Moriolo - San Miniato

Tornato alla luce il selciato del ’700 che porta alla chiesa

di Francesco Fisoni

La solitudine ha un fascino attrattivo, un potere magnetico, e Moriolo, nella campagna sanminiatese, è una “solitudine abitata”. Da lontano, questo minuscolo borgo collinare, rammenta un pinnacolo che dà l’assalto al cielo, un paesaggio con figure dove il tempo sembra sospeso. Te ne accorgi subito, lasciando la provinciale volterrana, dove al crocicchio un Cristo in croce sta come un fante in garitta a guardia del viale di cipressi, che sale su fino alle case. Dal suo podio quel Cristo agreste ti guarda sereno, e pare brami d’abbrancarti, con quelle braccia vaste come l’ali di un gabbiano.

Tutto quassù promette pace. La luce pastosa del meriggio si smorza di colpo appena imbucata la forca caudina dei cipressi. È esattamente qui che si avverte un passaggio, un cambiamento, e gli echi e i frastuoni dell’umano consorzio si stemperano nel silenzio brulicante della campagna. L’incanto presto si svela: una manciate di case rustiche, una colonica, una ciurma di gatti come numi tutelari, e – su tutto – una chiesa che pare un’abbazia. Qui, una volta, c’era un castello tra i più muniti della Valdegola, e da quassù il paesaggio regala ancora scorci di sublime incanto.

La nostra “abbazia” ha un titolare illustre e antico: san Germano, il vescovo di Auxerre vissuto tra IV e V secolo, che ci rammenta echi di storie lontane, quando il verbo cristiano era pressoché sconosciuto nelle campagne…». Iniziava così un pezzo che scrissi a inizio 2010 e che tanto piacque a don Luciano Marrucci (1929- 2015), indimenticato parroco di Moriolo, che oggi riposa nel piccolo, rustico cimitero del luogo, proprio accanto alla chiesa. Se torniamo a parlare di Moriolo è perché questo minuscolo borgo «torna a risplendere grazie all’iniziativa di un manipolo di volenterosi della parrocchia di Santa Maria in Valdegola che in tre successivi weekend, guidati dal parroco don Simone Meini, hanno dato fondo alle energie – e all’allegria – riportando alla luce un meraviglioso selciato settecentesco, che risultava completamente occultato da rovi e sedimento; selciato realizzato prevalentemente con laterizi confitti a taglio sul terreno e da traverse in pietra, che dal viale dei cipressi (descritto nell’inciso sopra) tagliava verso la chiesa di San Germano, «l’abbazia» (una scorciatoia insomma per chi proveniva dalla provinciale, o forse proprio l’antico tracciato che serviva per raggiungere gli edifici sacri sul sommo del colle).

Un lavoro benemerito che ha permesso anche di disciplinare l’area a verde intorno alla chiesa e alla foresteria, prossima a lembi di bosco. Moriolo è stato luogo di espatrio intellettuale per don Marrucci, porto franco di serene meditazioni, che tra anni ‘60 e ‘70 era diventato anche buen retiro e stazione di confronto fertile e vivace per tanti artisti locali. Ne parla in maniera puntuale e appassionata Andrea Mancini nel suo «L’uomo della Melagrana», testo biografico dedicato all’«Abbas nullius» («Abate di niente»), il titolo con cui don Luciano Marrucci amava definirsi.

Don Simone Meini a conclusione delle giornate di lavoro ha commentato sui social: «Che bello! Tutta la comunità presente! Gli occhi lucidi… è bello vedere una comunità unita, la nostra Valdegola. Erano presenti alcuni moriolesi, una persona da Corazzano, una persona da Balconevisi, una persona da La Serra e una persino da Bucciano. Tante risate, nonostante la fatica. E la soddisfazione di vedere la “luce”… s’illumina questo bellissimo borgo». Questo ideale triduo di lavoro vedrà il suo suggello questo sabato 25 marzo, con la celebrazione della Messa alle ore 17 presieduta da don Francesco Ricciarelli, cui seguirà una merenda conviviale, a offerta libera, sul sagrato della chiesa. La serata si chiuderà alle 18,15 con «Io sono un vip», lettura di alcuni scritti dello stesso don Luciano Marrucci. Moriolo ancora oggi regala scorci sospesi tra sublime e pittoresco, e con la sua chiesa, la foresteria, il piccolo chiostro, il minuscolo cimitero, e adesso questo selciato, si presterebbe bene a diventare in futuro un piccolo parco letterario a memoria dell’Abbas nullius. C’è già tutto, non manca niente.