Le interviste a don Orsini e don Zappolini

Avvicendamenti in diocesi

di Francesco Fisoni

Con l’autunno ci saranno cambiamenti che riguarderanno alcune parrocchie più grandi, i cui parroci per ragioni di età e situazioni personali hanno chiesto un avvicendamento». Con queste parole, a metà giugno, monsignor Migliavacca aveva annunciato in un’intervista alcuni spostamenti nelle parrocchie della nostra diocesi. Nella festività di San Giovanni Battista, 24 giugno, è arrivata l’ufficialità e sono stati resi noti i nomi dei sacerdoti e delle parrocchie interessate. Don Fabrizio Orsini parroco a Marti e Capanne viene trasferito a San Miniato Basso, dove subentrerà a don Luciano Niccolai che lascia il servizio per raggiunti limiti di età, così come per le stesse ragioni don Armando Zappolini, parroco dell’Unità pastorale di Perignano, subentra a Ponsacco a don Renzo Nencioni. Conosciuta l’ufficialità dei trasferimenti, abbiamo raggiunto per una breve intervista i due diretti interessati: don Armando e don Fabrizio.

Don Armando, il tuo legame con Perignano è costruito su ben 37 anni di impegno infaticabile. Praticamente più della metà della tua vita… Qualsiasi domanda a consuntivo rischia di sfiorare la banalità. Tuttavia non resistiamo nel chiederti cosa porti con te dall’esperienza di tutti questi anni?

«Porto con me il ricordo di un cammino fatto con la comunità tutta, che sempre più si è coinvolta in un impegno nella vita concreta, facendo nascere esperienze come le comunità terapeutiche, il Bhalobasa e tanti sguardi sul mondo che sono diventati una contaminazione positiva di gran parte della comunità. E poi porto soprattutto il ricordo grande dell’incontro con Madre Teresa di Calcutta e di tante persone che ci hanno visitati in questi anni, da don Luigi Ciotti ai monaci di Taizé, le suore dall’India e padre Orson Welles, che nella sua permanenza tra noi ha portato una grande ricchezza che resterà come patrimonio dei perignanesi anche dopo la mia partenza».

Immaginiamo già adesso la tristezza di tanti che dovranno salutarti, anche se per un trasferimento di pochi chilometri. Quali manifestazioni di affetto ti stanno raggiungendo? Cosa hai detto e cosa stai dicendo ai tuoi parrocchiani?

«Sono stato colto da grande commozione alla lettura, ai miei parrocchiani, della lettera con cui il vescovo annunciava questo trasferimento. Commosso soprattutto dalle reazioni della mia gente e dal loro abbraccio… un affetto che mi ha veramente toccato il cuore. Ho detto loro due cose, innanzitutto che nella mia scelta di vita, l’essere prete è la cosa più bella che mi sia capitata. Era scritto che io potessi essere al servizio della Chiesa dove c’era bisogno e non sarei stato un’ora in più in un posto che non fosse quello che la Chiesa mi chiedeva. Con tanta sofferenza e insieme con tanta gioia e disponibilità accetto questa richiesta del vescovo. La seconda cosa che ho detto ai perignanesi è che il regalo più bello che mi possono fare è proprio quello di continuare a vivere così la vita della parrocchia, abbracciando con lo stesso affetto il prete che verrà al mio posto. Ma nei pensieri tristi di tanti miei parrocchiani ha già trovato spazio questa voglia di continuare, di non rendere vano il cammino di questi anni. Per cui sono commosso, addolorato ma insieme contento e orgoglioso dei cristiani che ho servito in questi anni».

Al parroco che ti sostituirà quale ideale mandato ti senti di affidare?

«Fin da adesso do un grande abbraccio al prete che verrà. C’è tanto cuore e tanta vita mia in questa comunità che lui si appresterà a servire. Credo che sarà un cammino bello anche per la sua vita di prete. Entrare in una storia che poi segnerà con il suo stile, la sua fede il suo modo di essere parroco. Gli auguro davvero di provare, anche con tante fatiche, le gioie e le esperienze che io ho provato in questi anni. Sono certo che saprà far volare in alto queste comunità, queste parrocchie. È gente bella che merita davvero tutto l’amore e l’impegno possibile da parte di un prete».

Quali sfide ti aspettano nella nuova parrocchia di Ponsacco?

«Ponsacco è la parrocchia più grande della diocesi. Sento tutta la responsabilità di questa scelta e provo un sentimento di sincero affetto e riconoscenza verso il vescovo Andrea che mi ha ritenuto idoneo ad affrontare questa situazione. Penso in questo momento a quanti ragazzi ci sono, al catechismo, penso alla casa di riposo, penso alla mensa dei poveri, penso al dormitorio e penso davvero che noi dobbiamo far sì che questa grande e bella parrocchia costituisca un esempio trainante di cosa vuol dire “chiesa in uscita”. Non voglio fare il prete del sociale. Questo l’ho già fatto nella mia vita e avrò semmai altri contesti per farlo. Come parroco il mio obiettivo far sì che tutti coloro che vengono a messa la domenica si sentano “chiesa in uscita”. Spero davvero che Ponsacco, già ora punto di riferimento per tutta la diocesi, sia sempre più una parrocchia che aiuta la nostra chiesa locale a tradurre in azione viva il concetto di “chiesa in uscita”».

Cosa vorresti dire ai tuoi futuri parrocchiani?

«Ai miei futuri parrocchiani dico che gli voglio bene. Ci conosciamo da tanti anni. Addirittura i primi anni in cui ero cappellano a Perignano andavo a benedire le case proprio a Ponsacco. Ho tanti amici lì… veramente una rete di fraternità. Sono contento di questo dono che il vescovo ci ha fatto. Spero che possiamo vivere insieme la bellezza del vangelo, perché essere cristiani o è una cosa che ti riempie la vita oppure è meglio dedicarsi ad altro. Sono felice e spero di poter camminare bene e a lungo accanto a voi».

Abbiamo raggiunto anche don Fabrizio per un giro di domande sul suo trasferimento a San Miniato Basso.

Don Fabrizio, 21 anni a Marti e 13 come parroco di Capanne. Un tempo lungo in cui hai visto crescere più di una generazione di parrocchiani. Cosa porti con te dell’esperienza di tutti questi anni?

«Innanzitutto quello che porto con me è proprio l’esperienza di non essere stato “in casa” mia, ma in mezzo alla gente e di avere annunciato il Signore con semplicità. Poi mi porto i tanti volti, le storie delle persone, le sofferenze, le gioia, le cose belle, le cose anche difficoltose che tanti mi hanno condiviso. 21 anni a Marti e 13 a Capanne non si cancellano con un semplice saluto. Ho davvero visto crescere ragazzi, adolescenti e giovani che oggi hanno famiglie con figli e che vivono anche esperienze di fede solide».

Il vescovo Andrea ha scritto che «certamente non è facile salutare un parroco a cui si vuole bene e che con generosità» si è dedicato al bene della sua parrocchia. In questo momento il nostro pensiero va proprio ai tuoi parrocchiani. Cosa hai detto e cosa stai dicendo loro in queste ore?

«Sento il dolore per dover lasciare persone a cui ho voluto bene. La commozione non mi ha consentito di dire molte parole. Anche la lettera del vescovo sono riuscito a leggerla ai miei parrocchiani con molta fatica. Anche noi preti, prima di essere preti, siamo uomini. In questi giorni sono state tante le manifestazioni d’affetto, tanti i “grazie!”e qualcuno mi ha anche chiesto candidamente: «Perché vai via?».

Cosa lasci come eredità al futuro parroco di Marti e Capanne?

«Non tocca a me fare valutazioni su quanto seminato. Vige il detto “ai posteri l’ardua sentenza”. Credo comunque che il nuovo parroco troverà, nella loro diversità, alcune buone realtà con i rispettivi doni e carismi che hanno in sé tanta energia di bene. Penso in particolare alla comunità Magnificat all’interno della parrocchia di Marti e al vivace fermento della comunità di Capanne che accoglie in sé anche l’impegno dell’Azione Cattolica.

San Miniato Basso: una delle parrocchie più grandi della nostra diocesi. Quali sono le sfide che lì ti aspettano?

«Non conosco bene questa realtà, per cui dovrò molto ascoltare, capire, conoscere. La prima cosa però che mi viene da dire è che la sfida più grande è credere che ancora oggi si possa vivere il Vangelo. In questo tempo complicato, segnato da contrapposizioni dove spesso manca la speranza, vivere il vangelo sembra diventato impossibile anche per tanti cristiani. Il male sembra più forte del bene. Io invece credo fermamente che la persona di Gesù sia ancora oggi una “bella notizia” da incontrare, da vivere e da annunciare a tutti. Mi ha sempre colpito una frase di Jean Vanier, che conosceva bene il significato del vivere insieme agli altri nella convivialità: “Chi ama la comunità distrugge la comunità, chi ama le persone costruisce la comunità”. Credo che non abbia bisogno di commenti per aiutarci a capire come dobbiamo costruire il rapporto tra noi a San Miniato Basso».

Cosa vorresti dire ai tuoi futuri parrocchiani?

«Due cose semplici: la prima è che ho molto più da imparare da voi che da insegnarvi. Aiutatemi ad inserirmi tra voi. Siete già nel mio cuore e nella mia preghiera. L’altra cosa è che vi aspetto tutti alla festa del pomeriggio del 15 settembre, dove cominceremo insieme un cammino per innamorarci di Cristo e del suo Vangelo. Perché innamorarsi di Cristo significa amare di più l’uomo, ogni uomo. Ce lo ricorda anche S. Agostino, quando parla della vocazione dell’uomo, ricordando che si può vivere o “mettendo al centro noi stessi, fino al disprezzo di Dio, oppure amando Dio fino a perdere noi stessi per amore e servizio agli altri”».