al regista Otello Cenci

«Chi sei tu»? Dalla pagina alla scena per riflettere sulla nostra esistenza

di Francesco Fisoni

Dal 20 al 24 luglio nella storica piazza del Duomo a San Miniato in provincia di Pisa andrà in scena una pièce tratta dal diario di viaggio in Terra Santa dello scrittore e drammaturgo francese Éric-Emmanuel Schmitt. L’adattamento teatrale e la regia sono di Otello Cenci, al quale abbiamo rivolto alcune domande sullo spettacolo.

Andrà in scena dal 20 al 24 luglio nella piazza del Duomo, sul palcoscenico del Dramma Popolare di San Miniato in provincia di Pisa, Chi sei tu? La sfida di Gerusalemme, una pièce tratta dal diario di viaggio in Terra Santa dello scrittore e drammaturgo francese Éric-Emmanuel Schmitt. L’adattamento teatrale e la regia sono di Otello Cenci, responsabile degli spettacoli al Meeting di Rimini, al quale abbiamo rivolto alcune domande.

Otello Cenci, cosa l’ha attratta maggiormente del testo «La sfida di Gerusalemme» e perché ha deciso di portarlo in scena?

«Si è trattato di una lettura molto stimolante, commovente e per certi aspetti anche divertente, perché piena di umanità. Éric-Emmanuel Schmitt racconta i fatti che gli accadono in nuda verità e seppur le vicende siano personali e intime, riesce a essere sempre molto vero. Lo sguardo che ha sulla realtà è condito da una costante ironia e da quel giusto distacco che non diventa mai cinismo, ma coglie la realtà in maniera intelligente. Direi che ciò che mi ha attratto ed entusiasmato di più è proprio il suo percorso: quello di un ateo – come dice di essere stato in gioventù – che si converte, prima in via “teorica” e poi con questo viaggio fatto in Terra Santa, nel quale gli sono state compagne tutte le paure dell’uomo di oggi. Nel libro descrive con grandissima sincerità quest’esperienza da cui si è lasciato prima coinvolgere e poi cambiare. Per un uomo di cultura A francese non è banale oggi raccontare di una conversione, raccontare nel dettaglio quello che gli è accaduto nel Santo Sepolcro, uno dei passaggi più intimi e suggestivi del libro, che modifica completamente la sua posizione rispetto al tema religioso. Quando l’ho incontrato di persona, nel settembre scorso, dopo che avevo letto il testo, gli proposi di mettersi in prima persona a raccontare quello che gli era accaduto, successivamente siamo arrivati all’idea di una riduzione teatrale, e a una messa in scena molto più costruita con attori, musicisti e proiezioni grazie alle quali Schmitt stesso sarà protagonista in alcune sezioni».

Quali sono state le sfide principali con le quali si è misurato nell’adattare questo testo per il palcoscenico?

«In tutta la filigrana del racconto ci sono come due linee: ciò che accade a Schmitt in esterno, quindi gli incontri che fa, i luoghi che visita; e sull’altra linea il cambiamento che avviene dentro di lui. Si tratta di due aspetti che è stato necessario tenere sempre focalizzati in chiave drammaturgica. Il cambiamento che questo viaggio determina nel protagonista avviene per gradi. Nella necessità di doverlo sintetizzare, la prima difficoltà è stata quella di rimanere fedeli alla gradualità dei cambiamenti interiori ben descritti nel libro. Ciascun incontro ha lasciato un riflesso emotivo in lui, così come tutti i luoghi che ha visitato gli hanno lasciato un rimbalzo. Nel sintetizzare per la scena, il proposito è stato quello di non bruciare le tappe, non rendere tutto schematico, finto. L’altra difficoltà è stata meramente drammaturgica: si tratta pur sempre di un diario di viaggio e dentro vi abbiamo dovuto inserire dei cambi d’azione, elementi che non erano inizialmente nel testo e per questo abbiamo dovuto aggiungere delle invenzioni, ovviamente tutte condivise con l’autore».

Come sta lavorando con gli attori allo sviluppo dei personaggi?

«Stiamo procedendo su diversi registri. Sul palco avremo il recitato, la parte musicale, una sezione di proiezioni… Con gli attori e con i musicisti stiamo lavorando alla comprensione del viaggio interiore che ha fatto Schmitt e quindi a cogliere la linea che attraversa tutto il libro. Il nostro desiderio è quello di rendere vivo e concreto questo diario in maniera da parteciparlo a tutto il pubblico in sala».

Come ha approcciato l’ambientazione e il design scenico?

«Siamo partiti da quella che è la professione di Schmitt, il suo essere scrittore, e dallo strumento principale del suo lavoro: la parola. Quindi abbiamo immaginato Éric immerso nello scrivere nel suo studio, mentre si annota le parole, gli eventi che gli accadono. La base scenografica parte appunto da queste mille parole, da questi mille fogli e mille documenti che avvolgono non solo lo studio dello scrittore, ma anche la sua e la nostra mente».

Quale pensa sia il messaggio principale che il pubblico potrà portare con sé dopo aver visto lo spettacolo?

«Il titolo della messa in scena è “Chi sei tu?”, anche se il libro da cui è tratto ha un titolo differente: “La sfida di Gerusalemme”, appunto. Ma la sfida di Gerusalemme, in pratica, è proprio questa domanda: “Chi sei tu?”. Ossia: l’autore ci racconta di come questo viaggio in queste terre lo ha ricondotto costantemente proprio alla domanda: “Chi sei tu?”, che tra l’altro è molto vicina al tema scelto da Comunione e Liberazione per il Meeting di Rimini di quest’anno: “Se non siamo alla ricerca dell’essenziale allora cosa cerchiamo?”. Cioè, in cosa consisti tu, uomo? Cos’è che ti sostiene? Su cosa ti appoggi veramente nei momenti di fatica della tua vita? Allora questo “chi sei tu” è la domanda che invita a riflettere su cosa stiamo investendo la nostra esistenza».

Dopo la prima sanminiatese lo spettacolo verrà per l’appunto portato al Meeting di Rimini. Quale tipo di risonanza potrà avere in quel contesto, considerando i temi di dialogo interreligioso e pace presenti nell’opera?

«Il meeting si chiama proprio “Meeting per l’amicizia fra i popoli” e in 45 edizioni non solo il suo scopo non si è esaurito, ma è anzi tornato drammaticamente d’attualità. Uno degli aspetti su cui Schmitt insiste nel suo diario di viaggio è la natura composita di Gerusalemme, dal punto di vista delle architetture e delle tradizioni religiose. Gerusalemme è un’accozzaglia di diversi generi architettonici… ma questa mescolanza ha trovato un suo equilibrio ed è davvero come se le pietre avessero scoperto di essere fatte della stessa materia. Gli uomini questo devono ancora scoprirlo… ossia: hanno ancora da scoprire di essere fatti delle stesse domande e di uguali aspirazioni, di concepirsi insieme e non in opposizione. Questa oggi è un’esigenza impellente e io mi auguro che lo spettacolo non si traduca solo in un’esperienza poetica o emozionale, ma che vada a toccare corde profonde e che le persone che lo vedranno si sentano davvero provocate da questo pungolo».