«Diocesi di San Miniato, protocollo 6/2020: oggi sabato 18 gennaio, ai primi vespri della domenica, seconda del Tempo ordinario, essendo sommo pontefice Sua Santità papa Francesco e presidente della Repubblica l’onorevole Sergio Mattarella, sua eccellenza reverendissima, monsignor Andrea Migliavacca, per grazia di Dio e designazione della sede apostolica, vescovo di San Miniato, ha solennemente consacrato e aperto al culto in località Ponticelli (…) la chiesa dedicata a Cristo Salvatore».
Ha la voce increspata dall’emozione don Roberto Pacini, quando al termine della cerimonia di consacrazione della nuova chiesa di Ponticelli, prende la parola per leggere il documento della cancelleria vescovile che ne suggella l’avvenuta dedicazione. Un momento capace di fare la storia di una diocesi e del suo territorio, dato che quello stesso documento, consegnato all’archivio vescovile è, di fatto, consegnato ai secoli. Non capita tutti i giorni di assistere alla dedicazione di una chiesa: evento prezioso, ricamato da una ritualità antica, dove ogni gesto è misurato nella sua solennità: la consegna delle chiavi al vescovo, l’inserzione delle reliquie, l’unzione dell’altare e delle sagre con il crisma.
Ci ha commosso il momento in cui le reliquie dei santi Francesco di Sales, Antonio Maria Claret, e dei beati Pio Alberto del Corona e Diana Giuntini, sono state inserite nel blocco dell’altare: quasi un «fugite partes adversae» al profumo dei santi. Il vescovo Andrea ha voluto che i bambini fossero i privilegiati testimoni di questo rito: li ha chiamati sul presbiterio e li ha fatti assistere alla sigillatura di quei sacri lacerti. Come a voler sancire che sarà anche il loro ricordo a consegnare alle future generazioni questa chiesa che, a guardarla dall’alto, assomiglia tanto ad un’abbazia o – come ci ha fatto notare qualcuno -, all’immagine del «Cristo pellicano» (l’aula della chiesa) che nutre dalla ferita del suo petto i pulcini (gli altri edifici di pertinenza). Ci sono voluti molti anni per pensarla, altrettanti per progettarla e realizzarla. Un viatico che ricorda molto quello delle antiche cattedrali, i cui i tempi di realizzazione, appartenendo a Dio, erano distillati sulla misura calma dei secoli.
Una dimensione dilatata, come solo l’opera di Dio poteva avere, che saldava le generazioni e costruiva – attorno al cantiere – lo spirito profondo di una comunità. Il vescovo Andrea, nella sua omelia, ha rilanciato verso un significato alto e simbolico il senso di tutto l’evento: «Il vangelo (di Zaccheo ndr) ci indica un luogo particolare di incontro con il Cristo: la strada (…), non il tempio, o la sinagoga o un altro luogo di culto. (…) Dalla chiesa si deve uscire. L’incontro con Cristo nella Parola e nell’Eucaristia all’interno della chiesa, attorno a questo altare, è vero, è significativo per noi se ci regala di vedere e incontrare Cristo per la strada, nella vita della quotidianità, in mezzo alla gente. Il cristiano viene in chiesa per uscirvi e incontrare. Ecco allora: dedichiamo oggi questa chiesa per poter uscire e vivere la Chiesa sulla strada, per riconoscere che il fratello da amare è il tempio di Dio più bello».
» L’omelia del Vescovo Andrea