Nell’ambito degli incontri di formazione organizzati dalla Caritas diocesana per la rassegna «La Chiesa di fuori», le operatrici e gli operatori dei centri di ascolto del nostro territorio hanno incontrato presso l’auditorium «La Calamita» di Fucecchio il rapper calabrese Kento. Kento, che all’anagrafe si chiama Francesco Carlo, è un rapper professionista di 40 anni con un curriculum unico in Italia: è infatti l’unico artista del suo genere nel panorama nazionale a essere, oltre che musicista, un educatore nelle carceri minorili italiane.
«Tutto è cominciato con l’invito di un’associazione di miei amici – ha esordito Kento – doveva essere un laboratorio di pochi giorni per girare un documentario, nel carcere minorile di Casal Del Marmo, a Roma. Invece poi da cosa è nata cosa. Mi sono coinvolto, appassionato. E così i corsi di rap per i detenuti minorenni sono diventati una parte importante del mio lavoro e della mia vita». Un’esperienza educativa unica, che il rapper ha condensato anche nelle pagine del suo libro “Barre” (Minimum Fax, 2018), che anno dopo anno continua a restituire a Kento un punto di vista privilegiato sulle storie di vita di questi ragazzi autori di reati, sparsi per le carceri minorili dello Stivale.
«La prima cosa che ho imparato e che anche voi come operatori di strada dovete sapere – ha spiegato Francesco – è che in carcere ci finiscono non i minorenni autori dei reati più gravi, ma quelli più poveri e provenienti dalle famiglie più disastrate. Più del 90 per cento dei minorenni, infatti, sconta per fortuna la condanna non in carcere ma ai domiciliari oppure in comunità o in lavori socialmente utili di messa alla prova. Per i più poveri però la possibilità delle pene alternative spesso sfuma perché non dispongono di una casa idonea a scontare gli arresti domiciliari o la semi-libertà, e così per reati anche veniali gli ultimi degli ultimi finiscono dietro le sbarre fin da adolescenti. E a volte incontrano me».
Kento nel corso dell’incontro è sceso nello specifico descrivendo gli ingredienti e le finalità educative dei suoi corsi di rap, che spesso durano non giorni ma mesi, con appuntamenti cadenzati da settembre a giugno, quasi come un corso scolastico: «In questo modo, con tempi più dilatati, anche se di poche ore alla settimana, si crea quel lasso temporale che serve per costruire un rapporto educativo, per entrare in confidenza, per spingere i ragazzi ad aprirsi. L’obiettivo del mio percorso è, partendo dal rap e lavorando con le parole, aiutare i ragazzi ad appassionarsi alla scrittura e alla lettura, in particolare alla poesia: creare nella mente di questi ragazzini uno spazio di libertà che poi loro possano continuare a coltivare fuori, al momento del ritorno in libertà, cioè nel momento più difficile, perché spesso a questi ragazzi nel mondo di fuori mancano dei punti di riferimento».
Kento ci ha raccontato dei tristissimi episodi di recidiva in cui tanti suoi ragazzi a cui è affezionato sono incappati. E poi l’autolesionismo, i tentativi di suicidio non riusciti e pure quelli riusciti. «Di fronte a tutto questo dolore anche a distanza di anni dal mio primo laboratorio in carcere continuo a sentirmi inadeguato. Però ci provo, perché queste storie mi coinvolgono. Ognuno di noi può fare qualcosa, per dare una reale possibilità di scelta a questi ragazzi nati e cresciuti in contesti sociali e familiari che dire svantaggiati è un eufemismo».
Don Armando Zappolini, il direttore della Caritas, ha ripreso questo sprone di Kento declinandolo in base al ruolo di noi cristiani di San Miniato. «In Valdera e Valdarno non ci sono carceri minorili ma ci sono tanti ragazzini e tanti giovani con storie molto simili a quelle descritte da Kento. Sono i minorenni appena ospitati nelle comunità dopo lo sbarco a Lampedusa senza la famiglia al seguito. Sono i figli delle famiglie italiane con disagio sociale e abitativo che vengono a bussare ai nostri centri di ascolto. Sono i migranti ospiti nei centri di accoglienza e più a rischio di altri per fragilità e difficoltà di carattere. In tutti questi casi tocca a noi farci prossimi di queste strutture e di queste famiglie, offrire un’amicizia, aprire la porta, creare relazioni. Mettendoci il nostro saper fare e la nostra passione, come ogni giorno prova a fare Kento con i suoi bellissimi corsi di rap dietro le sbarre».