«[I pastori] andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro. Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori».
In quest’ultimo giorno dell’anno mentre tutti riassumono e compendiano i fatti belli (pochi) e brutti (molti) dell’anno trascorso, la liturgia ci riporta a quel Fatto, a quella notte di Betlemme, nella cui memoria finisce per noi cristiani l’anno solare e in cui tutto di nuovo inizia. Come i pastori siamo davanti a Gesù, e in Lui scopriamo il senso di ciò che ci è stato dato di vivere.
Le tristi vicende delle guerre, in cui le vite di tanti innocenti soccombono all’incapacità del dialogo e del rispetto dell’altro, le violenze, le ingiustizie che nemmeno guardiamo in faccia e che sconvolgono il mondo, la corruzione e l’indifferenza che pur subiamo e di cui a volte siamo stati anche noi autori, non sono l’ultima parola.
In mezzo alla notte della storia, la cui oscurità, in quest’ultima notte, si cerca spesso di esorcizzare in un’allegria senza molto senso, c’è una luce che ci fa lieti e che ci rimette in cammino. Quella di Gesù, in cui vediamo la misericordia del Padre verso la nostra povera vita.
In questa luce possiamo stasera gioire di tutti i doni ricevuti.
Quest’anno per la nostra comunità diocesana è stato l’anno del Giubileo, nel quale mi sono trovato a iniziare il mio ministero di Vescovo. Che gratitudine nel vedere la vitalità della fede, la forza della speranza, la concretezza della carità che anima la nostra Chiesa di San Miniato.
Gratitudine per le tante iniziative caritative, sociali, culturali, che animano la comunità diocesana, che mostrano come seguire Gesù rende la vita più umana, capace di darsi e non solo chiusa nella propria soddisfazione (o insoddisfazione) individuale.
Gratitudine per lo spendersi dei sacerdoti, dei religiosi e delle religiose, dei diaconi, delle tante persone che si mettono al servizio delle comunità parrocchiali nei vari servizi, che fanno belle le liturgie e formano i ragazzi, che creano comunione. Di coloro che danno testimonianza cristiana nel lavoro, nelle istituzioni, nella società, delle associazioni, i gruppi, i movimenti. Una ricchezza di vita umile spesso nascosta, ma che in qualche momento si è mostrata anche nella sua imponenza, come nell’Assemblea Sinodale di novembre o nel pellegrinaggio a Roma di dicembre. Ricchezza di vita che contribuisce a costruire, con tanti altri fratelli, la socialità delle nostre città e paesi, rendendole giorno per giorno più umane, più accoglienti.
Questa gratitudine la dobbiamo portare nel cuore, per rimetterci in moto nell’anno che viene. «Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore». Come Maria, anche noi dobbiamo meditare queste cose nel nostro cuore e ringraziare Dio. Siamo certi non tanto dei nostri propositi, ma della benedizione che il Signore ci dona come misericordia incessante. Risuonano anche per noi stasera le parole di Dio a Mosè, che abbiamo ascoltato: «Ti benedica il Signore e ti custodisca. Il Signore faccia risplendere per te il suo volto e ti faccia grazia. Il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace».
Il meglio deve ancora venire: noi siamo sicuri che Cristo vuol mostrare a noi e al mondo – tra le nubi e l’oscurità della storia, tra i dolori e le tristezze che sappiamo non mancheranno – che la nostra benedizione è la sua Misericordia, la sua grazia. Che l’anno che viene ce la faccia scoprire ancora di più e ci riempia di desiderio di dare noi stessi per il Suo disegno d’amore.
+ Giovanni Paccosi