Il centro di ospitalità notturna di Santa Croce sull’Arno e i due appartamenti in co-housing a esso collegati, offrono ogni notte ricetto a 28 persone. Un servizio di aiuto insostituibile per persone fragili e in grave stato di disagio, ai cui costi di gestione concorrono anche i contributi dell’8xmille alla Chiesa Cattolica.
Sera tardi, suonano alla porta… Qualcuno, precario della vita, chiede un letto e un tetto per la notte… Dare riparo a chi non ce l’ha è da sempre, secondo la pietà cristiana, un dovere di misericordia corporale. Situazioni come questa accadono ordinariamente al Centro di ospitalità notturna di Santa Croce sull’Arno, una struttura nata alla fine del 1998 e gestita dall’organizzazione di volontariato (odv) «Le Querce di Mamre», che già nel nome porta un richiamo esplicito al concetto di ospitalità e accoglienza: il libro della Genesi al capitolo 18 racconta infatti di Abramo che nell’ora più torrida del giorno riceve, sotto le querce di Mamre, la visita di tre ospiti inattesi ai quali offre cibo e ricetto.
Il Centro notturno venne realizzato per iniziativa dei comuni del territorio – in primo luogo quello di Santa Croce sull’Arno – su stimolo della Caritas diocesana. Oggi conta 20 posti letto e una struttura adiacente che offre servizio di doccia e lavanderia. I soggetti che si rivolgono a questa realtà sono in prevalenza persone con dipendenza dal gioco, individui con problemi psichiatrici, ex carcerati, migranti… Per dare loro risposte che non siano di carattere semplicemente emergenziale, nel tempo ci si è attrezzati con strutture differenziate. Già nei primi anni era stato realizzato un punto di ascolto interno, che ancora oggi ha il compito di sostenere e consigliare gli ospiti, nel guidarli a riattivare le proprie risorse e a riprendere in mano la propria vita. Questo sportello tiene rapporti costanti con i servizi sociali del territorio, con i quali concerta ogni tipo di intervento. La crescita ulteriore di questa realtà è stata poi sancita dalle aperture di due appartamenti in co-housing: nel 2013 «Casa Carlo Andreini» a Santa Croce e nel 2021 «Casa Alberto Giani» a Fucecchio. Realtà che possono accogliere entrambe 4 ospiti.
La nostra diocesi contribuisce alle spese generali di gestione con 30 mila euro ogni anno, tutti fondi che derivano dalle offerte dell’8xmille alla Chiesa cattolica. Si tratta di una cifra che copre per oltre il 20 % le spese complessive. Il modo più comune di accesso al Centro è quello di chi la sera suona il campanello e S domanda di entrare. L’inserimento di un ospite può avvenire anche su richiesta dei servizi sociali. Esiste poi il cosiddetto canale “seus” (servizio emergenza e urgenza sociale) attivato dalla Regione Toscana, che intercettata le situazioni di marginalità per inviarle a strutture in grado di fornire aiuto. Il Centro cerca di fare fronte a tutte le richieste, anche se non sempre è possibile dare una risposta immediata e talvolta c’è bisogno di fare un po’ d’attesa. I percorsi di aiuto, che il centro facilita con i suoi operatori, agiscono su più ambiti, ad esempio aiutando un ospite a prendersi cura della sua situazione sanitaria, a scegliere un medico di base, a riavvicinarsi al mondo del lavoro o anche semplicemente a rendersi conto che da soli non ce la si fa e che è necessario ricorrere a un tutore o a un amministratore di sostegno.
Quando le persone incominciano a strutturare un percorso di autonomia vengono indirizzate alle due co-housing, che come linea di pensiero sposano il concetto dell’«housing first», ossia: l’aiuto a una persona inizia dandole innanzitutto una casa. Ogni accesso in co-housing deve essere sempre ben ponderato: talvolta non è facile, ad esempio, armonizzare la convivenza di un ex carcerato con un alcolista o un extra comunitario con problemi di salute. Occorre valutare ogni volta la capacità del nuovo inquilino a stare insieme agli altri, a collaborare fattivamente all’economia della casa. A questo scopo vengono fatte riunioni periodiche di appartamento con gli operatori e gli educatori che servono a monitorare la situazione.
Ma a fronte delle difficoltà sono fortunatamente tante le storie belle da raccontare. Simone Lorenzini, anima del Centro – l’operatore che ogni notte assicura la sua indefettibile presenza al punto di ascolto – ci tratteggia ad esempio la recente vicenda di riscatto di un giovane nigeriano: «Arrivato in Italia con un barcone quando aveva 25 anni, venne accolto qui da noi nel cosiddetto progetto “sprar” dedicato ai migranti. Purtroppo il progetto non andò a buon fine e lui, demoralizzato, decise di trasferirsi in Svezia, dove però la sua situazione non migliorò. Tornato di nuovo a Santa Croce (l’unico luogo dove si era sentito veramente accolto), dopo diverse altre vicissitudini riuscì alla fine a trovare impiego in una conceria come operaio alla “scannatrice”, una delle mansioni più faticose che esistano nel processo di lavorazione conciaria, che nessuno vuol più fare e i cui turni di lavoro iniziano nel cuore della notte. A quel punto il nostro Centro notturno non era più adeguato per lui, perché finiva di lavorare a mezzogiorno e il suo bisogno immediato era quello di riposare. Gli proponemmo allora la soluzione intermedia del co-housing, in attesa di trovare un appartamento tutto per lui. In co-housing è restato diverso tempo. Infine un giorno si è presentata l’opportunità di andare a vivere da solo a Castelfranco. Situazione colta al volo proprio nel momento in cui stava per sfumare. Oggi questo ragazzo ha raggiunto una piena indipendenza economica e si paga da solo l’affitto. Quello che è risultato decisivo nel suo percorso di riscatto è stata la certezza di poter fare affidamento sulla guida e il confronto costante con gli operatori del nostro Centro, che lo hanno sempre sostenuto, incoraggiato e orientato. È vero… ci sono voluti più di cinque anni per venir fuori da questo stallo, ma oggi abbiamo un uomo che è restituito pienamente alla sua autonomia e concorre, col suo lavoro, al bene di tutti».