I 400 anni della Diocesi

Aperto il Giubileo Diocesano

L'omelia del Vescovo Andrea

Domenica 4 dicembre, con una solenne Celebrazione Eucaristica alle ore 17 in Cattedrale presieduta dal Vescovo Andrea, quale nostro Amministratore Apostolico, si si è aperto l’Anno Giubilare al compimento dei 400 anni dalla istituzione della Diocesi di San Miniato. Un momento significativo vissuto da tutta la chiesa sanminiatese in festa. A seguire il testo dell’omelia del Vescovo Andrea.

 


Scartabellando tra carte, decreti e bolle pontificie, raccolte e ben custodite nell’archivio diocesano, ritroviamo una bolla di Papa Gregorio XV: è datata 5 dicembre 1622. E’ l’atto con cui viene eretta la diocesi di San Miniato, scorporandola da quella di Lucca, e unendo strategicamente questo territorio dal punto di vista politico al Granducato di Toscana. In concomitanza con l’intervento pontificio, il Granducato eleva il borgo di San Miniato alla dignità di città. Una donna è la grande artefice di questa operazione che porta a riconoscere l’autonomia di un territorio di Chiesa che già viveva con una propria rilevanza, la nostra diocesi appunto, ed è Maria Maddalena d’Austria, moglie di Cosimo II, defunto però nel 1621 e quindi lei reggente del Granducato.

Da allora tanti volti di vescovi, di sacerdoti, di laici, di religiosi e religiose, storie di famiglie e di giovani, racconti di anziani e iniziative pastorali tese a far vivere la Chiesa e a diffondere l’annuncio del vangelo accompagnano questi quattro secoli per i quali oggi facciamo festa, inaugurando un anno giubilare, uno speciale anno di Grazie del Signore.

Oggi ci sono i nostri volti a popolare la Cattedrale in questa celebrazione di apertura dell’anno giubilare.

Sono i volti, i nostri, della storia della Chiesa oggi, volti che la rendono viva, bella, fedele al vangelo, capace di sperimentare insieme al peccato anche la misericordia di Dio. Vorrei allora salutare tutti voi, uno ad uno… E anche coloro che ci seguono grazie alla trasmissione televisiva (grazie a telesandomenico). Oggi è la vostra festa, il nostro giubileo.

Tra questi volti e presenze un particolare saluto al nostro metropolita, il card. Giuseppe Betori, a cui va la mia amicizia sincera e la mia profonda gratitudine per la sua cordialità di sempre e la sua presenza oggi. Un carissimo e grato saluto al card. Ernst Simoni, testimone di fede per tutti noi e che in varie occasioni ha accompagnato momenti delle nostre comunità. E poi benvenuto al carissimo mons. Fausto Tardelli, mio predecessore e vescovo di Pistoia, e con lui a mons. Carlo Ciattini vescovo di Massa Marittima che sono entrambi di casa, in famiglia e a loro il grazie che viene dal cuore. Sono lieto anche che sia tra noi mons. Riccardo Fontana mio predecessore ad Arezzo: grazie di questa gentilezza.

Un cordiale e grato saluto anche a tutte le Istituzioni civili e militari presenti, oltre che alle varie realtà associative e di volontariato e ai tanti che in vario modo hanno preparato la giornata di oggi.

Ci lasciamo guidare nella nostra riflessione iniziando con la parola di San Paolo, nel testo della lettera ai Romani che è stato proclamato.

Così scrive: “Fratelli, tutto ciò che è stato scritto prima di noi, è stato scritto per nostra istruzione, perché, in virtù della perseveranza e della consolazione che provengono dalle Scritture, teniamo viva la speranza”.

Un pensiero straordinario per la pertinenza con l’evento che stiamo celebrando.

“Ciò che è stato scritto prima di noi…”. Si tratta non solo di un testo, di una lettera, ma è la nostra storia, sono gli anni, i secoli che ci precedono e che raccontano la vita di una Chiesa, la dedizione di tanti credenti per far vivere la comunità, cammini di testimonianza del vangelo che hanno consentito che l’annuncio di fede, il dono della fede giungesse fino a noi…

Ciò che è stato scritto prima di noi… è una storia di cui fare memoria, sono quattrocento anni e poi anche quelli che li precedono, nel cammino di Chiesa insieme a Lucca… Una storia di fede, di annuncio, di carità. E’ la nostra diocesi. Ed è storia di cui fare memoria, da custodire. Ecco il giubileo, il senso di un anno di festeggiamenti e di Grazia.

“Ciò che è stato scritto…”. Ma non è solo una questione di cronaca, di racconto di fatti e passaggi storici. La parola di Paolo e la celebrazione del giubileo ci invitano a riconoscere che la storia che ci precede è storia di vangelo. Vuol dire che le vicende di quattrocento anni che ci portano all’oggi sono la storia che il Signore ha fatto con noi, raccontano la sua fedeltà e il suo amore. E’ quanto volevamo dire con il motto del Giubileo che ci ha accompagnato anche nei tre anni di preparazione: “Per Cristo, con Cristo e in Cristo”. E’ il Signore al centro della storia di sempre, è il Risorto al centro della storia della nostra diocesi. E’ Lui e il dono del suo Spirito il grande regista del cammino di un popolo, noi, il popolo di Dio.

Celebrare il Giubileo dunque ci chiederà di riconoscere la sua presenza, di affidarci ancora a Lui e alla sua guida, di ritrovare le tracce del suo operare in mezzo a noi.

La nostra storia, tutti questi anni, fatta di volti, arte, iniziative pastorali… racconta il volto di Cristo, la sua provvidenza, la sua compassione e misericordia. E ci chiede di guardare ancora a Lui.

E Paolo ci suggerisce gli atteggiamenti con cui fare memoria e custodire la storia: la perseveranza e la consolazione, cioè l’aderire alla fedeltà di Dio, al suo amore (la perseveranza) e vivere gli atteggiamenti del custodirci a vicenda (la compassione)… e potremo vivere la speranza, che è il sentire di chi non si ferma a guardare indietro, a quattrocento anni che ci precedono, ma si apre ad un orizzonte che ci sta davanti, si guarda in avanti. E sempre “per Cristo, con Cristo, in Cristo”.

Ci accostiamo così alla prima lettura, la pagina del profeta Isaia.

Apre Isaia la sua profezia con un annuncio di vita, di novità: “un germoglio spunterà dal tronco di Iesse, un virgulto germoglierà dalle sue radici…”.

E’ chiaro il messaggio. Se quattrocento anni di storia sembrano suggerire di guardare all’indietro, alla storia che ci precede, in realtà il senso del giubileo è guardare in avanti, alla novità che ci attende e che è promessa. Si tratta di vivere il Giubileo nella nostra comunità guardando a quanto compie di nuovo il Signore, a come opera Lui, a dove ci conduce il Risorto, a cosa ci chiede di rinnovare, di intensificare magari o di correggere. Celebrare un giubileo significa ricevere l’invito a camminare, a guardare avanti, che significa fissare lo sguardo su Gesù, il Vivente e vivere la storia che ci attende dietro a Lui. Si tratta di fidarci e di imparare a vedere. Questo dovrà essere il Giubileo: fidarci di Lui e imparare a vedere.

Isaia poi annuncia di quale novità si tratti: “Il lupo dimorerà insieme con l’agnello; il leopardo si sdraierà accanto al capretto; il vitello e il leoncello pascoleranno insieme…”. E’ la novità di una armonia e di una pacificazione che sembrerebbe impossibile. Ed è dono, è la novità.

Mi pare una immagine di quella novità che è la costruzione della fraternità. E questo può essere l’invito del Giubileo: facciamoci tutti cercatori di fratelli, di sorelle, uomini e donne capaci di amicizia vera e di riconciliazione se serve, tessitori di storie condivise e di vera fraternità. “Fratelli tutti” dovrebbe essere lo stile della nostra Chiesa e insieme la dinamica della missione.

E’ quella che il papa ci invita a chiamare come “Chiesa in uscita” e appunto questo dobbiamo essere nel Giubileo. Dalla chiesa, dalla Cattedrale dove celebriamo l’evento pasquale e l’incontro con il Risorto, e quindi dovremo entrare, passare per una porta, dovremo poi uscire, passare di nuovo per quella porta che si apre dall’interno, per uscire e stare nel mondo.

Per questa ragione porremmo al termine della celebrazione il gesto simbolico della apertura della porta della Cattedrale dall’interno… perché nel Giubileo dobbiamo poi uscire e stare, da testimoni, tra la gente, incontrando e accogliendo tutti.

Già don Tonino Bello così predicava in una omelia nella Chiesa di San Domenico in Molfetta, in occasione della apertura di un anno giubilare per quella comunità.

“Eravate in tantissimi dietro di me quella sera… davanti alla porta di bronzo e io, per tre volte, bussai col martello perché la chiesa si spalancasse…” e prosegue: “Cari fedeli, vorrei indire quest’anno giubilare aprendo la porta di bronzo non dalla parte della piazza come abbiamo fatto stasera, bensì dalla parte della chiesa. Si, perché oggi il problema più urgente per le nostre comunità non è quello di inaugurare porte che si aprono verso l’interno degli spazi sacri… Il problema più drammatico dei nostri giorni è quello di aprire le porte che dall’interno del tempio diano sulla piazza. E’ di questa simbologia che abbiamo bisogno! Per far capire che l’intimismo rassicurante delle nostre liturgie diventa ambiguo se non si spalancherà sugli spazi del territorio profano. E per affermare che il rito, attraverso la testimonianza di chi vi ha partecipato, deve raggiungere i cortili, entrare nei condomini, sostare sui pianerottoli, e afferrare l’uomo nei cantieri del quotidiano”. E prosegue don Tonino: “La prossima volta… io vescovo mi farò strada a fatica in mezzo alla gente che stipa la chiesa. Giungerò davanti alla porta sbarrata. Dall’interno batterò col martello tre volte. I battenti si schiuderanno. E voi, folla di credenti in Gesù, uscirete sulla piazza per un incontenibile bisogno di comunicare la lieta notizia all’uomo della strada”.

Già il card. Bergoglio, nel preconclave, aveva detto riguardo alla evangelizzazione: “Quando la chiesa non esce da se stessa per evangelizzare diventa autoreferenziale e allora si ammala… Gesù dice che Lui sta sulla soglia e chiama. Evidentemente il testo si riferisce al fatto che Lui sta fuori dalla porta e bussa per entrare… Però a volte penso che Gesù bussi da dentro, perché lo lasciamo uscire”.

Apriremo dunque la porta dall’interno… per uscire e stare, da credenti, sulle strade del mondo.

Infine il vangelo.

Ci consegna un forte invito alla conversione. E anche questo è il giubileo, un grande appello alla conversione, al cambiare vita, al tornare al Signore e alla autenticità del vangelo. E’ questo il grande richiamo di Giovanni Battista. Ed è eco di questo tempo di avvento che ci accompagna ad accogliere il Signore che sta per venire (“il regno dei cieli è vicino”).

L’annuncio sostanziale di questa pagina evangelica, l’accento è però la notizia che il Signore viene, viene davvero, per questo occorre convertirsi, preparare la via a Lui. Giovanni Battista ci dice: il Signore viene, sta per venire, lo potrai incontrare. E allora ecco la conversione, non anzitutto uno sforzo etico, morale, di cambiamento, ma la scoperta che il Signore che viene ti rinnova, ti cambia la vita. E il Battista con la sua predicazione interroga su quale frutto degno della conversione si possa portare.

E’ la domanda che può accompagnare il nostro anno giubilare. La Chiesa in festa celebra il Signore che viene e nell’incontro con il Risorto si scopre rinnovata, convertita, riempita nuovamente di vita e di vangelo. E allora si comincia a portare frutti, a vivere le opere del vangelo che sono opere di amore, di giustizia, di pace.

Chiesa di San Miniato che vivi il Giubileo: quali frutti di conversione sei capace di portare? E tutti noi, popolo di questa Chiesa, giovani, famiglie, ragazzi, anziani, poveri, te, amico che sei qui… quali frutti di vangelo siamo capaci di generare?

Buona strada Chiesa che sei in San Miniato… Buona strada a tutti.


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