Capanne

«Acquachiara», quando l’8×1000 aiuta a fare impresa sociale dando lavoro ai più bisognosi

di Francesco Fisoni

A Capanne, nel comune di Montopoli Valdarno, esiste una lavanderia molto particolare che nel nome ricorda una canzone di Lucio Battisti: «Acquachiara»; un progetto sociale d’impresa nato nel 2006 per iniziativa della cooperativa Lo Spigolo che, mediante attività di “lava-nolo”, effettua percorsi di formazione e inserimento socio lavorativo per persone che vivono situazioni di disagio, con l’obiettivo di renderle autonome proprio grazie all’assunzione lavorativa. Una realtà che accoglie prevalentemente persone portatrici di handicap fisico e psichico e donne sole con figli in uscita da percorsi di accoglienza in casa famiglia. In passato sono stati effettuati anche percorsi di inserimento per detenuti in pena alternativa al carcere e per persone ex-tossicodipendenti. La sede di lavoro è in via dell’Oasi, all’interno di una struttura di proprietà della diocesi.

Oggi questa realtà occupa stabilmente 7-8 persone garantendo sostegno economico alle loro famiglie. L’attività esercitata di “lava-nolo” consiste nell’acquisto di “biancheria piana” (lenzuola, federe, asciugamani, traverse, ecc.) che viene poi noleggiata ai clienti e sulla quale è garantito per contratto il lavaggio. L’incasso deriva quindi dal noleggio ma soprattutto da lavaggio, confezionamento, trasporto e riconsegna del singolo bene. I clienti serviti da Acquachiara sono di due tipi: Rsa (sono cinque quelle sul territorio a essere rifornite regolarmente) e strutture ricettive come agriturismi, ostelli o i centri notturni di Santa Croce sull’Arno e di Ponsacco. Prima della pandemia tra i clienti c’erano anche persone singole e ristoranti. L’impossibilità durante i periodi di lockdown di far accedere in lavanderia personale non addetto – a motivo degli standard di igienizzazione molto stringenti richiesti per servire le strutture sanitarie assistenziali – ha però fatto perdere questo tipo di fruitori. La lavanderia opera prevalentemente ad acqua (non “a secco” quindi) con uno spiccato taglio ecologico; non vengono infatti usati solventi A durante tutti i processi di lavaggio. Sono ovviamente impiegati detersivi, ma nel selezionarli viene sempre tenuto presente il rispetto per l’ambiente. Purtroppo anche una realtà di promozione sociale come questa, negli ultimi due anni ha dovuto fare i conti con l’impennata dei costi energetici e delle materie prime. Per fronteggiare questa situazione è stato effettuato un rinnovo di alcuni macchinari, in particolare sono state cambiate due lavatrici e due asciugatrici. Le nuove macchine sono meno energivore e offrono un monitoraggio elettronico dei consumi, sia dell’acqua che della corrente.

La diocesi di San Miniato, mediante i fondi dell’8xmille alla Chiesa Cattolica, assicura a questa realtà 30 mila euro annui, una cifra che copre circa il 20-30 % dei costi complessivi di esercizio. Un contributo indispensabile, senza il quale l’attività non riuscirebbe a stare in piedi, e che ha permesso nel tempo di dare continuità occupazionale alle persone oggi vi sono impiegate.

Ovviamente la peculiarità di questa attività non è tanto quella di lavare e stirare (operazioni effettuate comunque ad arte, come si è visto) ma di dare risposte, appunto, a soggetti fragili e svantaggiati. Recentemente, ad esempio, è stata inserita nel progetto una giovane mamma arrivata da percorsi anti violenza, e che adesso è in grado di mantenere i figli ancora piccoli proprio in virtù di questo lavoro.

Bella e da segnalare anche la storia di un ragazzo disabile che ogni mattina, grazie a una bici elettrica con pedalata assistita, percorre da casa sua 12 km per giungere alla lavanderia. Bici che ha potuto acquistare proprio con i primi stipendi percepiti; e lavoro e bici sono diventati per lui fattori che gli hanno regalato una nuova dimensione di vita. «Quando parlo della lavanderia – confida Mirko Regini presidente de “Lo Spigolo” – dico sempre che la nostra è una cooperativa di frontiera, in prima linea sul tema del lavoro, dell’accompagnamento e dell’accoglienza, perché riusciamo, nonostante tutto e tra mille fatiche, a fare un minimo di attività imprenditoriale con persone con difficoltà. Le storie delle persone che lavorano in Acquachiara sono storie che meriterebbero di essere raccontate tutte. La gente non si rende conto che, come cooperativa, fare una scelta controcorrente, scegliendo di lavorare con portatori di handicap o con donne che hanno alle spalle vicende di sofferenza, rende certamente tutto molto più complesso e faticoso dal punto di vista organizzativo, ma dal punto di vista della risposta sociale la gratificazione è impagabile».